Il campo inaridito della Sinistra
Incontro Cecilia Stefanelli nel bar Penegal di via del Macello. Sono riuscito a vincere la sua iniziale ritrosia motivata dalla sensazione di aver ormai preso congedo dal cuore dell’attivismo politico che, coerentemente, faceva ritenere all’ex candidata sindaca dei Verdi di non essere la persona giusta con la quale discutere di temi ancora troppo legati al recente passato. Eppure, ho provato a spronarla, dalla sua postazione privilegiata di osservatrice disincantata, è possibile forse ottenere un quadro più nitido sia di ciò che è accaduto che di quello che ci aspetta. Fotografare questa lunga e tutt’altro che felice fase di passaggio, per così dire.
Arrivo con un leggero ritardo e la trovo intenta a sfogliare l’edizione odierna della Tageszeitung con in prima pagina i tumulti occorsi in Consiglio regionale a proposito della riforma della legge elettorale comunale. “Come va?”, lei mi mostra il giornale e – indicando il titolo (“Zum Schämen”) – taglia corto: “Una vergogna: mi pare vada proprio così”.
Fiducia in frantumi
Al contrario di chi fa della politica una professione per nascondervi in realtà una forma di narcisismo distante dagli interessi della cosa pubblica, Stefanelli non ha particolari rimpianti e, semmai, esibisce il malessere di una semplice cittadina. “Continuo a seguire perché sono curiosa di vedere come va a finire, ma le premesse non sono buone: i giornali non fanno che alimentare la mia depressione”. Ovviamente il discorso non può che partire da quanto accaduto all’inizio di settembre, con la dolorosa sconfessione della sua linea strategica (contraria a garantire la sopravvivenza alla giunta Spagnolli) voluta in particolare dai “big” dei Verdi. La spaccatura tra gli “ideali” rivendicati e il richiamo a un “pragmatismo” rivelatosi poi del tutto infruttuoso, sintomo di una doppiezza da lei ritenuta ancora persistente, è la chiave per comprendere la crisi che ha portato a un esito complessivamente nefasto: fine della sua esperienza politica e crisi che da allora ha paralizzato le scelte successive del movimento. “Non vorrei che questa intervista diventasse una seduta psicoanalitica, posso comunque dire che è stato davvero un brutto momento. La componente provinciale dei Verdi è riuscita a imporre la sua linea, di fatto impedendo quel confronto chiaro che avrebbe dovuto condurci a prendere una decisione effettiva, cioè a votare. A quel punto la mia fiducia è andata in frantumi e anche se successivamente ho parlato con molte persone che, ex post, mi hanno dato ragione, non avrei certo potuto far finta di nulla”.
L’indecisione prosegue
Senza tradire la minima perfida soddisfazione, quella che in tedesco viene definita con l’espressione “Schadenfreude”, anche i commenti relativi al presente scaturiscono dalle medesime acquisizioni. “Pur guardando adesso le cose dall’esterno, davvero mi pare che non si siano fatti passi in avanti. La spaccatura tra chi vuole sempre e comunque governare e chi invece amerebbe disegnare un profilo più d’opposizione non è stata superata. È inevitabile che in questo modo vengano anche emessi segnali discordanti, addirittura respingenti perfino per l’elettorato di riferimento. Ho sentito le ipotesi più strampalate. C’è chi vorrebbe, prima di prendere qualsiasi decisione, far esprimere i simpatizzanti sull’opportunità di andare alle elezioni da soli. Ma di solito non dovrebbe avvenire il contrario? Le decisioni non si effettuano dopo un sondaggio di opinioni! Sommando la mancanza di coraggio alle prospettive aperte dalla nuova legge elettorale non posso che immaginarmi un ulteriore declino di consensi”. Sul medesimo piano inclinato affiorano così due ipotesi che potrebbero cambiare il panorama politico futuro, ben oltre il particolare declino dei Verdi: ulteriore aumento dell’astensione ed estensione del modello Laives anche a Bolzano.
Bolzano è una città di destra
La sensazione che dopo la decisione ormai maturata dalla Svp – cioè quella di sciogliersi dallo scontato abbraccio col Pd per guardare le carte in mano a più giocatori – Bolzano possa spingersi più a destra non è considerata da Stefanelli qualcosa di inverosimile. Al contrario: “Se non ce la fanno adesso non ce la fanno più. Forse dobbiamo toccare il fondo, prima di cominciare a scrivere una pagina davvero nuova. Ovviamente c’è il rischio che poi la situazione si blocchi, considerando che la città tendenzialmente non ha certo una sensibilità di sinistra. Staremo a vedere”. Ma toccato eventualmente il fondo, quali sarebbero poi i punti qualificanti in grado di far ritrovare alla Sinistra un po’ di smalto? Questione sia di persone (“carne fresca”) che di idee, Stefanelli a questo proposito non lesina l’autocritica: “Rispetto alla Destra, che può contare su un’adesione più di pancia, la Sinistra ha bisogno di spiegare nel dettaglio le proprie posizioni, perché non spesso risultano facilmente comprensibili. A questo proposito è gravissimo aver perso il contatto con i quartieri, essere diventati per così dire evanescenti dove invece ci sarebbe proprio più bisogno di farsi vedere, di incontrare le persone in modo da illustrare bene le nostre ragioni”. Il pensiero va al nuovo entusiasmo per la nascita dei grandi centri commerciali, al futuro referendum che potrebbe dare il via al progetto della molto propagandata riqualificazione di via Alto Adige (“Benko si farà…”, commenta con un sorriso consapevole ed amaro). Sviluppi che Stefanelli non demonizza, ma si limita a criticare come una paziente Cassandra fin troppo abituata a non essere ascoltata: “I quartieri si impoveriranno ancora di più. Le persone si renderanno conto presto di cosa vorrà dire passeggiare per via Milano con tutti i negozi chiusi. E a quel punto l’amministrazione cosa farà?”.
Col senno di poi
Prima di congedarci il discorso si allarga e fa riaffiorare i tratti peculiari di una personalità che, col senno di poi, avrebbe forse contribuito a dotare Bolzano di un’impronta diversa. Una visione più sostenibile dell’economia e più solidale della società, il valore culturale del plurilinguismo, la ferma convinzione che occorra puntare su una sempre maggiore presenza delle donne in politica (“La precedente lista dei Verdi, col 70% di donne, purtroppo è ancora lungi dal fare tendenza”) e una rigorosa opzione interculturale vista come l’unica condizione di possibilità per risolvere i problemi dell’integrazione (“Penso che il fenomeno delle migrazioni debba essere gestito in modo più accorto. Dovremmo fornire per esempio anche ai rifugiati possibilità di impiego, mettere insomma fuori gioco gli automatismi negativi che si innescano allorché l’accoglienza diventa un prolungato parcheggio privo di prospettive costruttive”). Si tratta, come si vede, di istanze ancora tutte da raccogliere, da rilanciare, anche se il campo in cui farlo adesso si è ristretto e appare inaridito.
Bella intervista e chiara
Bella intervista e chiara analisi. nulla da contrapporre, purtroppo...