Punto G? Meglio il Punto V
#WomenAgainstFeminism, questo è l'hashtag che fa discutere tanto di questi tempi.
12.000 sono le giovani che hanno aderito al gruppo sui social. Natalia Aspesi ieri su Repubblica, riassumeva così il concetto "La verità è che le donne si sono liberate di talmente tante limitazioni, che ormai non se ne rendono più conto"
Michela Murgia a sua volta l'altro ieri, sempre su Repubblica "Vorrei continuare a essere definita come sporca femminista. Non mi faccio illusioni: lottare contro le disuguaglianze di genere era e rimane un lavoro socialmente lurido" e io aggiungo, almeno in Italia!
Nei primi anni del '900 si scoprirono gli ormoni sessuali femminili, quelli che avevano a che fare con menarca e libido.
Verso la fine del '900, più precisamente nel 1982 venne descritto per la prima volta il punto G da Alice Lada e Beverly Whipple, le quali travisarono alcune frasi di un articolo di Ernst Grafenberg (da cui prendeva il nome "G", che per inciso non descrisse alcun punto vaginale sensibile) per crearne il mito. Si cominciò quindi più esplicitamente a parlare di orgasmi femminili.
Concordo con Aspesi, che per arrivare a parlare di controllo delle nascite, autodeterminazione del corpo delle donne (ossia libertà di scelta da parte delle donne di fare ciò che vogliono del proprio corpo, esattamente come gli uomini), libertà sessuale e determinazione, che ad essa è conseguita, si è in iziato un po' tardi (il tutto nel XX secolo), ma ci si è arrivate in fretta e senza sparare un colpo.
La rivolta femminile, femminista, che in poco più di un secolo ha radicalmente modificato la vita delle donne, è una delle poche che ha visto socialmente un soggetto debole, riprendere forza senza sparare un colpo.
Tutto questo guardando l'ombrello di #WomenAgainstFeminism, sotto il quale si radunano tante giovani, fa capire quanto corta voglia essere la memoria del nostro tempo, quanto le conquiste dei diritti vadano sempre sottolineate, quanto non si debba mai mollare. Ciò che le donne hanno oggi, lo hanno grazie ad altre donne che in passato lo hanno voluto fortemente. Ciò che le donne vogliono oggi fortemente, servirà alle loro figlie domani. Nessun diritto è per sempre.
All'inizio del XXI secolo le donne di nuovo hanno rilanciato il proprio esserci.
E si è cominciato a parlare seriamente e approfonditamente di CULTURA DI GENERE, quella cultura che ti rende attento/attenta, ai minimi particolari, talvolta ossessivi, come la declinazione al femminile di un sostantivo, come il notare l'assenza dall'ultimo concorso di immissione in ruolo degli insegnanti italiani, di testi preparatori a firma di autrici, di donne.
Gli autori su cui il docente o la docente del domani dovranno formare il pensiero dei giovani, sono tutti indistitamente uomini.
Come il verificare che nell'Opera in cui noi italiani siamo stati eccellenti, c'è una sola librettista donna, o che le direttrici dei giornali sono ben poche, in confronto ai tanti direttori maschi.
Quindi, il pensiero dei cittadini, si forma soprattutto leggendo scritti di uomini, prende il loro punto di vista. E' un fatto. Narrare, nonostante sia attività atavicamente femminile, se diventa affare pubblico é maschiodominante.
In vacanza ho letto il libro di Katia Tenti "Ovunque tu vada". Motivi della scelta? Tanti. Curiosità soprattutto. Curiosità per un libro scritto e ambientato dove vivo, scritto da una donna, scritto da un'alta funzionaria della Pubblica Amministrazione, un libro ad "alto tasso" di violenza sulle donne.
Katia Tenti, nel suo "Ovunque tu vada" non si limita ad un bel thriller. A descrivere con meticolosa puntualità dettagli, sensazioni, emozioni, sentimenti. Fa di più, va oltre. E lo fa in quanto donna.
Nel suo libro, brevi cenni, piccole affermazioni, descrizioni definite, ma significative offrono quello che serve oggi: l'imprescindibile punto di vista femminile. Non perchè siamo meglio, non perchè vogliamo le quote "da riserva indiana", ma perchè vediamo le cose secondo schemi culturali, educativi e paradigmatici differenti ed è giusto tenerne conto.
Katia affronta temi come il cognome della madre, affiancato a quello del padre. Tema che in Parlamento ha trovato grandi ostacoli ad essere affrontato, oggi nel 2014.
Tratteggia donne coraggiose, determinate e anche le vittime, che per definizione non seducono mai, che ci fanno solitamente girare dall'altra, perché guardarle fa sempre troppo male, nel suo libro non suscitano mai compassione.
Da questo romanzo-thriller esce una figura femminile solida, unita alla rabbia per il limite delle leggi, la frustrazione e l'indignazione degli stessi uomini verso altri uomini, che usano violenza sulle donne, che sono loro vicine.
Indignazione che spesso manca di esibizione pubblica ai nostri maschi e viene sostituita, proprio perché inesplorata, dal bisogno di giustificazione: "non siamo mica tutti così!?!" È un evergreen, quando diciamo che il problema della violenza sulle donne è un problema degli uomini.
Lo sappiamo, che non siete violenti, solo per il fatto che siete uomini. Ma ditelo che rivoltano le budella anche a voi, quelli così!
Man mano che ci si addentra nel libro, si sbriciolano stereotipi; con un procuratore, che si mette a ripulire casa, perché ha bisogno di incanalare le energie negative. Tipica versione della donna incazzata, che pulisce casa "per farsela passare", si ribalta al maschile.
Un dettaglio. Un niente nella complessità della trama. Ma un "molto" in termini di simbologia.
È attraverso libri come questo, scritti da donne, che si fa cultura di genere, che si smontano paradigmi e si danno ai nostri figli e alle nostre figlie modelli convincenti, e non a caso l'autrice conclude sulla "leggina", una di quelle che spesso abbiamo sentito, nelle chiacchiere da bar, essere introdotte dal classico "con tutti i problemi che abbiamo, di questo ci dovevamo occupare?"
Si parla del reato di stalking, introdotto solo pochi anni fa dalla legge Carfagna. Si parla di prevenzione.
Un bel thriller e un bel libro ricco di spunti e di suggestioni, che impongono consciamente e inconsciamente a lettori e lettrici di ridefinire gli schemi in cui siamo abituati ad incasellare la cultura della differenza e nello specifico quella di genere.
Una Katia Tenti più "femminista" di quanto avessi mai potuto sospettare, in quell'accezione positiva e culturale del termine, che mi vede coinvolta a proporre laboratori di cultura di genere nelle classi delle scuole superiori, nel cercare proprio il PUNTO V, quello di vista, quello delle donne, che serve a dare alle altre donne e ad altri uomini la consapevolezza, che solo se crescono le donne crescerà il Paese.
"El machismo empiezó quando se inventaron que Dios era hombre" - Luis Vidales.