“Gli hotspot della violenza”
Al giorno d’oggi il 23% della popolazione mondiale vive nelle metropoli. In queste immense città, l’attività predatoria è molto più intensa e violenta rispetto ai piccoli centri o alle aree rurali. Capire quali fattori influenzino la criminalità urbana risulta una necessità urgente. Da queste premesse nasce il lavoro guidato dai ricercatori Marco De Nadai e Bruno Lepri del Mobile and social computing lab di Fbk - ora pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature Scientific reports - che esplora la correlazione fra criminalità, condizioni socioeconomiche, ambientali e di mobilità in quattro megalopoli. “Non esiste una ricetta universale per ridurre i crimini” riflette la Fondazione Kessler di Trento. Un elemento in più per la discussione in un momento storico segnato, negli Stati Uniti, dalle violenze della polizia e dalle criticità per le irrisolte questioni etniche nel Paese leader a livello mondiale, mentre ad altre latitudini e “taglie” urbane - vedi il caso di Bolzano - si acuisce lo scontro politico sulle soluzioni per la sicurezza.
Punto di vista innovativo
Il nuovo studio condotto dal centro di ricerca trentino, in collaborazione con alcuni ricercatori dell’università di Berkeley e Data-pop Alliance, propone quindi un modello innovativo. Utile per esplorare come i crimini violenti e non, siano correlati non solo a fattori socio-economici, ma anche alle caratteristiche ambientali relative all’urbanizzazione (ad esempio l’uso del suolo) e alla mobilità delle persone tra i quartieri.
A tal fine, i ricercatori di Fbk hanno integrato molteplici fonti di dati aperti con tracce di telefoni cellulari per capire il modo in cui i diversi fattori possano collegarsi alla criminalità, e confrontandoli in diverse città, vale a dire Boston, Bogotá, Los Angeles e Chicago.
“Questo nuovo approccio ha dimostrato come l’uso combinato di condizioni socio-economiche, informazioni sulla mobilità e caratteristiche fisiche del quartiere spieghi efficacemente l’emergere della criminalità e migliori le prestazioni degli approcci tradizionali - spiega Marco De Nadai, primo autore dello studio -. Tuttavia, ha anche provato che i fattori socio-ecologici dei quartieri si riferiscono alla criminalità in modo molto diverso da una città all’altra e che quindi non esiste (ancora) di fatto un modello adatto a ogni città e replicabile”.
I fattori socio-ecologici dei quartieri si riferiscono alla criminalità in modo molto diverso da una città all’altra, quindi non esiste ancora un modello replicabile ovunque (Marco De Nadai)
Come una città influenza il crimine?
Ma più nel dettaglio in che modo le caratteristiche di un quartiere o di una città influenzano il crimine? Lo studio parte dalle quattro città, la capitale della Colombia e le tre grandi città statunitensi, e dai dati che registrano sui crimini violenti e contro la proprietà. L’elenco include omicidi, stupri, aggressioni a sfondo sessuale e non, rapine, furti di auto, incendi dolosi.
Analizzando le informazioni rese disponibili dalle diverse fonti, dalle statistiche della polizia ai tracciamenti dei cellulari, fino alle mappe dei diversi quartieri, i ricercatori hanno costruito un modello capace di predire il crimine nelle quattro megalopoli. Il risultato è non è univoco nei quattro casi analizzati. Le diverse variabili infatti si correlano in modo diverso città per città. “La differenza tra i risultati tra le città suggerisce che la criminalità sia correlata in modo diverso con lo spazio e le persone - si legge -. Ad esempio, osserviamo che a Bogotá le zone ad alta criminalità sono in relazione con i quartieri privilegiati, mentre a Boston e Los Angeles la criminalità più alta sembra essere legata ai quartieri svantaggiati. Una possibile spiegazione potrebbe essere legata alla denuncia insufficiente e alla mancanza di rispetto da parte della polizia, che sembra essere un problema soprattutto a Bogotá. Tuttavia, la letteratura ha dimostrato come i codici culturali di quartiere, il controllo locale informale e la problematica della polizia siano legati anche ad attività criminali violente”.
I ricercatori cercano di andare oltre il concetto di hotspot, riferito ai “punti caldi” dove si concentra il crimine in ogni centro urbano. “L’obiettivo di questa ricerca va oltre la previsione del crimine nel tempo. I reati sono concentrati in un piccolo numero di luoghi, e sono strettamente legati a tali aree, stabili nel tempo. Pertanto, il modo più semplice per prevedere i reati è quello di modellare quei pochi luoghi, noti anche come hotspot, che registrano il maggior numero di reati. Al contrario, cerchiamo di fare luce sul diverso insieme di fattori che entrano in gioco con la criminalità urbana e di fare previsioni per quelle aree che non hanno statistiche sulla criminalità”.
La presenza di negozi, punti di interesse, alimentari e popolazione risulta correlata positivamente con l’attività criminale
“Abbiamo anche trovato alcuni punti in comune in tutte le città - concludono gli autori -. Scopriamo che non solo i nuclei urbani con alto svantaggio sociale e diversità etnica hanno una maggiore attività criminale, ma lo stesso vale per gli isolati urbani (blocks, ndr) più piccoli. Inoltre, rileviamo che la presenza di negozi, punti di interesse, alimentari e popolazione (sia residenziale che ambientale) risulta correlata positivamente con l’attività criminale”.