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Respirare la musica

Ascoltare e incontrare il musicista “tout court” Egberto Gismonti a Merano per il Südtirol Festival – stasera la Staatskapelle di Dresda con Lisa Bathiashvili
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Foto: Foto: Südtirol Festival

Parlare di musica con una leggenda qual è Egberto Gismonti apre la mente, il cuore e le orecchie facendoci ascoltare – dopo - quell’universo di suoni in altro modo. Anzi, è cambiato l’intero approccio. Già lo era stato ascoltando i suoi brani, suonati con la chitarra o con il piano. Perché lui suona diversi strumenti, in concerto soprattutto questi due. Lo abbiamo sentito giovedì 30 agosto al Kursaal di Merano. Dapprima in scena da solo, illuminazione bassa, qualche faro colorato, il tipico cappellino rosso in testa, lunga coda di capelli bianchi ricci dietro sulle spalle, tra le mani la “sua” chitarra a dieci corde, e ci vuol poco per riconoscere un brano dal famoso disco Dança des Cabeças inciso assieme a Nana Vasconcelos nel 1976 in Germania, disco che vendette oltre duecentomila copie, che narra musicalmente la storia di due persone in mezzo alla foresta amazzonica, piena di piante, umidità e animali, di cui si sentono persino i vari versi allora prodotti dalle percussioni suonate dallo stesso Vasconcelos (morto troppo presto a settantadue anni nel 2016), dal vivo riprodotti da Gismonti suonando singole corde oppure battendo le mani delicatamente sulla cassa sonora dello strumento in legno, con leggeri passaggi delle dita, come delle carezze per un corpo amato e delicato. Duravano attorno ai dieci minuti i singoli brani, vere e proprie meraviglie auditive. Dopo mezz’ora è passato al pianoforte, portentoso ha dominato il palco con la sua coda aperta, una bella presenza scenica: le dita del musicista settantenne brasiliano correvano sui tasti come prima erano corse su e giù per le corde. Qui si sentivano maggiormente radici e influenze blues e jazz, ma anche classiche europee, mentre egli si dedicava alle più svariate improvvisazioni sui diversi temi musicali. Poi ha ricominciato un pezzo nuovo, suonando “piano” e facendo pensare agli studi svolti a Parigi con Nadia Boulanger (oltre che con Jean Barraqué, allievo di Schönberg e di Webern, dopo aver già studiato a Vienna la musica popolare), con lei si era dedicato a raffinare orchestrazione e analisi musicale, appunto. Quindi si è alzato, per ringraziare il pubblico per i numerosi applausi, e ha battuto un colpo sul pianoforte come per accennare un “bravo, grazie!” unendo subito dopo le mani in segno di un ringraziamento ancor più sentito con tanto di inchino verso la sala stracolma di gente in visibilio. Ha continuato a suonare brani più classici, le note fluivano come l’acqua di un fiume, dapprima tranquillo, poi sempre più agitato, schiumoso, fino a buttarsi in una cascata… Per Gismonti, che da giovane accanto agli studi della classica brasiliana (Villa-Lobos) ascoltava anche i dischi del re dell’improvvisazione del rock, Jimi Hendrix, accanto a tanti altri, non esiste nessuna differenza tra la musica cosiddetta popolare leggera e la musica classica colta. I ritmi sul pianoforte passavano infatti da saltelli leggeri come farfalle a battiti decisi e forti con le singole dita fino allo spiattellar di entrambe le mani piatte su grandi insiemi di tasti. Pausa.

I Solisti Aquilani sono entrati quasi tutti insieme, hanno suonato il primo brano, uno di quelli che Gismonti aveva suonato con la chitarra, prima. Poi è tornato sul palco il compositore, geniale musicista e produttore, e insieme, orchestra e piano, hanno eseguito diversi brani. Ora dominava una luce più chiara, nei colori azzurri, violetti e gialli, mentre oltre la coda del pianoforte si poteva scorgere di tanto in tanto i movimenti del direttore d’orchestra, Luis Gorelik, argentino. Scroscianti gli applausi; quello finale è durato diversi minuti finché - aiutati dal battere dei piedi dei Solisti - Gismonti è tornato sul palco, e ha regalato al pubblico uno splendido bis – ancora al piano.

“Sono nato in una piccola città di duemila anime, Carmo, in Brasile, da madre siciliana e padre libanese. Sono cresciuto sentendo parlare italiano, francese, portoghese e arabo…”, ci ha raccontato più tardi, strada facendo per recarci al ristorante Aurora per andare a cenare assieme a organizzatori e musicisti. Sono un sacco di lingue e ritmi diversi, abbiamo pensato, e poi lui ha continuato: “Crescere in una famiglia mista, con una madre italiana e un uomo macho quale possono essere gli uomini arabi è stato per me una grande lezione di vita perché sin dall’infanzia e per tutto il tempo che i miei genitori sono stati insieme, cioè una vita intera, ho respirato ciò che mio padre aveva riassunto nella bellissima frase ‘Ogni tipo di amore conduce alla vita’.” Un altro punto interessante – ce lo ha fatto notare poco dopo – è che secondo il suo punto di vista gli italiani sono per la maggior parte, in fondo, dei gran sognatori, mentre gli arabi sono più pratici e sanno realizzare quei sogni. Ancora una volta quei due mondi si sono uniti dentro di lui per dare il meglio di sé, così che Gismonti possa creare tutti quei meravigliosi mondi sonori con cui ci incanta grazie alla sua estesa immaginazione e agli ampi immaginari di cui si è nutrito e tuttora si nutre. Un approccio che gli ha permesso anche di fondare la propria etichetta musicale, Carmo, con la quale produce e pubblica sia i propri progetti che quelli di musicisti a lui sodali.

A un certo punto gli ho rivelato che ho ascoltato e riascoltato i suoi dischi sin da giovane, soprattutto mentre studiavo all’università e - più tardi - mentre scrivevo i primi articoli. Ho sempre desiderato di riuscire un giorno a trovare un ritmo nella scrittura pari a quello della sua musica… Gismonti mi ha ascoltato piuttosto divertito, commentando che ci sono molti ritmi nella sua musica.

Ho chiesto al direttore del festival, Andreas Cappello, com’è nato il progetto del concerto congiunto con questa giovane orchestra e lui ha affermato che è stato realizzato in accordo con l’Emilia Romagna Festival e il suo direttore, il maestro Massimo Mercelli, con cui collabora da tanti anni. La prima tappa è stata un Solo Concert a Comacchio, le altre due assieme ai Solisti Aquilani, un’orchestra da camera tra le migliori a livello nazionale, qui – come abbiamo già accennato - sotto la direzione del direttore d’orchestra argentino, Luis Gorelik: il primo concerto si è tenuto a Lubiana, il secondo qui a Merano.

Gismonti ci ha raccontato poi la sua collaborazione con la giovane orchestra, i cui musicisti avevano tantissime domande da porgli, innanzitutto sulle caratteristiche del poli-ritmo, di cui – chi la conosce lo sa bene – la sua musica abbonda. “Ne ho tante di cadenze”, ci dice, “ho fatto capire loro che è come nelle partiture dei grandi musicisti del passato, ci si concentra su un motivo musicale che poi si assume come modello per girarci attorno, riprenderlo e ripassarlo in varie modalità. Nel corso degli anni ho messo insieme oltre un centinaio di queste cadenze”. Aveva imparato a riconoscerle e a studiarle soprattutto durante il suo periodo passato con Madame Boulanger, anzi fu lei a fargli notare che la musica colta europea – come per esempio La sagra della primavera di Stravinskij – in fondo non era altro che musica popolare, a volerla sezionare nelle singole cadenze e analizzandone la fattezza… In quanto sono proprio le cadenze a caratterizzare la tipologia di musica, il blues o il jazz hanno tutt’altra cadenza rispetto al rock o alla classica europea. E qui si fa interessante sentir parlare qualcuno con un occhio puntato dall’altro lato dell’oceano…, il quale per altro ci fa anche capire che la musica è un’entità viva che chiede di essere rinnovata a ogni esecuzione di un brano, nel corso degli anni, ed è qui che si spiegano le diverse interpretazioni operate sia dai musicisti che dal direttore d’orchestra, i “registi” delle imprese collettive sonore delle grandi orchestre.

A dirigere i Solisti Aquilani c’era Luis Gorelik. A proposito della sua direzione ci ha detto che per lui il punto centrale è il respiro! Durante le prove l’aspetto più importante è stato riuscire a creare quell’apertura verso il respiro – proprio e altrui - che conduce a sentire e a percepire le emozioni. Ci ha fatto sapere inoltre che ci sono due scuole di direzione d’orchestra, una basata sul tempo e l’altra sul suono. Nel secondo caso si dirige in modo molto lento, perché si vogliono elaborare anche i più piccoli dettagli delle singole sonorità, nel primo caso invece si dà la precedenza ai tempi e alle cadenze. Ci voleva un maestro dell’universo latino-americano del sud per orchestrare i ritmi di un compositore musicista originario di quello stesso mondo. Risultato: straordinario, anzi un vero e proprio highlight della stagione musicale meranese 2018, e non solo! Escursioni sonore con chitarra, pianoforte e archi, come scalare l’Everest – andata e ritorno in velocità supersonica e, al contempo, in ralenti… Freestyle.

I brani suonati: Alegrinho e Saudaçoes, Mestico & Caboclo, Dança das Cabeças, Ciranda Nordestina, Sertoes Veredas I, Lundú, Dança dos Escravos, Realejo & Miudinho, Infançia, 7 Anéis, Forrobodó, Frevo.