Rimpatriata a castel Tirolo
Il marziano che giovedì 5 settembre, in tarda mattinata, fosse capitato a castel Tirolo, avrebbe avuto una visione decisamente sui generis della realtà altoatesina. Avrebbe certamente pensato che “Durnwalder” e “Südtirol” siano due sinonimi. E avrebbe creduto che il “Grand’Ordine di merito” sia una sorta di abbraccio o, meglio, una sonora pacca sulle spalle tra vecchi amici che si incontrano.
Le note della banda musicale di Tirolo cominciano a risuonare a mezza mattina. Le senti lasciandoti alle spalle la chiesetta paleocristiana di San Pietro, sopra Quarazze. Tirolo (Dorf Tirol) è un’enclave monolingue in una regione plurilingue, come testimoniano i cartelli indicatori. Non solo quelli dei sentieri, ma anche quelli apposti dal comune. Un’isola di monocultura alle porte di una Merano multietnica e variopinta.
L’appuntamento è alle 11 e prevede il conferimento del Grand’Ordine di merito della Provincia autonoma di Bolzano a dodici personalità. “A quelli che sono rimasti nostri amici anche in tempi difficili”, spiegherà poco dopo Luis Durnwalder, presidente quasi emerito e, per un giorno, conte di Tirolo.
Nei cortili del castello, tra lo stupore dei visitatori paganti, si accalca il fior fiore della società e (soprattutto) della politica altoatesina. Un assortimento che fa invidia solo al bestiario romanico raffigurato sui due magnifici portali della Sala dei cavalieri.
I cavalieri ci sono davvero: assessori e assessore provinciali, metà alla sinistra, metà alla destra del principe. Vis a vis, schierati in ordine alfabetico, i dodici apostoli. I dodici premiati. Per la verità sono rimasti in undici, non perché uno abbia tradito, ma perché Erwin Pröll, capitano del Land di St. Pölten, è stato trattenuto altrove da un qualche contrattempo. Unica lacuna. Il resto fila tutto alla perfezione. La direttrice del maniero, in uniforme da castellana, fa gli onori di casa (“…die Blumen sind in Ordnung?”), gli eroici funzionari del gabinetto presidenziale assicurano, con la consueta discrezione, che il protocollo sia rispettato. A cornice della giunta sono schierati alcuni anziani scizzeri del paese, armati di alabarda, e quattro passiresi titolari di altrettanti Masi dello Scudo. Il principe ereditario Arno Kompatscher, seduto a lato, è venuto a vedere “come si fa”.
Il bravo presentatore richiama due volte all’ordine, ma le voci in sala si placano solo quando il violino e l’arpa di due musiciste del Conservatorio bolzanino attaccano a suonare. Ora c’è silenzio. Si alza Durnwalder e saluta i presenti. “In Tirolo”, esordisce, “si saluta per primo il clero… anche questi sono valori”. Boh. Forse il vescovo e l’abate di Gries avrebbero preferito mantenere un francescano basso profilo. Ma poi il presidente prende a spiegare il senso di questa sorta di “festa nazionale”, legata alla ricorrenza della firma dell’Accordo di Parigi, racconta di due guerre, due dittature, dei torti subiti… “Sudtirolesi di lingua tedesca, italiana e ladina”: si lascia sfuggire pure questa eretica espressione. Dà un colpo al cerchio della politica e uno alla botte della storia: cita i “patrioti” degli anni Sessanta ma riconosce che la soluzione fu trovata poi dai “democratici dell’una e dell’altra parte”.
Ecco, ora passa a parlare dei premiati con un “discorso alla Orson Welles”, secondo la definizione di Gianclaudio Bressa. Per ognuno c’è, come si diceva, una vigorosa pacca sulle spalle. Per lo stesso Bressa, “sempre pronto ad accogliere e ad ascoltare le delegazioni provenienti dal Sudtirolo”. Per Lorenzo Dellai: “Abbiamo bisogno dei trentini che sono ‘italiani doc’, ma sono anche trentini…”. Con Manfred Fuchs, che collaborò alle missioni spaziali Ariane 1, Spacelab e Columbus, Durni sembra sognare un satellite tutto altoatesino. Di Michael Häuptl, sindaco di Vienna, loda il democratico decisionismo, di Peter Jankowitsch spiega che in giovane età fu il più giovane ambasciatore austriaco, “laggiù in Senegal” (“in Senegal untn”). Waltraud Klasnic, a lungo presidente della Stiria, è ringraziata per la collaborazione a livello europeo e a Claudia Schmied, ministra austriaca dell’istruzione, confessa che l’assessora Kasslatter Mur, tutte le volte che la incontra, “poi ci parla sempre per mezzo pomeriggio di te”. Tutti si danno del tu, ovvio, perché è davvero una grande rimpatriata. Gli ultimi della serie sono l’ex cancelliere Wolfgang Schüssel (“Quante volte siamo venuti a Vienna a parlare con te…”), l’ex presidente della Baviera Edmund Stoiber (“Tirolesi e bavaresi siamo sempre andati d’accordo con l’eccezione del periodo napoleonico…”), l’ex governatore di Renania-Palatinato e Turingia Bernhard Vogel e, dulcis in fundo, Wendelin Weingartner, già capitano del Tirolo. Qui un frammento di vera storia, ricordando il momento in cui si poté pacificamente rimuovere la sbarra al confine italo-austriaco.
Il discorso di Durnwalder è durato più di un’ora. Alla fine la parola passa a Bressa e a Schüssel. Il primo confessa, commosso: “Questo premio è lo specchio della tua politica”. Il secondo vola più alto. Ricorda come oggi la gran parte dei cittadini di tutti i gruppi si senta davvero sudtirolese/altoatesina. Ironizza sul fatto che l’Alto Adige vorrebbe essere l’ombelico del mondo (“In ogni caso un ombelico molto bello”). In tempo di euroscetticismo a buon mercato, spezza più di una lancia a favore del progetto Europeo. Ricorda le parole dei trattati di Roma del 1957 (“Noi cittadini europei siamo uniti per nostra fortuna…”) e la fondazione della Comunità europea. Un progetto che in qualche modo, come la nostra autonomia, partì proprio a Parigi, dopo una tragica guerra, quel 5 settembre del 1946.