Reti#
Reti# è uno spettacolo che nasce dalla necessità di offrire a coloro che ne diverranno pubblico, la narrazione di persone, luoghi e vicende che adombrano la storia europea contemporanea di confine.
Appartiene al genere del teatro cosiddetto civile, quel teatro che si fa testimone del reale, svelandone le congenite contraddizioni e divenendone denuncia consapevole in una espressione corporea, emozionale e razionale.
E’ il febbraio 2020, un gruppo di attivisti dell’associazione Bozen Solidale trascorre otto giorni lungo la "rotta balcanica" percorrendo chilometri su un furgone bianco, per portare quanto di essenziale possa servire a chi è bloccato lì, anche da anni, nella speranza di riuscire ad attraversare il confine verso la terra promessa. C’è chi arriva dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria, dall’Iraq, dal Bangladesh, affrontando viaggi interminabili, per poi ritrovarsi imbrigliati nel “Game”, il Gioco. E’ così che viene chiamata la scommessa di passare indenni la frontiera bosniaco-croata, un gioco dalle regole spietate, per cui la caparbietà si paga con la violenza, la fuga con barbari respingimenti, la miseria con l’emarginazione.
Probabilmente non in molti sanno cosa realmente sta accadendo sulla Rotta Balcanica. Chissà quante persone dovranno ancora essere spogliate di tutto – persino delle scarpe – mortificate, annullate, prima che le singole coscienze diventino una coscienza collettiva.
Nel frattempo, Matteo de Checchi, Giulia Pedron e Federica Franchi, tre degli attivisti della spedizione, hanno deciso di affidare il loro vissuto a chi potesse renderlo accessibile, perché teatro è anche informazione e formazione.
E così nasce Reti#, con la scrittura di Francesco Ferrara e l’interpretazione di Salvatore Cutrì, bolzanino di lunga adozione. Due giovani artisti che usciti dalla Teatro Factory dell’Accademia di Recitazione del Teatro Bellini di Napoli, lì fondano il collettivo Mind the step con altri compagni, e da lì continuano a muoversi da Sud a Nord, da Nord a Sud.
Salto.bz: Reti# porta in scena voci che arrivano dalla frontiera bosniaco-croata. Come nasce questo progetto?
Salvatore Cutrì: Lo spettacolo nasce grazie a otto attivisti bolzanini dell’associazione Bozen Solidale, che nel febbraio del 2020 hanno fatto un viaggio sulla rotta balcanica. Un viaggio di documentazione legato a Melting Pot – magazine online – dove hanno raccontato della situazione nei Balcani in quel momento, ma anche di aiuto concreto. Avevano fatto una raccolta fondi e comprato materiali di prima necessità, scarpe, giacche, tutto quello di cui c’era più bisogno.
In realtà prima di questo spettacolo, sempre con Matteo de Checchi di Bozen solidale, ne avevamo fatto un altro, sui ghetti dei braccianti africani in sud Italia. Anche in quella occasione Matteo era stato lì, e dalla sua documentazione, dal suo racconto, è nato uno spettacolo. Lo schema di Reti# è più o meno simile, ovvero raccontare attraverso il teatro la situazione limite che si vive sulla Rotta Balcanica, tuttora una delle rotte più battute. Noi conosciamo meglio quella del Mediterraneo, perché è quella che i media ci raccontano di più, ma la rotta balcanica, anche in questo momento, è super trafficata. La nostra volontà era quindi di raccontare questo viaggio raggiungendo più persone possibili e far conoscere questa realtà non solo a chi è già sensibile alla questione, persone che frequentano spazi politici o di volontariato, che hanno a che fare con l’attivismo, ma a tutti. Abbiamo raccolto la voce di tre viaggiatori, Matteo, Federica e Giulia, abbiamo visto le loro foto, abbiamo letto gli articoli, guardato i video e da tutto questo ne è nato uno spettacolo di un’ora e un quarto, che traccia non solamente in maniera drammatica, ma anche, come diciamo noi prendendoci anche un po’ in giro, in maniera agrodolce, quella che è la situazione nei Balcani, dove oltre alla violenza si realizzano anche incontri, si organizzano momenti di svago, perché è naturale che quando si incontra una umanità, non si vive solo il dramma, ma ci sono anche risvolti positivi, di crescita, di sviluppo della propria vita personale.
Francesco, mio compagno di Accademia con cui abbiamo fondato il Collettivo Mind the Step a Napoli, è il drammaturgo del testo. Lui ha messo in ordine questa documentazione riportandola in un monologo, affinato dalla nostra sensibilità e da un’opera di astrazione. Perché quello fa il teatro, va ad astrarre la realtà.
Qual è il punto di vista da cui in scena guardi questa umanità, diventi il narratore che racconta la realtà che vede, oppure diventi le persone che gli attivisti hanno incontrato?
Salvatore Cutrì: Francesco, forse a questo rispondi meglio tu.
Francesco Ferrara: Entrambe le cose, in realtà. Ci piace lavorare in più stili e cifre diverse. Quindi anche in questo caso abbiamo inserito una voce narrante, quella di una persona che ha visto da vicino quei luoghi, ma al contempo abbiamo anche provato a entrare - pratica molto complicata - nell’emotività di persone che vivono in prima persona la vita da migrante. Quello che tra l’altro ci interessava dal punto di vista del narratore, era tracciare un percorso emotivo. Di una persona che va lì, con delle speranze, con degli obiettivi precisi, e poi si trova di fronte a una realtà che forse è più grande di quella che si aspettava, e quindi entra in crisi. Entra in crisi il suo punto di vista, che non è più monolitico, in grado di distinguere il bene o il male. La complessità dell’umanità lo mette in una crisi che lo porta a un percorso emotivo che cerchiamo di tracciare nello spettacolo. Quindi anche con la contraddittorietà, l’incoerenza che le persone sono in generale, a maggior ragione quando si trovano in situazioni limite.
Reti per noi sono innanzitutto le reti che separano, quelle al confine che separano esseri umani, ma reti possono essere anche quelle delle relazioni tra le persone
Situazioni che probabilmente riflettono la contraddittorietà di ognuno di noi, per cui violenza e sventura convivono con solidarietà e gioco. Come è stato riportare nella scrittura del testo questa complessità di emozioni vissute da altri?
Francesco Ferrara: In realtà è stato molto complicato. In questi casi il rischio della retorica è sempre dietro l’angolo. Allo stesso tempo non bisogna avere paura di entrarci dentro, quindi per chi scrive, e anche per Salvatore che va in scena, si crea un equilibrio molto delicato, che va cercato e trovato assolutamente, altrimenti il rischio è quello di essere inefficaci. Noi all’inizio abbiamo lavorato a distanza, perché eravamo in pieno periodo pandemico, dato che il viaggio lo avevano fatto immediatamente prima. Salvatore ha fatto le interviste, mi ha mandato gli audio e io ho rielaborato le interviste.
Che significato ha il titolo Reti#?
Francesco Ferrara: Reti# lo abbiamo scelto perché ha più significati. Ci piaceva lavorare sulla molteplicità semantica che può evocare questo termine. Reti per noi sono innanzitutto le reti che separano, quelle al confine che separano esseri umani, ma reti possono essere anche quelle delle relazioni tra le persone, poi sì, c’è anche qualche altra sfumatura…
Salvatore Cutrì: …c’è anche la rete dei pesci, che ti cattura, che non ti lascia passare ma allo stesso tempo rete è anche avere un contatto, la capacità di tenerlo quel contatto. Un po’ quello che Bozen Solidale sta ancora facendo sulla Rotta Balcanica, con gli attivisti, con la vicinanza a Trieste, uno dei punti di arrivo da cui la maggior parte delle persone proseguono per l’Europa, pochi vogliono rimanere in Italia. Ci piaceva dare più significati ad un titolo solo.
Tra un paio di giorni il debutto, da quanto state lavorando concretamente all’allestimento dello spettacolo?
Salvatore Cutrì: Concretamente da poco. Io ho “fatto la memoria” e ci sto lavorando da un mese, ma in solitaria. Con Francesco ci siamo confrontati quotidianamente a distanza, e la messa in scena vera e propria ha quattro giorni di rodaggio. Ma non ci è permesso diversamente, dati i mezzi di produzione non abbiamo la possibilità di fare prove più lunghe. Questo da un punto di vista può sembrare uno svantaggio, ma nello stesso tempo può anche rappresentare una situazione limite, la stessa in cui i tre viaggiatori si sono trovati. Ne facciamo un punto di forza. Io e Francesco abbiamo un linguaggio comune, veniamo dalla stessa scuola, quindi abbiamo un gusto molto simile, per questo riusciamo a trovarci molto bene.
La vostra è quindi un’autoproduzione?
Sì, non abbiamo ricevuto alcun sostegno, ma non l’abbiamo nemmeno cercato. Questo sia come atto politico, sia per garantirci assoluta libertà nell’approcciarci all’argomento.
Qui non c’è una realtà off. Non dobbiamo dimenticare che Bolzano è una città piccola e d’altro canto mancano assolutamente degli spazi dove in libertà ci si possa esprimere.
Come mai il debutto dello spettacolo proprio a Bolzano?
Salvatore Cutrì: Perché a Bolzano c’è Bozen solidale e il progetto di Spazio 77, da cui sono partite le persone. Quindi è uno spettacolo che appartiene molto a Bolzano. In più io vivo qui da più di 10 anni, anche se faccio spettacoli in giro, la mia casa è qui.
Quali opportunità ci sono qui per un teatro così detto off, che nasce e si diffonde in circuiti alternativi?
Salvatore Cutrì: Qui non c’è una realtà off. Non dobbiamo dimenticare che Bolzano è una città piccola e d’altro canto mancano assolutamente degli spazi dove in libertà ci si possa esprimere. Se penso a Napoli, in ogni sottoscala c’è un teatro! Bolzano è anche una città un po’ contraddittoria, ci sono diverse lingue, c’è un pubblico che si divide, abbiamo un grande Teatro Stabile che arriva su tutto il territorio. Certamente c’è anche una grande vicinanza della Provincia sulla cultura, e questo, come ogni cosa, hai i suoi pro e i suoi contro.
In ogni caso iI canale alternativo a Bolzano non è battuto, manca l’ambiente di sfida, di confronto, il fermento. E il fermento non lo si crea, è fatica, è quotidianità, è scuola, è crescita.