Vita calda a Berlino
Il nuovo romanzo di Stefano Zangrando (Amateurs, edizioni alphabeta verlag), sua quarta fatica d’autore, comincia con una citazione del figlio del “genio dello stinco di maiale”, tal Max-Dieter Hardtke, erede di una tradizione di ristoratori berlinesi la cui filosofia si riduce alla massima citata in un necrologio: “Bisogna godersi la vita finché è calda”. Lo svolgimento servirà a dimostrare poi un’altra massima, ovvero quella raccolta da Luigi Nono su un muro di un chiostro di Toledo (no hay caminos, hay que caminar), che ovviamente sposta il godimento sempre un po’ più là, tanto più desiderato quanto inattingibile, come inattingibile rimane il momento in cui potremo addentare finalmente la carne del mondo.
I due personaggi principali – Valentino e Gerwin – sono due altoatesini/sudtirolesi (ma anche la distinzione “etnica”, esibita a bella posta, appare il residuo di un gioco infantile) che si sono scrollati di dosso le cicatrici impallidite della loro terra d’origine, e adesso – un adesso collocato tra il 30 aprile e il primo maggio del 2002 – vagano in una sorta di “festa mobile” nel cuore, anzi ai margini del cuore della capitale tedesca, sgusciata anche lei fuori dal plumbeo guado della guerra fredda e dunque protesa verso il suo incerto e promettente futuro.
Innescato dal più banale dei moventi, il racconto si avvita (o si stringe) modulando la ricerca dell’altro (le donne, anzi la donna, e chi leggerà il libro capirà il significato del singolare) come senso stesso della vita: un plot sapientemente redatto tra suggestioni rabelesiane e inserzioni che ricordano il tono e il ritmo dei racconti filosofici illuministici (Diderot in primis). Tutto molto sciolto e molto leggero, in verità, tanto che lo slittamento suddetto è quasi impercettibile, come passare da un modo del verbo all’altro (dall’indicativo al condizionale, diciamo), fino a un sorprendente colpo di scena finale (del quale ovviamente nulla riveliamo).
Visto che in genere, come suggerisce anche la quarta di copertina, opere simili sono catalogate come esempi di “letteratura di confine”, ho espresso personalmente a Zangrando il lieto dubbio se Amateurs possa invece sfuggire a questa caratterizzazione ultimamente molto abusata, molto istituzionale, offrendosi piuttosto come un più domestico “racconto di soglie” e relativi attraversamenti. Le sue parole hanno confermato la mia intuizione: “Sì, mi sembra un’osservazione intelligente. Spero che Amateurs non ricada nel calderone dei romanzi di confine, o romanzi sul confine, visto che molti suoi particolari sono da intendere come un farsi beffa del problema del confine. Parlare di soglie, in effetti, mi pare più appropriato, perché nella vita ci capita spesso di superarle senza quasi avvedercene”. Così, tra Berlino centro e Berlino periferia, tra i borghesi e i manifestanti, nella piazza dove Valentino verbalizza la stessa condizione dell’esistere, del vivere pendolando tra condizioni persino opposte, tutto assume la consistenza porosa di una soglia: “giovinezza ed età adulta, impegno politico e disimpegno, partecipazione alla festa e distacco…”. Ma anche tra fenomeno e noumeno, virtualità e realtà, eterosessualità e omosessualità…
Un chiarimento, infine, sul titolo del libro. “Amateurs è una parola che suona francese, ma in realtà l’ho tratta dal tedesco. Significa dilettanti, e questo è rimasto a lungo il titolo provvisorio del libro, finché mi sono accorto che, volgendolo in tedesco, avrei conservato un’ambiguità alla quale non volevo rinunciare: intendo dire l’approccio disinteressato alla vita, l’atteggiamento del flâneur, cioè non immediatamente professionalizzabile, e il piacere che deriva dal restare in una certa condizione d’inconcludenza, senza ovviamente tacere i problemi che essa, alla lunga, può generare”.
Stefano Zangrando presenterà Amateurs a Bolzano, lunedì 7 marzo, alle ore 18.00, presso il Centro Trevi di via Cappuccini.