Morto Giulio Andreotti

Impossibile disgiungere l'immagine (e il ricordo) di Giulio Andreotti dalle vicende dell'Italia repubblicana. Per molti versi, anzi, egli ne rappresenta il simbolo, dai più avvertito come oscuro e suscettibile di essere interpretato come la radice antropomorfizzata di ogni commistione tra ruolo delle istituzioni e i poteri occulti che delle stesse istituzioni si sono serviti per governare al loro posto. Andreotti è stato a lungo l'esponente di punta della Democrazia Cristiana, un partito formalmente estinto in seguito alle vicende dell'inchiesta "mani pulite", ma rinato in vari modi perché a lungo condizionante la formazione del ceto dirigente del Paese. Senatore a vita, ha ricoperto per ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio e moltissimi incarichi di governo.
Fin dal 1945 è sempre stato presente nelle principali assemblee legislative italiane, dalla Consulta Nazionale all'Assemblea costituente. La sua presenza in Parlamento (come deputato fino al 1991 e in qualità di senatore a vita) si è praticamente estesa fino alla morte. Nel 2003 ha subito un giudizio di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d'Appello di Palermo, ottenendo successivamente la prescrizione e il "non luogo a procedere".
Forse nessun politico italiano, al pari suo, è stato oggetto di ammirazione e disprezzo popolare (sentimenti non raramente legati e comunque alla base della sua grandissima fama). Tra i suoi soprannomi "Belzebù" e "Il divo" (epiteto scelto nel 2008 dal regista Paolo Sorrentino come titolo di un film a lui dedicato). Considerato di un'intelligenza ironica molto fine, sono rimaste celebri alcune battute. "Il potere logora chi non ce l'ha", la più famosa e riassuntiva di una vicenda che oggi, giungendo al termine, è definitivamente consegnata ai libri di storia.
Inevitabilmente, la figura di Giulio Andreotti è strettamente legata anche ai principali eventi politici dell'Alto Adige. Aveva infatti seguito in varie tappe la costruzione dell'autonomia - a cominciare dall'elaborazione del cosiddetto "decreto delle riopzioni" dopo la firma dell'Accordo di Parigi (1946) -, fino alla firma della quietanza liberatoria, vale a dire la chiusura del Pacchetto, sancita nel 1992 proprio sotto uno dei suoi governi.
ACHTUNG!
Meinungsvielfalt in Gefahr!
Wenn wir die Anforderungen der Medienförderung akzeptieren würden, könntest du die Kommentare ohne
Registrierung nicht sehen.