La dignità di morire
L'Italia, per quando riguarda alcuni temi, come quelli dei diritti individuali, è ancora un piccolo mondo antico, intimorito e ancorato alle sue salde rigidità. In materia di morte volontaria assistita, in particolare, non esistono ancora norme realistiche che forniscano una soluzione plausibile a certe delicate dinamiche.
Nei casi in cui la malattia è vissuta come una condanna inesorabile, ad esempio, quando l’umiliazione e l’impotenza diventano degenerative al pari della malattia stessa, sarebbe opportuno – per non dire doveroso – che la piena disponibilità di sé fosse un diritto inalienabile.
Una battaglia storica, questa, dell’area politica radicale e tornata prepotentemente sotto i riflettori dopo la vicenda della 29enne americana Brittany Maynard, che ha deciso di procedere al suicidio medicalmente assistito dopo che le era stato diagnosticato un cancro al cervello incurabile. “In questo paese c’è una grande ipocrisia, – spiega Donatella Trevisan, dei Radicali – perché non è che l’eutanasia non venga praticata, tutt'altro (certo sempre a discrezione di medici e famigliari), ma il nostro obiettivo qui è quello di legarla alle volontà individuali tramite il testamento biologico - già attivo in molti paesi europei - su cui poter specificare come agire riguardo la propria vita, e solo la propria, perché nessun danno viene fatto a terzi”.
Una battaglia storica dunque mai sopita: “C’è un’iniziativa specifica – prosegue Trevisan – che è in corso da circa due anni a favore dell’eutanasia legale, con una relativa proposta di legge e le firme già consegnate in Parlamento. Fra i maggiori promotori del ddl c'è soprattutto Wilhelmine Schett, moglie di Piergiorgio Welby, malato di SLA [morto nel 2006, ndr], che scrisse una lettera al presidente Napolitano per far riaprire il dibattito sulla questione della ‘dolce morte’ dopo Luca Coscioni, il quale aveva già posto il tema puntando però più sulla ricerca delle cellule staminali all’epoca del referendum sulla legge 40”.
Che il Vaticano si opponga all’esercizio di questo diritto non fa scandalo, la difesa del dono dell’esistenza, d’altronde, è un legittimo marchio di fabbrica clericale, contestabile è permettere alle autorità religiose di interferire nelle decisioni politiche di uno Stato laico, “è un problema che va imputato ai parlamentari – conferma la rappresentante dei Radicali – del resto anche sulla questione del divorzio breve la legge si è di nuovo incagliata, siamo un paese in cui il tema dei diritti civili è ancora a un punto ridicolo”.
Malgrado il quadro desolante l’opinione pubblica non è tuttavia così beghina come a volte può sembrare, “la maggior parte degli italiani – riferisce Trevisan – è favorevole, indipendentemente dalle sue posizioni politiche e religiose, alla regolamentazione della pratica dell’eutanasia e quindi alla possibilità di poter decidere autonomamente. Siccome per ora così non è, la Luca Coscioni assiste varie persone nel loro ‘fine vita’ accompagnandole in Svizzera dove l’associazione Exit permette di intraprendere questo percorso finale”.
Di positivo c’è che il concetto di eutanasia è stato, almeno su base culturale, quantomeno sdoganato, “in passato – sottolinea infine Trevisan - quando si parlava di questo argomento uno veniva subito tacciato di essere nazista, si nominavano i campi di concentramento, ora per fortuna le cose sono cambiate grazie alle iniziative pubbliche che sono state fatte soprattutto dai Radicali”.
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