Il lavoro delle madri
Mentre continua lo stallo sulle rate del PNRR, ferme a Bruxelles a causa dei ritardi sulle riforme, sembrano essere scomparsi dal dibattito i temi del lavoro e del welfare. I toni sono ormai quelli dello scontro con l’UE, che continua a ricordare gli impegni presi nella sottoscrizione del PNRR, ma il Governo ribadisce quanto sia necessaria una rinegoziazione, vista la non previsione dei recentissimi sviluppi geopolitici, che si ripercuoterebbe sui costi finali delle opere. L’attenzione si sta concentrando soprattutto sulle infrastrutture e sul mercato dell’energia, ma nell’enorme volume di denaro assegnato all’Italia (più di 235 miliardi di euro) sono ricompresi progetti per incentivare l’occupazione, con un’attenzione particolare a quella femminile, che in Italia soffre ancora del retaggio patriarcale, secondo il quale, ad occuparsi della famiglia e della casa deve essere necessariamente la donna. Una parte dei fondi, infatti, è stata stanziata proprio per cercare di colmare l’enorme gap occupazionale tra uomini e donne e, insieme ai progetti di impresa e lavoro, sono previsti investimenti per il welfare, dagli asili nido ai doposcuola. In Italia, in modo sistematico anche se con differenze tra le varie regioni, il ruolo familiare assegnato alle donne continua a pregiudicare fortemente la carriera lavorativa e segna ancora una differenza enorme tra donne con figli e senza.
Con un indice di 118,88 la Provincia Autonoma di Bolzano guida la classifica, dimostrando un’attenzione strutturale e costante nel tempo per il welfare familiare e femminile
È quanto fotografa il rapporto di Le equilibriste - La maternità in Italia 2023 di Save the Children, che, partendo dai dati statistici, fornisce un quadro esaustivo sulle difficoltà di essere madri nel nostro paese. Il report si apre con i numeri dalla tanto discussa denatalità per tracciare un quadro più ampio e spiegare i motivi per i quali non si fanno più figli. Nella propaganda generale, diventata più forte negli ultimi periodi, si addossa alle donne la colpa di non voler più diventare madri, ree di condannare il paese ad un presente, e a un futuro, di vecchiaia e pensioni non pagate, mentre in questa narrazione ci si dimentica dei padri, del tutto esclusi dal lavoro di cura della famiglia. Un’esclusione che si riverbera anche nella realtà quotidiana, che, come si evince dal rapporto, è ancora quasi completamente a carico delle donne. Fare figli è, infatti, l’evento che più impatta nella vita lavorativa di una donna: se le percentuali di disoccupazione tra uomini e donne senza figli, nella fascia d’età che va dai 25 ai 54, sono di fatto molto simili, nel confronto tra madri e uomini il divario si allarga di molto, con un picco per le donne tra i 25 e i 34 anni, che raggiunge il 18,4%. Anche quando si riesce ad ottenere un impiego sono comunque le donne ad avere tempi lavorativi ridotti, con un percentuale di part-time che raggiunge il 32% contro il 7% dei colleghi uomini: si tratta quasi sempre di part-time involontario, una scelta obbligata per far fronte alle necessità familiari.
Per cogliere con più attenzione le dinamiche lavorative, dal 2013 l’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) ha ideato la categoria della sottoccupazione, che corrisponde alla misura di quanti dichiarano di lavorare meno di quanto avrebbero potuto o voluto fare, per ragioni indipendenti dalla propria volontà: non sorprende che a dichiarare il tasso maggiore di sottoccupazione siano proprio le donne, che un percentuale che nel 2021 ha sfiorato il 12%.
Il problema del lavoro femminile non rappresenta una novità, ma sembra non essere così urgente da risolvere, nonostante sia acclarato che una maggiore occupazione femminile avrebbe dei riscontri molto positivi in moltissimi ambiti, a partire dall’aumento della produttività. A fare da spartiacque sono quindi le politiche alla genitorialità, ma, nonostante l’approvazione del Family Act al Senato nell’aprile 2022, moltissime misure devono ancora essere perfezionate, come l’estensione del congedo di paternità, l’aumento dei posti negli asili nido o la certificazione della parità di genere per le imprese. Fondamentale è poi anche il piano territoriale, che coinvolge gli enti regionali, provinciali e comunali in iniziative di sviluppo e di attenzione all’infanzia, con una parte di fondi del PNRR da utilizzare in un coordinamento tra Stato e Regioni.
In Italia, in modo sistematico anche se con differenze tra le varie regioni, il ruolo familiare assegnato alle donne continua a pregiudicare fortemente la carriera lavorativa
Per misurare il livello di soddisfazione generale Save the Children USA ha ideato un nuovo indicatore, il Mother’s Index International, che tiene conto di diversi fattori, dagli indicatori più classici quali, ad esempio, il tasso di fertilità o la presenza di asili nido, a quelli che riguardano più ampiamente il benessere delle donne e delle mamme, come il livello di soddisfazione soggettivo per la propria vita, il proprio lavoro o per le iniziative che riguardano la rete di protezione per le donne vittime di violenza di genere e i loro figli. In Italia sono state considerate 7 dimensioni di analisi: demografia, lavoro, rappresentanza, salute, servizi, soddisfazione soggettiva, violenza, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale ed è stata stilata una classifica che ha visto la Provincia di Bolzano arrivare prima tra le varie regioni. Con un indice di 118,88 la Provincia Autonoma di Bolzano guida la classifica, dimostrando un’attenzione strutturale e costante nel tempo per il welfare familiare e femminile, segnando un divario di 34,15 punti dalla Basilicata, l’ultima regione in classifica. I dati lasciano intendere un buon livello di soddisfazione per le madri, ma si è comunque lontani da una ripartizione equa del carico familiare tra uomini e donne, soprattutto nella parte organizzativa delle casa e della famiglia, ulteriore dato di differenza tra uomini e donne che rappresenta un importante carico mentale per la parte femminile della coppia. La strada è quindi ancora lunga.