Gesellschaft | LabourAcademy

Il futuro in 4D

Decarbonizzazione, cambiamento demografico, digitalizzazione e democrazia in azienda: la lezione della LabourAcademy sulle trasformazioni del mondo del lavoro
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Si è conclusa da poche settimane la prima edizione della LabourAcademy, una serie di incontri formativi rivolta a giovani rappresentati sindacali per allargare gli orizzonti sul mondo del lavoro e decifrare quale sarà il futuro dell’Alto Adige. Tra i principali fattori per descrivere le trasformazioni in atto nella società e nell’economia svetta il cambiamento climatico, dal momento che le sfide generate da questo fenomeno globale e il mercato del lavoro sono complementari. Ci dice di più Emiliano Campisi, ricercatore IPL e coordinatore della LabourAcademy insieme al ricercatore economico e sociale Thomas Benedikter (Centro Studi POLITiS), partendo da una formula: quella delle quattro “D”.

salto.bz: Innanzitutto, con quali presupposti è nato il progetto LabourAcademy?

Emiliano Campisi: Abbiamo organizzato questo progetto, che si è svolto da febbraio a giugno 2023, con l’obiettivo di offrire ai giovani che operano nel settore sindacale un corso di formazione sui cambiamenti nel mondo del lavoro seguendo la logica delle quattro D che stanno per la decarbonizzazione, il cambiamento demografico, la digitalizzazione e, infine, la democrazia e la partecipazione al lavoro.

Che tipo di contenuti avete trattato nello specifico?

All’interno del percorso formativo – il cui focus erano i lavoratori dipendenti e le famiglie – abbiamo affrontato diverse tematiche come, ad esempio, i cambiamenti climatici a livello di politica europea, italiana e altoatesina in particolare, e gli effetti che questi mutamenti hanno sul mondo del lavoro. La questione è stata trattata anche dal punto di vista sociale, con la crescita dei costi e dei prezzi dell’energia che ha portato alla povertà energetica e a una difficoltà di accesso alla materia prima, e abbiamo quindi analizzato le strategie migliori messe in atto dai vari stati europei per cercare di contenere questi incrementi. Siamo poi passati al tema della transizione energetica con il supporto di esperti provenienti dalla realtà dell’idroelettrico; ci siamo occupati di digitalizzazione riprendendo in mano i dati emersi dal workshop “Buon lavoro 4.0” del nostro Istituto datato 2018 e abbiamo approfondito il fenomeno dell’intelligenza artificiale (AI) con i cambiamenti che porta con sé. È una tecnologia, l’AI, che ha sicuramente luci e ombre, ma che potrebbe andare a influenzare principalmente alcune attività ripetitive e di routine ma di cui spesso si parla superficialmente citando disoccupazione tecnologica e automazione totale del mondo del lavoro, uno scenario che, ad oggi, non sembra plausibile. Abbiamo parlato inoltre del cambiamento demografico, del fatto che in Italia si fanno pochi figli – con l’Alto Adige in controtendenza date le condizioni di vita essenzialmente favorevoli – e dell’impatto di questo cambiamento su lavoro e sul welfare. Infine, la democrazia nelle imprese: abbiamo esaminato il modello austriaco-germanico dei consigli aziendali, mai davvero sviluppato in Italia. Qui, infatti, la partecipazione dei dipendenti è limitata, spesso non incisiva a livello di decisioni strategiche, anche per via del fatto che il nostro Paese è fatto di tante piccole e medie imprese e risulta quindi complicato applicare un sistema di questo tipo. In sostanza: ai giovani abbiamo cercato di dare delle linee di indirizzo che sono prioritarie per il futuro dell’Alto Adige.

Sono emersi timori da parte dei partecipanti al progetto relativamente ai cambiamenti del mondo del lavoro che avete analizzato?

I corsisti - tutti giovani sotto i 30 anni - erano particolarmente consci di determinati sviluppi a livello tecnologico (e non solo), come ad esempio riguardo l’intelligenza artificiale legata alla tutela della privacy e dei dati dentro e fuori l’azienda. Abbiamo analizzato alcune esperienze provenienti dagli Stati Uniti, osservando che paradossalmente l’AI si utilizza più nel reparto risorse umane che nei dipartimenti finanziari per fare una scrematura iniziale dei curricula. Questi sono sottoposti ad una prima valutazione in base a un algoritmo. Bisogna però specificare che questa è una pratica da tenere sotto controllo e, infatti, l’UE si sta già attivando in questo senso. Dai giovani è arrivata la proposta di inserire in futuro delle clausole nei contratti delle aziende che utilizzano questa tecnologia per assicurarsi che i lavoratori siano tutelati sotto tale profilo.

Siete al lavoro sul report finale della LabourAcademy, può già anticipare qualcosa?

Il report uscirà alla fine del mese di luglio. Includerà i contenuti illustrati nel corso e alcune ricerche, nonché un capitolo finale dedicato alle proposte che sono emerse. Durante il percorso ci siamo soffermati soprattutto su un punto, quello dei cambiamenti climatici, che infatti costituiscono la parte più corposa del progetto.

Del resto il rischio climatico è particolarmente rilevante per il Trentino e l’Alto Adige, dal punto di vista agricolo e turistico, come riferisce il rapporto annuale della Banca d’Italia sulle economie regionali appena pubblicato.

Esatto. La questione riguarda in che modo, con da una parte l’aumento delle temperature e gli impatti sugli ecosistemi naturali dell’Alto Adige e dell’altra gli sforzi di decarbonizzazione sempre più intensi che bisognerà mettere in atto da qui alla metà del secolo, si manifestano, nel tempo, gli effetti del climate change. Ci sono settori che potrebbero soffrire di più, come conferma il report della Banca d’Italia, il quale evidenzia che l’Alto Adige ha un indice di impatto potenziale dei cambiamenti climatici più alto rispetto al Trentino e alla media italiana. Va anche detto, tuttavia, che l’Alto Adige presenta risorse di adattamento maggiori, sia economiche che istituzionali, per fronteggiare questi pericoli. L’agricoltura è uno dei settori più a rischio; in quanto alle misure di adattamento più efficaci citiamo la variazione dell’altitudine dei campi e la diversificazione delle colture, senza contare i provvedimenti che tutelino dalla siccità o dalla minaccia dei parassiti.

A proposito di strategie nel report di Banca d’Italia c’è anche un breve focus sulle conseguenze che la tempesta Vaia del 2018 ha avuto sulle presenze turistiche. Cosa abbiamo imparato?

Nei tre anni successivi alla tempesta nelle zone maggiormente colpite, con il paesaggio mutato, si sono verificati effetti considerevoli sul turismo, soprattutto estivo. La possibilità che eventi del genere accadano nuovamente non è nulla, anzi, è un rischio che cresce insieme all’aumento delle temperature. Per questi eventi non esistono misure di adattamento che riducano a zero la vulnerabilità del territorio, e, infatti, in questo caso rientriamo nella definizione di ciò che viene chiamato “Loss and Damage”, cioè perdite e danni causati dagli effetti dei cambiamenti climatici e per cui non c’è una possibilità di adattarsi al 100%. Nonostante ciò, come territorio alpino abbiamo la possibilità di adattarci a questi cambiamenti destagionalizzando l’offerta turistica ovvero spalmando la stagione turistica lungo tutto il corso dell’anno. In un futuro non troppo lontano potrebbero esserci inverni particolarmente caldi da non permettere lo svolgimento di una stagione invernale sufficientemente lunga da coprire i costi degli operatori del settore; a ciò aggiungiamoci una potenziale minore disponibilità idrica e un costo elevato dell’energia, che renderebbero insostenibile dal punto di vista economico e ambientale l’utilizzo della neve artificiale per periodi prolungati. In sintesi, destagionalizzando i flussi turistici, si andrebbe in contro a minori perdite per gli operatori della filiera. Su questo, come evidenzia la Banca d’Italia, sia l’Alto Adige che il Trentino possono fare di più, poiché le presenze medie nei comuni appartenenti ai comprensori sciistici sono concentrate nei mesi di dicembre-febbraio e giugno-agosto, con ampi margini di miglioramento durante le mezze stagioni.

In Alto Adige quanto è alto il rischio del processo di transizione delle imprese verso un’economia a basse emissioni?

La nostra provincia è meno soggetta a tale rischio in quanto sul territorio operano meno aziende energicamente intensive, di contro è più esposta ai mercati internazionali, soprattutto quelli di Austria e Germania che sono molto legati al settore automotive, uno dei primi a entrare in una fase di decarbonizzazione. L’Alto Adige è fortemente specializzato nella produzione di componenti per le auto, le aziende stanno operando cambiamenti a livello di approvvigionamento energetico, e sono perciò molto attente da quel punto di vista.

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I partecipanti del secondo incontro della LabourAcademy