Japan goes global
L’università di Hosei a Tokyo, in Giappone, ha 130 anni, ci studiano 30mila studenti ed è uno degli istituti più prestigiosi e antichi di tutto il Sol levante. Nel novembre 2013, a dispetto del celebre tradizionalismo refrattario nipponico, Yuko Tanaka, già studentessa e professoressa della Hosei, è stata la prima donna ad essere nominata rettore di una università. Questa elezione – come riporta l’articolo apparso ieri sul New York Times – è stata accolta come un segno di apertura e innovazione da Tanaka che incoraggia i suoi studenti ad andare all’estero perché “la società e le aziende giapponesi stanno cambiando e diventerà sempre più difficile sopravvivere a meno che non si investa in un’esperienza di studio e di vita all’estero”, dice Tanaka, secondo cui l’università ha il preciso compito di illustrare questa opportunità ai giovani, i quali, essendo stati per generazioni poco esposti alle culture straniere, non hanno ancora familiarità con una tale idea di “modernità”.
E così molte università stanno seguendo l’esempio di Hosei provando a internazionalizzarsi e dunque facendo i conti con il passare del tempo, senza stigmatizzare la globalizzazione come causa di tutti i mali. Pur mantenendo vigile la propria coscienza culturale, sociale e civica la “progressista” università giapponese ha progetti ambiziosi per i suoi “virgulti”: chi decide di andare a studiare all’estero, infatti, viene sovvenzionato dall’istituto con un milione di yen (circa 6.700 euro). Il traguardo da raggiungere è triplicare entro il 2023 il numero di studenti giapponesi all’estero - che dal 2004 a oggi sono cresciuti esponenzialmente: da 398 a 875 – e di arrivare ad accogliere un 10% tondo di allievi stranieri nelle aule di Hosei.
Tutta questa esterofilia, come prevedibile, non è stata salutata da tutti con sfrenato entusiasmo; alcuni detrattori infatti parlano di “imperialismo della lingua inglese”, mentre Tanaka insiste sull’assoluta necessità di “mobilitare la conoscenza del mondo per realizzare i nostri obiettivi” e quindi di non aggiungere pagine alla forma più reiterata di conservatorismo e sciovinismo, vicoli ciechi di una società in metamorfosi costante.
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