Brecht, oggi
Dopo il successo del debutto in prima nazionale al Teatro Sociale di Trento, arriva a Bolzano “Peachum. Un’opera da tre soldi” il nuovo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Fausto Paravidino – assieme a Rocco Papaleo - e liberamente ispirato a “L’Opera da tre soldi” di Bertolt Brecht (da giovedì 11 a domenica 14 novembre al Nuovo Teatro di Bolzano).
Per noi pubblico del Teatro Stabile, quella di Paravidino, a Bolzano, è una presenza che definirei assodata. Il nostro palato negli anni ha imparato a degustare i sapori della sua scrittura fulminea, penetrante, schietta, che non per niente lo annovera tra i grandi drammaturghi del nostro tempo. Tanto che è uno dei pochissimi autori italiani rappresentati alla Comédie Française. Tanto che ha scritto il suo “Noccioline” durante una residenza per drammaturghi nientemeno che al Royal Court Theatre, il teatro londinese nato negli anni ’60 con il preciso scopo di promuovere opere sceniche inedite e innovative, per volontà di George Davine, fermo sostenitore della necessità di promuovere istituzionalmente la nascita dei nuovi drammaturghi.
Fausto Paravidino di certo non è più un “nuovo” drammaturgo, e in questa riscrittura de “L’Opera da tre soldi” ripete quanto lo stesso Brecht fece a suo tempo con la “Beggar’s Opera” di John Gay del XVIII secolo. Passati quasi cento anni dalla prima messa in scena del 1928, ci troviamo di fronte a un testo tanto attuale, quanto critico verso la società.
E’ così smisurata la mancanza
di quello che vogliamo (possedere)
che non esiste un tesoro che basti
a metter la cintura al desiderio,
ma è così tanto quello che avanza
di ciò che volevamo (l’altro ieri)
che il mio problema di questa mattina
è proprio dove mettere gli scarti
ora che arriva nuova volontà.
(…)
SCAVENGE, Fausto Paravidino
salto.bz: Benvenuto! Partirei con il chiederti come è stato (ri)scrivere Peachum. Principalmente del tuo lavoro conosciamo testi, commedie nate dal bisogno ispirato da storie vissute in prima persona, e non solo. Tu stesso racconti come i personaggi ti si impongano, come nascano e si sviluppino attraverso le loro parole. Questa volta invece parti da un personaggio che esiste già, che già ha parlato, quindi immagino che il lavoro di scrittura debba essere stato diverso.
Fausto Paravidino: Sì, ma lo è relativamente, nel senso che un po’ ci sono già passato. Ho scritto Genova 01 sui fatti di Genova, quest'anno Genova 21 - anche se comunque dopo il lavoro di Peachum -, una storia assolutamente e terribilmente esistente, per cui non ho dovuto inventare neanche una parola. Poi ultimamente, prima al Teatro Valle, poi con dei teatri francesi, ho fatto delle riscritture completamente libere, fantasiose, inventate, di due libri della Bibbia, il Libro di Giobbe e la storia di Abramo, e lì mi sono confrontato non con Brecht, ma con Mosè addirittura! E dopo aver riscritto l'autore jahvista, Brecht lo si può maneggiare con una una certa disinvoltura (ride). Comunque, sì! Peachum è una riscrittura molto molto libera e sono partito dallo studio de “L’Opera da tre soldi”. Come al solito quando hai a che fare con un lavoro del genere, ti dici, “Vabbè, mi sembra già ben fatto e che non ci sia niente da migliorare.” Però il teatro vive nel presente, per cui il compito, la difficoltà, non era migliorare la commedia, che a migliorare Brecht ti puoi anche arrendere in partenza, ma cercare di capire cosa quella storia e quella trama debbano dire oggi per le nostre orecchie. Le orecchie del pubblico si rinnovano, quindi necessariamente si rinnova anche la nostra voce.
E perché la scelta è ricaduta proprio su questo personaggio?
Intanto, per fortuna, partiamo dal fatto che già “L'Opera da tre soldi”di Brecht è una riscrittura. Ha preso il nucleo di una storia molto, molto semplice e anche molto, molto divertente, e ha pensato ‘Adesso, nel mio contesto storico, che cosa è cambiato, che cosa dobbiamo dire, in che modo la dobbiamo aggiornare?’. E così l’ha aggiornata alle dinamiche economiche degli anni Venti del secolo scorso, del tutto diverse da quelle settecentesche della matrice di John Gay. Io, a mia volta mi sono chiesto ‘Aggiornandole ad oggi, queste dinamiche, sono le stesse di Brecht o sono cambiate?’ A prima vista sembrano le stesse, si sta parlando di un capitalismo violento, e con cos’altro abbiamo a che fare noi, se non con un capitalismo violento? Guardandole meglio, però, mi sono invece reso conto che in effetti queste dinamiche erano in realtà cambiate, che bisognava aggiungere qualcosa. Brecht vedeva un capitalismo che era praticamente alla sua nascita e che si confrontava con altre forze dialettiche, naturalmente con il socialismo nascente, ma anche con il cristianesimo e con una cultura cristiana molto forte, una cultura che nella commedia c'è, parla e si esprime. Adesso quelle due forze dialettiche sono molto in crisi, non parliamo nemmeno del socialismo, ma vale anche per il cristianesimo inteso come modo di vivere e di affrontare la realtà. Come dice Varoufakis “Non siamo una società CON un mercato, siamo dentro una società DI mercato”, per cui, come già temeva Foucault, tutte le cose, anche le relazioni sentimentali, umane e amorose vengono viste attraverso una logica di mercato, divenuto la nostra unica lingua. Per questo il protagonista diventa Peachum e lo diventa in un contesto dove la dialettica non c'è più, dove il capitalismo è l'unico elemento rimasto e che rappresenta il pensiero unico. Qundi, anzichè costruire un dramma dialettico come quello di Brecht, in cui il capitalismo di Peatchum entra in conflitto con altre forze, l'unica cosa che ho potuto fare è avere Peachum come protagonista e mandarlo in conflitto con se stesso, costruendo qualcosa che assomiglia più alla commedia dei vizi di Molière. E qual è il vizio del capitalista? In che modo può andare in crisi? Questo è stata la base del lavoro, molto divertente, che mi ha richiesto tanto tempo, tanto studio, insieme anche agli altri attori.
In Brecht, in effetti, il Cristianesimo, i dogmi della Bibbia, sono costantemente un punto di riferimento per i personaggi.
Infatti in Brecht, Peachum continua a confrontarsi con gli altri e con se stesso, chiedendosi “Quello che noi facciamo, è giusto?” E cerca di far convivere la morale cristiana con il suo voler fare del denaro.
E qui invece la morale dov’è?
Qui la morale non c’è più. Lo vediamo nelle parole del nostro governo Draghi, che ha contemporaneamente: governo, opposizione e morale. C’è un'idea di libero mercato come soluzione per ogni problema, il libero mercato diviene creatore e soluzione degli stessi problemi che crea. Per questo non sentiamo il bisogno di guardare fuori, di guardare altro. Il “resto”, la religione, la solidarietà sociale e via dicendo, sono divenuti hobby.
Se il conflitto si riduce a un conflitto con te stesso, tu stesso puoi darti la risposta, e questa dipende unicamente da come sei.
Sì, dipende da come sei tu, con la conseguente totale personalizzazione del problema. E proprio di questo parla la nostra commedia. Un tema che mi sembra sia la cifra del nostro periodo storico.
Quindi tornando alla tua operazione di attualizzazione di Brecht…
In pratica prendo la trama di Bertolt Brecht, che è la trama di John Gay, ma anche la trama di Otello, ovvero una trama molto antica, dove c’è un padre che non vuole maritare la figlia ed entra in crisi. Scopre però che il suo desiderio di non veder maritare la figlia non è, come in Brecht, una emanazione del suo desiderio di possesso, ma è un altro sentimento, un sentimento che è fuori mercato e per questo non conveniente. Ne consegue che anche lui dovrà cominciare a fare i conti con tutte le parti della sua anima che non sono convenienti, che non sono misurabili con una logica di mercato. E in questo, piano piano, scoprirà un altro mondo.
Così come Brecht a suo tempo ha segnato un punto di rottura con gli schemi tradizionali, anche la tua scrittura è riconosciuta da sempre come innovativa, origine per nuove prospettive nel linguaggio. Come hai lavorato sul linguaggio?
Sono partito nella mia ricerca linguistica da un iperrealismo, ovvero cercare di portare la verità in scena facendo parlare i personaggi così come parlano gli esseri umani. Poi da lì, mi sono chiesto “Com’è che questo linguaggio si può anche elevare?” Sono passato attraverso la scoperta, per esempio, che gli esseri umani non parlano in prosa, ma parlano in versi (ride) e piano piano sono andato a conquistare un linguaggio che, senza smettere di essere vero, potesse essere anche alto senza farsi accorgere. In Peachum ci sono delle piccole commistioni linguistiche, ci sono piccole parti in versi ogni tanto, e soprattutto non posso far finta che L'Opera da tre soldi non sia stata scritta da Brecht insieme a Weill! E quindi abbiamo anche la musica.
Per il teatro di Brecht, la musica aveva un ruolo ben preciso, fungeva da momento di interruzione della scena. Brecht auspicava che attraverso il momento musicale si creasse quel momento di “straniamento” per cui lo spettatore avrebbe sospeso l’immedesimazione in ciò che veniva rappresentato, assumendone una posizione critica. In Peachum invece, la musica come si inserisce?
Per Brecht la musica è una specie di cavallo di Troia, nel senso che lui cerca di fare un'operazione dialettica particolarmente raffinata e violentemente socialista, in una forma il più popolare possibile: “Venite a vedere il teatro musicale, che tanto a tutti quanti piace vedere il teatro musicale, e attraverso questo vi propongo certi contenuti”. Questo discorso noi non lo potevamo fare, perché il teatro musicale è l'unica cosa che annoia più del teatro, non è certo un’azione popolare fare il teatro musicale! Allora ci siamo chiesti “Qual’è adesso l'equivalente del cavallo di Troia, per dire Venite a divertirvi?” Sono sicuramente il comico, e infatti c’è Rocco Papaleo – perché la commedia fa anche molto ridere - e il rock'n'roll. Rock’n’roll è una parola che sa già di vintage, ma comunque con un impianto musicale che ti fa alzare in piedi.
La scelta di Rocco Papaleo è stata quindi anche funzionale.
Volevo cercare di costruire uno spettacolo popolare, o per lo meno che sembrasse popolare, quindi con un attore molto molto amato dal pubblico che avesse anche delle corde comiche e un impianto rock.
Un altro aspetto interessante è l’universo femminile della commedia. In Brecht un universo piuttosto triste, popolato da donne gelose, traditrici, interessate. Tra queste Jenny, la prostituta, la misera, è l’unica aad alzare la voce di accusa contro lo sfruttamento subito, mossa da un moto di ribellione, mentre al suo apparente opposto c’è Polly, la figlia di Peachum, ingenua e irritante...
Polly in realtà è un personaggio controverso. Non capisci mai se lavora per amore o per interesse, se scopre l’interesse e anche lei diventa un bandito. E’ un bellissimo personaggio.
In Peachum sono tre le donne. Quello che per Brecht era il capo della polizia, per noi è diventata la Sindaca che si chiama Rosalba. Da politico tiene i piedi in due scarpe, sperando, in perfetta buona fede, di riuscire a fare di queste due scarpe una, ma non ci riesce. Una scarpa sono i suoi ideali, belli o brutti che siano, l'altra è fare i conti con una società di mercato che fa finta di essere una società non ideologica ma che invece è fortemente ideologica, per cui tenere i piedi in quelle due scarpe non è possibile. Basta ricordare cosa è successo a Tsipras, che con il sostegno democratico non è stato in grado di ribellarsi ad un ordine di mercato, pur avendo il mandato popolare per farlo.
Poi la nostra Polly, che è una Polly completamente naif. A differenza di quella di Brecht, non ha sangue di Peachum, è una completa alternativa a Peachum e illumina la parte di Peachum che è fuori mercato, infatti è solo sentimento. E infine c’è la moglie di Peachum, un personaggio molto strano. Quando all’inizio abbiamo cominciato a lavorare, ci chiedevamo di continuo “Ma questo personaggio ci serve, non ci serve? A parte il fatto che ci diverte, diventa un di doppio Peachum o cos’altro diventa?” Continuavamo a non capirla, a non capirne l'utilità ai fini della commedia, ma contemporaneamente a sentire che in tutte le scene lei si comportava in un modo molto molto preciso, che era una persona. Non so cosa rappresenta, ma è fortemente una persona ed è molto molto amata dal pubblico. Come se, anche dicendo delle cose terribili e assurde, avesse una specie di suo senso comune, un suo buon senso, in cui il pubblico si riconosce. E’ quella che il pubblico usa per comprendere la commedia, per comprendere suo marito.
Brecht affida al teatro un ruolo “politico”, un compito di svelamento offerto ad un pubblico che vorrebbe il più ampio possibile. Secondo te il teatro di oggi, riesce ad avere questo ruolo?
Per il momento no. Noi cerchiamo di richiamare il pubblico più ampio possibile all'interno del pubblico teatrale. Chiamare un pubblico che abiti al di fuori dei confini del pubblico teatrale, adesso è molto difficile e molto raro. Il teatro è marginalizzato completamente dal discorso pubblico. Tanto per incominciare i politici una volta andavano a teatro, adesso non ci vanno più, per cui non regge lo specchio della società. La stessa cosa succede ai giornalisti. Ci vanno quei quattro sfigati di critici, a teatro, ma chi scrive davvero sui giornali, non ci va.
Quindi tu chi vorresti vedere a teatro?
Io vorrei vedere quelli che un mio amico, Marco Taddei, un collega drammaturgo, chiama i civili. Noi, a teatro, abbiamo soprattutto addetti ai lavori o professionisti dell’andare a teatro, i cosiddetti abbonati, che ci fanno tanto bene e che sono il nostro zoccolo duro e che non mi permetterei mai di trattare con condiscendenza, ma è una parte veramente piccola della società. Vanno a teatro, sono abituati a un certo tipo di discorso culturale, sono quasi impossibili da turbare perché essendo un pubblico che ci va, a teatro, per fortuna ha visto quasi tutto. Una volta avrei detto che avrei voluto vedere quelli che vanno al cinema, ma ora al cinema non ci va nessuno, quindi mi piacerebbe venissero tutti quelli che vengono a teatro per caso, ogni tanto, perché hanno il fidanzato, il fratello che fa l'attore e si trovano a dire “Ma dai, mi è piaciuto tantissimo”.