La poesia che resiste al genocidio
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Yahya Al Hamarna compone le sue poesie di notte, alla luce fioca della torcia del telefono o di una candela, mentre fuori dalla sua tenda i bombardamenti, l'assedio e i droni dell’esercito israeliano non danno tregua. Così, tra esplosioni, macerie e polvere, per quasi due anni il 24enne palestinese ha lavorato a La mia voce non può essere bombardata, raccolta di versi in cui riflette sulla sua vita e documenta ciò che accade nella Striscia di Gaza. “Dal 2023 mi sono spostato tra Rafah e Khan Younis, poi di nuovo ‛a casa’, in una tenda per sfollati nella parte occidentale di Gaza. Ogni volta che riuscivo ad ambientarmi un po’, i raid israeliani mi costringevano a partire”, racconta a SALTO Al Hamarna.
Nato nel 2001 nella zona Ovest di Gaza City da una famiglia di rifugiati originari di Zarnuqa – un villaggio al centro della Palestina abbandonato forzatamente nel 1948 in seguito alla Nakba –, fin da piccolo Yahya Al Hamarna si interroga sulla sua condizione di rifugiato all’interno della città in cui è nato. È questa la ragione iniziale che lo spinge a dare voce al suo popolo attraverso la parola scritta. Dopo il diploma, si iscrive alla facoltà di Scienze politiche con specializzazione in Relazioni e diplomazia internazionale dell'università Al-Azahr. “Mi sarei dovuto laureare quest’anno – dice –, ma dal 7 ottobre 2023 il sistema scolastico è collassato e, come tutti, ho perso praticamente due anni”. Quanto descritto dall’autore gazawi è confermato dai dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi: da ottobre 2023, 432 edifici scolastici – pari al 76,6 percento delle scuole di Gaza – sono stati colpiti direttamente, mentre il 97 percento delle infrastrutture educative è stato danneggiato o distrutto. Di questi, 518 su 564 (circa il 92 percento) avranno bisogno di una ricostruzione completa o di interventi di riabilitazione significativi prima di poter tornare pienamente funzionali.
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In questo contesto, di fronte a una vita sotto occupazione e a una tregua che è tale solo sulla carta (vedi infobox in fondo all’articolo), per Al Hamarna scrivere non significa solo mettere parole sulla carta, ma rappresenta soprattutto un atto di resistenza e uno strumento per volgere lo sguardo al futuro. “La mia scrittura segue due tensioni principali: da una parte speranza, resistenza e forza, dall’altra tristezza e sofferenza – spiega –. Lascio però che sia la prima a guidarmi, perché fare a meno della speranza significherebbe rinunciare alla vita stessa”. E così, la sua voce resiste con tenacia al genocidio tuttora in corso nella Striscia, alle restrizioni degli aiuti umanitari, alla distruzione del sistema sanitario, alle piogge incessanti e al freddo dell’ennesimo inverno vissuto in una tenda.
Lo fa, per esempio, immaginando di essere “un aeroplano di carta che voli in qualunque luogo io voglia”, in grado di abbracciare le persone care perdute e demolire i muri dell’apartheid. Allo stesso tempo Al Hamarna accende i riflettori sulle sofferenze del popolo palestinese e dà spazio alla memoria di un tempo che oggi sembra lontanissimo: se il ritmo serrato delle strofe di In un solo minuto descrive l’ansia e la paura che precedono la fuga prima di un bombardamento, Il canto degli uccelli ondeggia tra il ricordo di piccoli gesti quotidiani – “Un caffè, un libro e la calma con il suono degli uccelli che cinguettano…” – e la speranza di poter tornare, un giorno, a vivere libero.
Per Al Hamarna scrivere è soprattutto un atto di resistenza e uno strumento per volgere lo sguardo al futuro.
“Una delle poesie a cui sono più legato è Quando sopravviverò. Scrivendola ho esplorato nel profondo la mia sfera personale”, spiega il poeta. Questo componimento rievoca alcuni momenti quotidiani che il genocidio ha cancellato, dando forma a una sorta di “lettera di intenti” da realizzare una volta che l’orrore sarà finito: bere una tazza di caffè al mattino ascoltando la musica di Fairuz, fare una doccia calda, guardare un film con Robert De Niro, leggere un libro accanto alla finestra, passeggiare nel parco respirando l’aria fresca e il profumo dei narcisi, andare in Spagna per vedere dal vivo una partita del Real Madrid. “Queste azioni, per molti banali, per noi palestinesi sono tuttora irrealizzabili. Anche solo bere una tazza di tè senza paura è un lusso; sedersi circondati dal silenzio, senza i rumori dei bombardamenti, un sogno rimandato”.
Seppure confinato ancora nella Striscia, in questi due anni la forza delle parole ha permesso a Yahya Al Hamarna di tessere legami con persone lontanissime, fino a far viaggiare i suoi versi ben oltre i muri di Gaza. L’11 agosto di quest’anno, giorno del suo ventiquattresimo compleanno, My Voice Cannot Be Bombed – pubblicato dalla casa editrice Isra Books – è stato presentato a Cardiff, in Galles. Dopo il Regno Unito, le sue poesie hanno raggiunto l’Olanda e, infine, l’Italia. Un ruolo decisivo in questo percorso lo ha svolto la bolzanina Giulia Frasca, che ha conosciuto Al Hamarna pochi giorni dopo il 7 ottobre 2023.
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“Insieme ad altre persone sono entrata in contatto con alcuni cittadini palestinesi che denunciavano il genocidio in corso a Gaza”, ricorda. Dalle prime richieste di aiuto – soprattutto per evacuare i feriti e garantire donazioni alle famiglie –, il suo impegno è continuato tramite l’incontro con la giornalista e scrittrice Roberta Lippi e l’adesione al gruppo Watermelon Italy. Tra le famiglie assistite c’era anche quella del poeta palestinese. “Prima che chiudessero il valico di Rafah abbiamo aiutato molte persone a lasciare Gaza – aggiunge Frasca –, ma Yahya è rimasto nella Striscia e con lui i rapporti sono proseguiti nel tempo”. Al Hamarna ha così condiviso le sue poesie con Frasca e le altre persone coinvolte, aprendo un varco tra la sua vita sotto assedio e chi, qui in Alto Adige e in Italia, voleva ascoltare la sua voce.
Colpita dalla potenza dei versi di Al Hamarna, Sabrina Bussani, responsabile della Biblioteca delle culture del mondo di Bolzano, ha proposto di provare a pubblicare la raccolta anche nel nostro Paese. “Ci siamo subito attivate: Laura Mautone e Daniela Zambaldi si sono occupate della traduzione delle poesie in italiano, mentre grazie a Patrizia Zambai siamo entrate in contatto con la casa editrice Scarabocchio, che ha aderito immediatamente al progetto”, prosegue Giulia Frasca. A fine novembre il libro è stato presentato a Bolzano. Al Hamarna si sarebbe dovuto collegare online da Gaza, ma a causa delle interruzioni di elettricità nella Striscia non ha potuto essere presente. “Ho pubblicato il mio libro ma non posso tenerne in mano uno copia, né partecipare alle presentazioni e incontrare il pubblico”, riprende l’autore, che sottolinea però come “anche se io non posso uscire da Gaza, la mia voce non conosce confini”.
Yahya Al Hamarna ha aperto un varco tra la sua vita sotto assedio e chi, qui in Alto Adige e in Italia, voleva ascoltare la sua voce.
Nonostante la distanza e le sofferenze quotidiane, Yahya Al Hamarna non smette di guardare al mondo esterno. Le sue poesie, accolte con entusiasmo dal pubblico europeo, saranno presto pubblicate anche in Canada. Attualmente sta lavorando al suo secondo volume, The memory of the orange, in cui saggistica, giornalismo, poesia e memoir si intrecciano, mettendo in luce la resistenza e la vitalità e raccontando il desiderio di normalità. Anche attraverso queste pagine lo scrittore non si limita a raccontare la propria esperienza, ma allarga la prospettiva sulla condizione del suo popolo e sulla necessità di prendere posizione. “Anche noi abbiamo il diritto di vivere, ma quando si tratta della Palestina la comunità internazionale non alza un dito”, osserva. E a questo proposito rivolge un invito chiaro e diretto al pubblico europeo: “Seguite e diffondete le notizie sul genocidio, non smettete di parlare di noi, scendete in piazza. Continuate a farlo fino al giorno in cui la Palestina sarà libera”.
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Le violazioni del "cessate il fuoco"
Dal 10 ottobre 2025, giorno dell’entrata in vigore del presunto “cessate il fuoco”, al 9 dicembre 2025, Israele ha violato la tregua in 50 giorni su 61. In questi due mesi 377 palestinesi sono stati uccisi e 987 feriti, mentre soltanto 7.616 camion di aiuti umanitari sono riusciti entrare a Gaza, a fronte dei 36.000 previsti.
Fonte: Ministero della salute palestinese / Gaza Government Media Office / United Nations for Project Services
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