“Quelle donne hanno ragione”
In questi giorni sta facendo molto discutere la lettera al quotidiano Dolomiten scritta da Maria Theresia Bertoluzzi, moglie del gestore della Kuhleitenhütte di Merano 2000 Karl Gruber, deceduto nell’aprile 2016 sotto una slavina in val Martello. Successivamente intervistata da Rai Südtirol la signora Bertoluzzi che risiede a Meltina ha rincarato la dose, dicendo di parlare anche a nome di due amiche di famiglia che negli anni precedenti con i loro figli hanno dovuto vivere la medesima tragedia. “Wir sind alle sierig” (Siamo tutte incazzate) ha dichiarato senza mezzi termini la vedova di Gruber ed è stata questa citazione a fungere da titolo per un articolo scritto da Susanne Pitro sul nostro portale, diventato rapidamente virale nei social network.
Il tema della responsabilità degli alpinisti nei confronti delle loro famiglie (soprattutto quelle tradizionali in cui il maschio capofamiglia è anche l’unico pilastro economico) non è nuovo. Ma assolutamente nuovo è invece il fatto che le donne altoatesine a quanto pare stiano infrangendo in queste ore un vero e proprio tabù, portando il dibattito al di fuori della loro cerchia familiare. Dove finora hanno in pratica sofferto in silenzio.
Essendo divenuto pubblico il dibattito, Salto ha deciso di allargare il discorso. Sentendo la guida alpina Hanspeter Eisendle, che ha portato le ‘ragioni’ dell’escursionismo e ponendo ancora una volta il tema del limite e della ineluttabilità di certe cause di incidenti.
Alla parola di Eisendle abbiamo quindi pensato di aggiungere anche quella di Renzo Caramaschi che, oltre ad essere oggi sindaco di Bolzano, è da anni non solo appassionato escursionista ma anche autore di guide di grande successo. Oltre che di romanzi che hanno come ambientazione proprio la montagna
Sindaco Caramaschi, lei come vede questo sfogo delle vedove che richiamano alle loro responsabilità gli alpinisti con famiglia?
Renzo Caramaschi - Va premesso un fatto. E cioè che ora facendo il sindaco posso oggi rischiare l’infarto in Municipio, ma non certo di finire sotto una valanga. Io che sono appassionato di escursionismo infatti ormai da più di 6 mesi non riesco a fare nulla in questo senso.
In ogni caso quelle donne hanno assolutamente ragione. La passione per la montagna va bene, ma quando uno ha famiglia la passione per la vita deve prevalere. Un incidente può sempre capitare ma quello di ridurre i rischi al massimo dovrebbe essere un dovere. Nei confronti di sé stessi perché la vita non va buttata via, ma anche verso la famiglia o dei bambini se uno ne ha. La passione deve dunque sempre essere commisurata alle responsabilità che si sono poste in essere. Una volta che l’uomo è rimasto vittima di un incidente le donne restano sole a tirare avanti la famiglia, cosa che oggi è tutt’altro che facile.
Dunque è un bene che finalmente il tema sia venuto fuori, rompendo una sorta di tabù che è durato per anni. Un blocco che portava a vivere il proprio dolore esclusivamente nella sfera privata.
Quella signora è stata coraggiosa. In genere si tende ad enfatizzare, dicendo “la montagna l’ha preso” e cose di questo genere. Ma in realtà spesso si incorre in forme di azzardo che non sono giustificabili.
“Quando si va in montagna in certe occasioni bisogna avere il coraggio di fermarsi. Non confondendo appunto il coraggio con l’azzardo.”
La fatalità quando si pratica uno sport che comporta dei rischi è sempre dietro l’angolo. Ed è proprio a ciò la signora Maria Theresia Bertoluzzi ha dedicato il suo sfogo. Dicendo che spesso i padri di famigli alpinisti non considerano a sufficienza questo aspetto, unitamente al fatto che il rischio personale di per sé è anche un fattore oggettivamente spalmato sul futuro di moglie e figli. Ma lei sindaco come vede gli sport estremi? Negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede. E sport estremo oggi è sempre più anche praticare alpinismo e sci alpinismo anche quando è vivamente sconsigliato.
Io personalmente sono contrario a tutte quelle pratiche in cui si gioca con la propria vita per avere una scarica di adrenalina. Le probabilità di perdere la vita sono troppo elevate rispetto alla soddisfazione che si ha. Puoi essere allenatissimo e preparato mentalmente, ma basta un niente perché avvenga una tragedia. Per alcuni diventa una professione perché sono sponsorizzati e fanno documentari. In parte posso capirli, è un po’ come quello che fanno i domatori, quando mettono la testa dentro la bocca delle tigri.
“Io penso che la natura sia bellissima. E’ da gustare e da vivere, immergendosi, però ricordando sempre che è fondamentale poter ritornare per ricordarsi dell’esperienza vissuta. Il ragionamento deve essere: è stato così bello che mi viene la voglia di ritornare.”
Lei ha scritto diverse guide escursionistiche. In quei contesti come ci si organizza per segnalare i rischi agli appassionati?
Nelle guide i percorsi sono caratterizzati da diverse gradazioni di difficoltà. Si tratta di riferimenti oggettivi al tipo di percorso, e cioè ad esempio se è esposto o meno. Ma però nelle guide non si può fare riferimento alle condizioni climatiche. Un percorso facile in una stagione dove c’è tanta neve può diventare pericolosissimo ed anche paradossalmente più pericoloso di una parete verticale senza neve. Oggi come oggi la finzione dei film e dei documentari falsifica un po’ quella che è la realtà delle cose, dando spesso spazio nell’uomo alla presunzione, tanto più che oggi si è allargata di molto la fascia degli appassionati. Molti poi non sono preparati a sufficienza e quindi oltre alle condizioni climatiche spesso vongono sottovalutate anche le condizioni fisiche con cui ci si incammina. Lasciando spazio magari anche alla tendenza a voler fare assolutamente una cosa, anche se invece le condizioni la sconsiglierebbero.
Questo vale anche in questo inverno senza neve?
Spesso basta un nulla. Dallo scorso autunno in realtà sono riuscito ad andare in montagna solo una volta. Non c’è neve e quindi l’erba è tutta gialla, ma bisogna prestare attenzione perché sotto l’erba c’è umidità che con il freddo diventa ghiaccio. La c’è anche se non si vede e proprio per quello diventa insidiosissima. Per questo motivo in questo inverno per camminare sui prati ripidi ci vogliono i ramponcini, altrimenti è un attimo scivolare in un canalone e spaccarsi tutto. E’ come giocare con la roulette russa ed è molto più pericoloso di quando c’è la neve, dvoe basta piantare il piede per avere il sostegno. Queste cose si devono sapere ed agire di conseguenza ed è una questione di responsabilità. Per tutti.
Per fortuna nella discussione
Per fortuna nella discussione sull'areale ferroviario il ns. Sindaco ha messo la testa nella bocca di una tigre di carta. Quelle vere erano distratte. Però attento, meglio dire : non è stato così bello che mi possa venire la voglia di riprovare.”