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Sviluppatore, l'unico limite è la propria fantasia

Intervista a Daniele Gobbetti, responsabile area tecnica di Peer e vicepresidente del Gruppo utenti Linux Bozen. Dall'accessibilità dei siti all'Internet degli oggetti.
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«Mi ha attratto molto, quando ero piccolo, la possibilità nell'informatica di poter annullare delle operazioni, tornare allo stato precedente. Una possibilità che non ha paragoni in altri campi e che dà grandi potenzialità».

 

Daniele Gobbetti, classe 1979, è responsabile dell'area tecnica alla Peer Srl di Frangarto e racconta così la crescita della sua “vocazione” per questa professione creativa. «Mi è sempre piaciuto fare prove, produrre prototipi, mettere insieme le cose».

 

Raccontaci la tua formazione...

Dopo il liceo scientifico italiano a Bolzano ho cominciato ingegneria informatica al Politecnico di Milano. La mia tesi di laurea nel 2004 è stata sull'accessibilità e l'usabilità dei siti web per i non vedenti. Una bella esperienza che mi ha portato anche a Berlino per realizzare un sito accessibile a corredo di una mostra su alcune stampe di Edvard Munch.

 

Ma la “vocazione” non è proprio arrivata a scuola...

Non esattamente: per esempio a 15 anni in estate lavoravo in uno studio di architettura. Avevo il compito di immettere i dati, alla fine ho cambiato il software dello studio.

 

Dopo la tesi quali sono state le prime esperienze lavorative?

Ho lavorato per quasi 3 anni nella Svizzera italiana, compreso un anno di dottorato alla USI (Università della Svizzera italiana) di Lugano. Dovevo fare da “ponte” tra la formazione tecnica ricevuta al Politecnico e la formazione umanistica della USI. Ho poi collaborato per circa due anni con la startup “Your Interface”, che si occupa di studi e consulenze sull'usabilità dei siti, fondata proprio in quel periodo da altri colleghi che avevano terminato il percorso di studi alla USI.

 

Quindi il “duro” ritorno in Italia...

Ho avuto dei colloqui a Milano, ma mi venivano offerti contratti o stage massimo di tre mesi. Lo “stipendio” era un buono pasto da 5 euro al giorno. Mi sono scontrato quindi con la realtà pre crisi dell'It in Lombardia. Perciò ho deciso di tornare a casa, la grande città non faceva per me. In fondo la realtà dell'Alto Adige è molto simile a quella della Svizzera italiana.

 

Se c'era crisi allora, figurarsi adesso...

Non ho vissuto i colloqui a Milano come un indice della crisi, ma come un tentativo di sfruttamento. Le facoltà scientifiche “sfornano” migliaia di laureati ogni anno (qualche centinaio solo il Politecnico di Milano, nelle diverse specializzazioni), quindi le aziende sanno che c'è la fila alle loro porte. Magari c'è chi lavora anche per un buono pasto da 3 euro, la mia reazione è stata quella di non prestarmi a questo gioco.

 

Come hai ripristinato i contatti a Bolzano dopo quasi 10 anni di assenza?

Ho iniziato a collaborare con la Facoltà di Informatica della Lub, con un contratto a progetto su un motore di ricerca multilingue per la biblioteca, finanziato dall'Unione Europea, CACAO (Cross language Access to CAtalogues and Online libraries). Ho fatto anche l'esercitatore all'università per il corso di Digital libraries.

 

«Galeotto» però fu il pinguino...

Sono entrato in contatto con il Gruppo utenti Linux Bolzano (www.lugbz.org, del quale Gobbetti oggi è vicepresidente, ndr) dove ho conosciuto tra gli altri Christian Peer. Agli incontri del gruppo sono emerse le esigenze della sua azienda in materia di accessibilità ed usabilità. Così ho cominciato a lavorare in Peer nel 2009.

 

Com'è la professione di sviluppatore software?

Altamente creativa. Molti vedono questo settore come un campo freddo, mentre è un lavoro nel quale l'unico tipo di limite è la tua fantasia. Quando si costruisce una casa c'è il limite della forza di gravità, ci sono limiti fisici da cui non si può prescindere. Nell'informatica invece si può “cambiare la gravità”.

 

Quali passioni hai quando torni a casa?

Da ragazzo ero negli scout e mi piacevano le costruzioni. Oggi mi sto appassionando molto per la domotica; ho acquistato delle valvole montate sui termosifoni che posso controllare dallo smartphone in radiofrequenza. Cerco di costruire personalmente le soluzioni e mantenere il controllo delle informazioni. È importante oggi sensibilizzare le persone nel capire le implicazioni delle loro scelte anche in ambito digitale, creando consapevolezza che gli strumenti informatici spesso non sono “neutri”, ci danno delle comodità ma richiedono qualcosa in cambio (spesso i nostri dati personali).

 

Qual è lo stato dell'arte dell'opensource in Alto Adige?

Se parliamo del settore pubblico, la Provincia ha ottime intenzioni, obiettivi ambiziosi come quelli indicati nel piano eSüdtirol 2004-2008, che però si sono rivelati in gran parte lettera morta. Si contano alcune eccezioni che dipendono spesso dalla volontà di singoli: ad esempio nella sanità è stata introdotta la suite di Libreoffice. Come gruppo LUGBZ abbiamo scritto delle lettere aperte agli assessori Bizzo prima e Deeg poi. Vorremmo che ci fosse una pianificazione chiara in questo settore, per non doversi trovare fra qualche anno a dover per forza rinnovare contratti perché altrimenti scadendo il supporto di sicurezza delle applicazioni si mettono a rischio i dati dei cittadini, come successo in passato. Poi ad esempio non è stata mai data risposta su quale sia l'entità delle spese in licenze per software proprietario in Provincia.

 

Con la filosofia “open” però come si fa a monetizzare il lavoro di chi sviluppa i software?

Spesso si vede l'opensource come antitetico al business: questo non è vero! Il fatto però che si possano avere a disposizione il codice sorgente non è un ostacolo, le opportunità di business sono diverse. Su un software possono essere costruiti altri servizi, anche remunerati bene. Certo è più facile offrire servizi nel mondo business che in quello consumer, ci sono ad esempio borse lavoro per freelance che aiutano nella migrazione di dati o consulenti di gestione.

 

Che possibilità dà il crescente “Internet of things”, l'Internet degli oggetti?

Aumentano i dati che ognuno deve gestire, spesso senza esserne pienamente consapevole. Una persona ormai non ha più nemmeno idea dei dati che può generare con il suo smartphone, la sua fitness-band, il suo termostato “intelligente”... Credo che l'esigenza di formatori/consulenti per curare la propria “presenza” online e il controllo dei dati si farà sempre più impellente.

 

Qualche consiglio per i giovani che vogliono diventare sviluppatori...

L'IT è il campo nel quale in futuro si lavorerà maggiormente, ma serve molta formazione per entrare in questo mondo. Non è automatico per i “nativi digitali”; spesso si confonde la dimestichezza con le nuove tecnologie con la competenza vera e propria. Per chi vuole iniziare un consiglio può essere contribuire a progetti open source. Ce ne sono moltissimi che coprono tutti i linguaggi e quasi ogni aspetto della nostra vita: se una persona trova ad esempio un progetto che ha a che fare con i suoi hobbies e si prende il tempo di contribuire, questo fa molto più "curriculum" di certe certificazioni/specializzazioni.

 

A quali progetti di sviluppo software hai partecipato nell'ambito del tuo lavoro?

Mixare (www.mixare.org) è un esempio classico di software libero. Nel 2009-2010 l'abbiamo realizzato per mostrare i contenuti della banca dati turistica dell'azienda usando la realtà aumentata, e per renderlo appetibile a livello globale abbiamo anche usato i contenuti di Wikipedia collegati alle coordinate Gps. È stato sviluppato internamente alla Peer perché avevamo l'esigenza di trovare delle soluzioni alle limitazioni di un altro software che non essendo software libero non potevamo modificare. Mixare poi è stato usato ad esempio da una scuola superiore di Amsterdam per creare un gioco didattico in città ed in Emilia dal museo industriale “Reggiane”.

Alpinebits (www.alpinebits.org) è invece un protocollo per i dati turistici, una sintesi tra più partner che parlano oggi la stessa lingua nello scambio dei dati, rilasciato con una licenza Creative Commons, quindi accessibile a chiunque senza licenze o royalties. Entrambi i progetti sono stati accompagnati dal centro Free Software & Open Technologies del Tis.

 

Ed i progetti futuri in mente?

C'è carenza nelle informazioni in lingua italiana sulla domotica. Sto documentando ciò che faccio a casa mia: una soluzione indipendente da server esterni. In azienda dobbiamo modernizzare il software di gestione della gestione della clientela, cercando soluzioni per tablet e mobile. Se la competizione una volta era sulle funzionalità di base, oggi si sposta sul campo della user experience. Anche per quanto riguarda le assunzioni di nuovo personale credo si cercherà sempre più chi ha una sensibilità maggiore verso l'usabilità.

 

Cosa potrebbero fare le istituzioni per facilitare il lavoro degli sviluppatori?

In Alto Adige assistiamo ad un paradosso: in alcuni comuni “periferici”, come Brunico, si offrono connettività maggiori con fibra a cifre irrisorie. Mentre a Oltrisarco le Adsl spesso funzionano molto a rilento. È giusto non penalizzare le periferie, ma non si devono nemmeno penalizzare i grandi centri.

Sul piano politico credo ci dovrebbe essere più coerenza tra quanto viene detto e quello che viene messo in pratica.

Sul piano della formazione invece l'università deve decidere una direzione: vuole diventare eccellenza internazionale e attirare studenti “di passaggio” o formare persone competenti per le caratteristiche socio-economiche dell'Alto Adige?