Giacomo Matteotti
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Giacomo Matteotti e noi

Paolo Ghezzi racconta 24 cose che non sapeva sul "socialista ammazzato nel ’24" scoperte grazie al magnifico libro di Concetto Vecchio "Io vi accuso".
  • Ventiquattro cose che ho imparato dal magnifico libro di Concetto Vecchio, CV, quirinalista di Repubblica che si è fatto le ossa nei giornali di Trento (dove la sera di venerdì 17 maggio verrà a presentarlo, ancora prima dei teatri di Roma e Milano). Libro dal titolo importante, “Io vi accuso”, e dall’impianto avvincente di una narrazione tra cronaca e storia. 38 capitoli più un prologo e un epilogo che ci fanno (ri)scoprire un campione dell’antifascismo che noi italiani non ricordiamo e non amiamo abbastanza. Giacomo Matteotti, GM, e noi.

    1. Il cimitero di Fratta Polesine. “Matteotti giace qui dall’11 ottobre 1928. Vi giunse dopo peripezie, traslochi, trafugamenti, trattato come un appestato”. CV dice che bisogna partire dal corpo. Sì, era giusto partire da quel corpo. Ingombrante in vita e post mortem.

    2. La mamma. “Isabella Garzarolo intuisce il talento del figlio, la sua vocazione misteriosa? Lei gli parla in dialetto, lui le risponde in italiano. … Giacomo è irritato dal futile, da ciò che non costruisce. Sdegnoso di parate. Difficile da afferrare. Quindi le assomiglia. Due nature di campagna”.  Che bello: irritato dal futile, sdegnoso di parate. A diciott’anni GM è già un anti-italiano, nel senso che è antiretorico, fattuale e non futile, di parola e non parolaio. Che sia magari anche l’eredità genetica del nonno calderaio di Comasine, in val di Pejo? Quando i montanari scendono nella bassa, forse restano montanari. Irritati dal futile.

    3. Fuoco e brina. Ah, quando il socialismo era una fede! “Battezzato come partito nel 1892 da Filippo Turati offre un potente messaggio di redenzione a milioni di uomini e donne reduci da secoli di rassegnato servaggio. È lotta di classe. Rivoluzione. Scintilla dell’impossibile. Avventura umana inedita. È il fuoco che riscalda”. CV lo dice proprio bene, il fuoco di quel movimento di massa che neppure un secolo dopo Craxi portò a batter cassa. Ma il fuoco del sol dell’avvenire nasce, per GM, in una terra povera e bassa. “Le estati torride. Gli inverni umidi. Nebbie spesse con le cornacchie che volteggiano su campi imbiancati di brina. Basta saper cogliere i contrasti, aprire gli occhi, per trovare le ragioni di una vita di lotta”.

    4. Sindaco dei braccianti. A 27 anni lo eleggono a Villamarzana. “Potrebbe fare gli interessi della sua parte, gli agrari, difendere la roba; invece, segue l’impulso di impegnarsi per le ragioni di chi le terre dei padroni le lavora nella miseria più nera. … Sui campi mette in pratica la sua idea di socialismo, graduale, riformista, concreto. Ristruttura la camera del lavoro di Rovigo. Apre nuove sezioni. Inaugura cooperative, circoli politici, biblioteche popolari”. Ma il 1912 è anche l’anno della “passeggiata militare nella Libia”. GM prende posizione contro. Socialista, anticolonialista, antimilitarista. Anti.

    5. Velia mon amour. Lui conosce lei, la sua futura sposa, in vacanza a Boscolungo, sull’Abetone. “Si trova lì in ferie anche una ragazza pisana, Velia Titta. Riservata, religiosa, scrive poesie, raccolte in due libricini, Primi versi ed È l’alba. … Non si danno del tu per un anno intero”. Fidanzamento d’altri tempi, tra una cattolica e un ateo. Innamoramento forte, fondo, focoso. Lei gli scrive: “Dio mio, dottore, per scrivere a Lei non faccio più tempo ai vespri. Ma del resto anche l’amore è una religione”. L’epistolario Velia-Giacomo, dodici anni di amore (e di semiclandestinità) fino all’assassinio, includerà alla fine 214 fra lettere, cartoline e telegrammi. GM è un socialista romantico: “Una disgrazia: iersera, tornando da teatro, ho perduta la Sua viola”, le scrive da Vienna.

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    6. Nero sovrappensiero. CV è cronista curioso e puntiglioso. Il delitto Matteotti è un film di Florestano Vancini, uscito nel 1973. GM lo impersona Franco Nero, un bel tenebroso. Vecchio va a trovare Nero, ci scrive un capitoletto di quattro pagine e conclude: “E non è strano che nessun altro, in questi cinquant’anni, abbia sentito il bisogno di riportare Matteotti al cinema? ‘È vero, è singolare’, conviene Nero, ma come sovrappensiero”.

    7. Benito il Bullo. Il capitolo 5, pagine sette, è un vivissimo ritratto del futuro Duce da giovane. CV in grande spolvero. “Gli italiani hanno sempre amato i tipi come Mussolini, gli uomini della provvidenza. Si specchiano nel fanfarone di genio. Verso i vent’anni Benito Mussolini è già un gradasso ambizioso, colmo di spirito avventuriero, che esibisce la mascella larga d’atteggione. Uno che rincorre senza freni ogni gonnella…  Conosce l’attivista socialista Angelica Balabanoff a Ginevra… lei lo ricorda nevrotico, bestemmiatore, ‘di eccezionale sporcizia’ ”. Nel 1909 era stato a Trento, sindacalista e giornalista: dopo il peso del Concilio della Controriforma, a Trento portiamo anche il peso di aver allevato, in nuce, un duce.

    8. Insurrezionale austriacante. La gran parte dei socialisti tuona contro i tuoni della guerra e GM è in prima linea, tonante. Racconta CV: “Nel febbraio del 1915 su ‘Critica sociale’ lancia, contro la guerra, l’insurrezione popolare, ponendosi così nell’ala estrema del partito, oltre la proposta dei massimalisti. È sorprendente per un riformista. L’articolo fa molto rumore. Ma in pochi intendono il suo grido di dolore. Anzi, quelli della sua classe gli danno dell’austriacante per via delle origini asburgiche del ramo paterno. ‘Vattene in Austria!’ ”. Giacomo il tirolese, perfino.

    9. Confinato tra i briganti. “Pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali…”. GM, disfattista chiamato alle armi e degradato a fante, viene spedito in tanta malora affinché non nuoccia, in un campo di concentramento di pregiudicati per reati comuni, a Campo Inglese, 15 km da Messina. È l’agosto 1916, è sposato da otto mesi e già separato da Velia. “Messo fuori gioco, lontano dalla lotta, umiliato, per non impazzire scrive continuamente lettere. Inizia a fare scuola agli analfabeti del campo…”.

    10. Caretti e Pertini. Nel suo peregrinare sulle tracce di Matteotti, Vecchio incontra Stefano Caretti, 77 anni, catalogatore delle memorie matteottiane. Quando si va a intervistare qualcuno, e CV è maestro di interviste incisive, si raccatta sempre qualche storia nuova. Caretti è una miniera. “Lo sa, vero, che Pertini prese la tessera dopo l’uccisione di Matteotti, e volle che fosse retrodatata al 10 giugno 1924, ‘la sacra data’? ”.  Caretti corregge CV: “Ossessione non mi piace. Una missione. Mio padre, Lanfranco Caretti, era un filologo, ha passato la vita a studiare Ariosto e Tasso”. Una missione, una passione. Difficile non appassionarsi a un passionario razionale come GM.

    11. Gli orbi e i fasci. “Giacomo Matteotti torna a casa, a Fratta Polesine, soltanto nel marzo del 1919. Posto finalmente in congedo, ha trascorso tre lunghi anni in Sicilia. … La guerra è finita. Una carneficina costata 650.000 morti, mezzo milione di mutilati e invalidi, più di un milione di feriti. Percorrono le città gli sciancati, gli orbi, i disadattati, gli inquieti. I loro risentimenti formano un’onda di odi inestinguibili”. Qui le pennellate di CV ci restituiscono un quadro degno dei miserabili di Victor Hugo, e insieme le ragioni del nascente fascismo: che Mussolini alleva come un serpente velenoso, nella sua scrivania al Popolo d’Italia, tra il pistolone a rotazione e il pugnale.

    12. Giacomo il Riformatore. “Qual è il demone che lo muove? Nel 1920 il suo studio sarà preso come base per le trattative che condurranno alla stipulazione del patto unico accettato dalle associazioni dei proprietari e dei fittavoli… Con i contadini trascorre la domenica invece che frequentare i circoli borghesi o stare in famiglia. Ha punte di ossessivo fanatismo protestante. C’è in lui qualcosa di inaudito”. Anche perché il socialista raziocinante studia i bilanci e non cita i filosofi. È come un’ossessione, ha ragione CV, di trasformare la parola in azione. C’è anche, forse, il senso di colpa del borghese nei confronti dei poveri.

  • Busto in piazza: Piazza Matteotti è il cuore della Bolzano "oltre Talvera"

    13. Ventimila voti, nel Diciannove. “Anche Giacomo Matteotti si candida. I socialisti vanno benissimo, e ottengono 156 deputati, perlopiù al Nord, i popolari di Sturzo 100, su un totale di 508. Il Psi prende il 32 per cento, i popolari il 20. Matteotti, candidato nel collegio di Rovigo e Ferrara, è sommerso da 20.822 voti”. Il più votato nella sua provincia. L’hanno capito, l’hanno eletto deputato. Rosso. Appena prima della tempesta nera.

    14. Via Pisanelli 40. CV racconta una coincidenza fatale. Era andato a intervistare un ex dirigente Rai in un palazzo signorile in via Pisanelli 40, al Flaminio. Non stava ancora scrivendo il libro su GM. E vede, proprio lì sul muro, quella targa. “Qui abitava Giacomo Matteotti quando uscendo di casa il 10 giugno 1924 andò incontro alla morte”. L’architetto Paolo Marocchi, oggi ottantenne, l’ha messa di sua iniziativa. Senza chiedere a nessuno. E ora – l’ha scritto lo stesso Vecchio su Repubblica domenica 5 maggio – il Comune vorrebbe mettere una targa commemorativa ufficiale nel centenario della morte, con un testo diverso, ma l’assemblea dei condòmini ha espresso parere negativo: lasciate la nostra, quella proposta dal sindaco di Roma, con un testo più lungo che chiama in causa i fascisti e si conclude “Roma pose cent’anni dopo in memoria del martire del socialismo e della democrazia” sarebbe “troppo impattante” secondo i residenti in via Pisanelli 40. Non sarà che fanno problema l’attribuzione di responsabilità – “per mano fascista” – e il riferimento al socialismo? La memoria, in Italia, scatena sempre il sospetto e la revisione della storia.

    15. Il pubblico accusatore (e le fake news). Fin dal suo primo discorso in Parlamento, 31 gennaio 1921, Matteotti dimostra di non essere solo un avversario politico del fascismo ma il principale contro-informatore d’Italia. “Quando un fascista, di notte, a Rovigo, ferisce tre socialisti perfettamente inermi e anche uno dei suoi stessi compagni, i giornali come raccontano l’episodio? ‘Conflitto tra fascisti e socialisti a Rovigo’. E il lettore serba così impressioni perfettamente false della situazione di fatto”. E se invece muore un fascista, si giustificano tutte le ritorsioni violentissime contro i socialisti, le aggressioni ad assessori e sindacalisti, gli assalti alle case del popolo e “allora la campagna giornalistica trascina per un mese un cadavere sulle sue colonne, facendone una speculazione illecita e immonda”. CV osserva impeccabile: “Si noti la lingua. Fattuale. Secca. Potentemente giornalistica. Modernissima”. E a Giolitti che scuote la testa, perché quel deputato è troppo irruente, GM replica: “Io non accuso, io racconto”.

    16. Il presentimento. Uno che, alla Camera e negli incontri sempre più rischiosi in una campagna setacciata dalle squadracce al servizio degli agrari, dei padroni, parla la lingua della verità e la denuncia, mette in gioco la vita. E la moglie Velia lo sa bene quando gli scrive: “...più difficile mi è persuadermi che arrivato a questo punto non ti è ammessa nessuna viltà, anche se questo dovesse costare la vita”.

    17. Silenzio, viltà, eroismo. I socialisti massimalisti, i comunisti hanno avuto la faccia tosta di rinfacciare al “moderato” GM queste parole: “Non rispondete alle provocazioni. Anche il silenzio, anche la viltà sono talvolta eroici”. Ma così Matteotti, dopo aver denunciato con incredibile coraggio una serie di efferate violenze fasciste, cercava di proteggere i suoi compagni di lotta, e di fermare l’incendio che bruciava l’Italia. “Qui si tratta di un assalto, di una organizzazione di brigantaggio. Non è più lotta politica. È barbarie. È medioevo”.

    18. Denudato. Sabato 12 marzo 1921, invitato a parlare in un paese della provincia di Rovigo, Castelguglielmo, i fascisti lo sequestrano, lo mettono su un camion, lo fanno spogliare nudo, lo lasciano in mezzo al nulla della Bassa. Farà diciotto chilometri a piedi per tornare a Rovigo. “I m’ha robà”, si limita a dire. “Degradato a esule in patria, inizia così una vita randagia”.

    19. Il grido delle province. “Oltraggiato dall’arrivo dei fascisti il parlamento rimane per Matteotti ‘l’unico luogo nel quale possa avere eco il grido immenso di dolore delle nostre province oppresse dal terrore’ ”. Chi oggi, con il revisionismo postfascista al potere, cerca di liquidare il ventennio in una sorta di commedia all’italiana, legga questo libro. Pieno di fatti. E di denunce. E di magnifici discorsi di Matteotti. Come quello del 2 dicembre 1921. Due ore e un quarto. Magnificamente lo descrive Vecchio: “Tutto è severo in lui. Il vestito grigio. L’eloquio aspro. La nudità del ragionamento che spregia le cerimonie. … L’esattezza chirurgica della sua parola”. Dopo due ore e un quarto i fascisti gli dicono basta. “Si guarda intorno. Sente di essere solo”. (Gli eroi non sono sempre soli?).

    20. Mai un raggio di sole. Aprile 1922: non c’è ancora stata la marcia su Roma ma l’aria che si respira in Italia è nerissima e pesante per chi non segue l’orda ascendente dei fascisti. Velia è stanca, non sta bene, si sfoga: “...anche con l’idealità non bisogna esagerare io trovo fino a questo punto. … Da che ci sei dentro, non ho conosciuto per te che amarezze, delusioni, periodi neri, senza mai un sorriso, né un raggio di sole…”.

    21. Il vizio autolesionista della sinistra. Il 3 ottobre 1922, pochi giorni prima della marcia su Roma, i socialisti si dividono, per la seconda volta in poco più di un anno. Turati fonda il Psu, Partito socialista unitario. Matteotti, che da agosto ha anche una figlia, la terzogenita, è eletto segretario del nuovo Partito, da cui nascerà il Psdi. Unitari ma divisi dagli altri socialisti mentre gli squadristi marciano compatti.

    22. “Cerco la vita, voglio la lotta”. La crescente solitudine di GM è raccontata in un crescendo empatico, commovente, da CV. “Il fascismo è violenza bruta. Matteotti l’ha capito per primo. Ma non deflette. Coltiva un’ostinata solitudine…”. A Filippo Turati, il 28 marzo 1924, neppur tre mesi prima di essere ammazzato, scrive righe bellissime, tragiche: “Io non intendo più oltre assistere a un simile mortorio. Cerco la vita. Voglio la lotta contro il fascismo. Per vincerla bisogna inacerbirla”. Altro che moderato. Matteotti è una fiamma.

    23. La squadraccia. Il capitolo 35 di Vecchio, quello in cui una squadraccia di fascisti “satolli ed ebbri di Chianti”, in Lancia K ovviamente nera, rapisce e uccide il deputato socialista che oppone una strenua resistenza, è un film nerissimo e feroce. Nell’auto lanciata in corsa pazza verso Ponte Milvio, “Matteotti non ha paura. Non è remissivo. Ne sono stupefatti. Uno di loro tira allora fuori un coltello e gli infligge un colpo tra l’ascella e il torace. Matteotti biascica, rantola. Il sangue si dislaga sui sedili, insozza i vestiti dei suoi killer. È morto. Giacomo Matteotti aveva trentanove anni”.

    24. Silenzi, omertà, ambiguità. Gli ultimi capitoli sono il post-finale inquietante di una storia tragica. C’è l’emozione del popolo e di ciò che resta della stampa e della politica, certo: ma il lutto e lo scandalo durano solo pochi giorni. Poi comincia la zona grigia del rimosso e del non detto, delle omertà e delle falsità. C’è Mussolini che ostenta una nauseabonda solidarietà alla vedova; ci sono tre bambini sorvegliati da una spia che si insinua in casa come una specie di zio nero e rimpiazza in qualche modo il padre ucciso; c’è una nipote che scopre solo al liceo chi era suo nonno perché in casa non ne aveva mai sentito parlare, eppure il padre, figlio di Giacomo, era parlamentare e ministro. C’è insomma il grande buco nero di una storia nera che insegna molto su che cosa l’Italia può diventare. Altro che bel Paese, una terra feroce e prepotente e crudele, pronta a seguire un capo teatrale e sanguinario. “Lo sa che Giorgio Almirante veniva regolarmente a prendere il tè a casa nostra?” dice a Vecchio Laura Matteotti, figlia del figlio dell’eroe antifascista. È l’ultima delle mille e 24 sorprese di questo straordinario libro sullo straordinario eroe del ’24. “Che storia!” dice Laura. È l’ultima riga e davvero non c’è più nulla da dire. Che storia! La storia di un uomo libero e dei troppi, dopo di lui, che non l’hanno meritato. Che storia!

  • L'incontro a Trento

    “Io vi accuso – Giacomo Matteotti e noi”, Utet, 230 pagine, 19 euro sarà presentato dall’autore Concetto Vecchio venerdì 17 maggio 2024 a Trento, Sala della Federazione delle Cooperative, via Segantini 10. Introduce Claudio Bassetti presidente Cnca. Dialoga con l’autore Paolo Ghezzi. Prenotazione consigliata scrivendo una mail a: [email protected]

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Salto User
nobody Sa., 11.05.2024 - 22:09

Wohl einer der wenigen linken Politiker, den Italien erlebt hat. Deswegen wurde er auch "entsorgt". Interessant in Zeiten wie diesen, mit einer Regierung wie dieser (und den lokalen Wasserträgern).

Sa., 11.05.2024 - 22:09 Permalink