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La Formula 1 della porta accanto

Incontro con Günther Steiner, team principal meranese della Haas, nei box di Monza. Così lavora la sua squadra.
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Foto: Haas

La celebrità di Günther Steiner è legata al suo essere un personaggio sui generis nel mondo della Formula 1. La sua spontaneità, la sua simpatia, il suo parlare chiaro (e anche molto duro) hanno reso il team principal della Haas il protagonista principale della Serie Netflix Drive to survive. L’ex meccanico - orgogliosamente figlio di un macellaio di Merano - comunque sembra non marciarci per nulla. Non recita una parte, è così e basta.

Lo incontro venerdì pomeriggio appena uscito dal garage della Haas. Le pistole stanno ancora svitando i bulloni. Si toglie le cuffie e dice. “Qui a Monza non andiamo bene e lo sappiamo. Perdiamo 7 decimi solo nel rettilineo. Il motore? No, no, solo l’aerodinamica”.  Steiner racconta di essere stato qualche giorno fa a visitare la cantina di Merano assieme a Mattia Binotto, che ha un vitigno a San Michele. “Siamo molto amici da 15 anni, abbiamo fatto assieme anche qualche registrazione per Netflix. Lui è più serio ma assieme ridiamo molto. Come funziona la serie? Si fanno dei turni, delle volte stiamo con il microfono che registra tutto per due interi giorni e loro ci seguono ovunque. Quello è proprio un lavoro, anche faticoso devo dire”.

 

Caratteri all’opposto, quelli di Steiner e Binotto. Quest’ultimo, vista l’inspiegabile sequela di errori commessa dalla Ferrari negli ultimi GP, è sempre messo in discussione da tifosi e addetti ai lavori. Secondo alcuni (ad esempio il blog www.livegp.it ) “il meranese ha tutte le carte in regola” per sostituire il Team principal di Maranello: “un carattere duro, ma anche la capacità di analizzare la realtà e tornare sui propri passi senza guardare troppo al passato, come successo nel richiamo di Magnussen al volante dopo il caos russo e l’appiedamento di Mazepin”. Fanta automobilismo? Chissà.

Che ci fa un cronista di salto.bz nel paddock dell’Autodromo alle porte di Milano? E’ presto detto: Steiner segue regolarmente salto.bz anche dall’estero (è ad esempio al corrente ti tutti i retroscena del caso Vallazza, ndr) e quando lo intervistai la prima volta, a metà aprile, concluse la “call” su Teams in questo modo: “Se vorrai venire al box a Monza, mi farà piacere”. Dling! Non l’avesse mai detto! Seguo la Formula 1 da sempre. Quando nel 1982 Gilles Villeneuve morì a Zolder avevo il suo poster accanto a quello di Gaetano Scirea, mio mito calcistico, visto che al tempo giocavo “libero”. Avevo 11 anni e non mi perdevo un Gran Premio. Facendo un parallelismo impossibile è come se domani il direttore del New York Times mi dicesse se per caso mi interessa fare un mesetto di pratica nella sua redazione. Come dire di no?

La visita ai box

L’idea di entrare in un box mi ha sempre affascinato e non so bene perché, dal momento che io, nonostante un padre tuttofare, non mi fido neppure a cambiare un freno della bicicletta pur avendolo visto fare decine di volte.  E, quindi, quella frase magari detta in modo rituale pochi giorni prima del GP di Imola, l’ho presa sul serio. Negli ultimi mesi sono bastate un paio di email per accordarmi con l’Head of Communications della squadra americana. “Puoi venire venerdì 9 settembre, il giorno delle prove libere. Ti facciamo avere due Paddock pass”, mi scrive la settimana scorsa. Caso vuole che proprio quel giorno cada anche il compleanno di mio figlio. Una felice coincidenza.

La mattina recuperiamo i pass nell’albergo di Milano e poi via, pronti per la prevedibile sfacchinata. Non esiste, infatti, grande evento in Italia per il quale non ci si debba armare di pazienza da yogin fra parcheggi lontani chilometri, navette iper affollate e imbottigliamenti da crisi di nervi.

 

Per i non-addetti ai lavori il paddock è quel luogo che si trova in corrispondenza del rettilineo con la griglia di partenza, sul retro dei box. Alle spalle di questi si trovano gli avveniristici motorhome che fanno da ufficio per il debriefing, zona relax per i piloti ed anche da magazzino per gli pneumatici. Il boulevard su cui si affacciano è attraversato da decine di persone con biglietti V.I.P oppure entrate – come noi – su invito, da vip veri e propri (si è visto Giroud, attaccante del Milan - foto nella gallery), dai piloti super star e dal personale dei team. Sull’altro lato della "strada" ci sono le varie hospitality, zone cafè-restaurant realizzate sempre con strutture modulari smontabili. Haas, arrivata ultima nel 2021 per le ragioni spiegate da Steiner nell’intervista di aprile, è la prima della fila. Ferrari è terzultima, Red Bull penultima e chiude la Mercedes, arrivata prima nel campionato costruttori. E’ in quegli ultimi 40-50 metri che l’atmosfera ribolle di curiosità e attesa. Tutti stanno con il dito pronto sull’otturatore del cellulare in attesa di un volto noto da inchiodare alle proprie responsabilità: hai voluto la fama? e ora prenditi 3 secondi per farti la foto con una persona che non rivedrai mai nella tua vita. E al di là della quota di celebrità che fanno capire di prestarsi controvoglia, di quelle che si costruiscono un sorriso unicamente per tenere gonfio il proprio ego, mi ha sorpreso non poco avere la sensazione che la gran parte lo facesse davvero volentieri, quasi a scusarsi per tanta “grazia” (una menzione speciale per la squadra di Sky Sport).

 

La gran parte degli appassionati ignora volti e nomi dei team principal delle scuderie dal quarto posto in giù. Con un’eccezione, appunto: Günther Steiner. Grazie alla splendida serie, il team principal meranese ha un grado di popolarità pari a quello del triumvirato Wolff-Horner-Binotto. Abbiamo appena finito di scambiare due parole nella hospitality quando due giovanissime tifose e un tifoso orientali buttano un occhio all’interno, sobbalzano emettendo gridolini di sorpresa e si fiondano per fare un selfie. Amazing.

Mangiamo cose buonissime e pochi minuti prima delle 14 arriva a prelevarci Francesca, ragazza americana che ha questo specifico compito. Ci dà cuffie e radio. Possiamo sentire tutti i dialoghi tra ingegneri e piloti. Wow.

Il garage

Siamo nella parte di garage assegnata a Mick Schumacher, ma al volante siede Antonio Giovinazzi, terzo pilota della Ferrari insieme allo stesso Mick Schumacher e a disposizione come pilota di riserva anche per l'Alfa Romeo e per la Haas, team clienti della Ferrari.  Tempo di prendere posto e ancora prima di infilare le cuffie scopri che il rumore che ti sfonderà le orecchie non è quello dello del motore ma quello della pistola che avvita i bulloni delle ruote in un nanosecondo. Provo a contare i meccanici ma ogni volta perdo il filo. Sono almeno una ventina per macchina. Ai lati, al pc ci sono poi tre-quattro ingegneri per parte. Al muretto altri tre assieme a Guenther Steiner. Giovinazzi accende il motore, gli addetti alle termocoperte le sfilano per poi riappoggiarle agli pneumatici. Abbracciano termocoperta e gomma con tutto il corpo fino all’ultimo secondo per ridurre il più possibile la dispersione del calore. Il rombo fa vibrare lo sterno ma è attutito da una sorta di tubo-prolunga che fa defluire il gas di scarico all’esterno del garage senza intossicarci tutti. Respiro a fondo più volte. L’unico odore che si sente è quello di gomma degli pneumatici.  Un mistero: il gas di scarico è inodore o ho problemi di olfatto.

 

E’ il momento. Il capo meccanico fa il cenno: via le termocoperte, auto a terra, Giovinazzi inserisce la prima e il rombo ora scuote anche le budella.

Da quel momento inizia un dialogo continuo, fittissimo tra muretto e pilota. In tv si sentono team radio di pochi secondi, ma in realtà i piloti oltre a sfrecciare a 300 all’ora devono dare e ricevere decine di informazioni che possono essere utili. Se il pilota sta facendo il giro di lancio uno degli ingegneri lo avvisa tra quanto sarà raggiunto da chi sta invece cercando il tempo, gli dà tutti i distacchi, gli comunica quali sono e a che distanza si trovano i piloti prima e dopo di lui, qual è il settore in cui è meglio spingere al massimo …  Un vero vortice di informazioni. Il pilota a propria volta spiega come sente la macchina, i punti in cui ha sovrasterzo o sottosterzo, dove il purpoising (il saltellamento) è troppo forte. I silenzi radio sono pochissimi.

Quando la vettura è in pista i meccanici si rilassano. C’è quello con i bicipiti da boscaiolo e i tatuaggi che ha il compito di togliere la gomma da 23 kg, quello mingherlino che pulisce la visiera, quello di stazza superiore che deve sollevare l’auto. Non ho idea di come siano gli altri garage ma in quello Haas non si respira aria di tensione, i volti sono distesi, ma concentratissimi. Quando l’ingegnere “chiama” la prossima azione da svolgere nel giro di pochi secondi i meccanici si mettono in posizione pronti a muoversi al cenno del capomeccanico. Perché tutto funzioni nel box deve regnare l’ordine assoluto. Letteralmente non c’è un bullone fuori posto. E, cosa non scontata, pure la pulizia è assoluta. Dopo che l’auto si è immessa nella pit lane un meccanico si inginocchia e lustra il pavimento che diventa lucido come quello della nonna quando metteva la cera.

La prova pit stop

L’ora di prove libere sta per finire. Le Haas sono tra le ultime dello schieramento, ma queste erano le aspettative. Monza è un circuito troppo veloce. Da una sorta di sgabuzzino uno dei meccanici inizia a tirare fuori i caschi. L’ingegnere avvisa i piloti che verrà provato un doppio pit stop. “Box, box, box”. Arriva Magnussen. Frastuono delle pistole da far serrare i denti: togli, metti, mani in alto, giù. Tempo sicuramente sotto i 3 secondi. Arriva Giovinazzi.  Frastuono delle pistole: togli, metti, mani in alto, giù. Tutto fila liscio. Sguardi soddisfatti. La procedura, provata centinaia di volte, avviene così velocemente che non si riesce a concentrare l’attenzione su niente in particolare come se intorno all’auto ci fossero 14 maghi Silvan. A vederla dal vivo sembra davvero una prestidigitazione collettiva.  

Sono decenni che non ho più dubbi sulla seconda parte del concetto “motor-sport”. Sono atleti i piloti, sono atleti i meccanici, che assieme a ingegneri iperqualificati compongono una squadra super allenata che ha come unico obiettivo portare al massimo un mezzo meccanico sofisticatissimo. E grazie a Drive to survive si capisce meglio come ogni squadra corra la propria gara. I super team ultra milionari si giocano il podio, ma per gli altri la vittoria corrisponde al quarto o al quinto posto. O anche all'ottavo. Ci sono puntate della serie totalmente incentrate sui piloti che si giocano il nono e decimo posto. Per ora Haas, grazie ad un avvio di stagione strepitoso, occupa la settima piazza nella classifica costruttori. E la sesta non è irraggiungibile. Quasi come vincere il mondiale.