Il nulla osta che non lo è
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In cima alla pagina c’è scritto “NULLA OSTA TECNICO”. È la formula che dovrebbe sciogliere ogni dubbio, certificare che tutto è a posto. Ma quando si legge con attenzione il documento con cui l’Agenzia nazionale ANSFISA autorizza la cabinovia Apollonio–Mortisa–Socrepes, ci si accorge che quel via libera assomiglia molto a una formula di cortesia amministrativa, un lasciapassare provvisorio, un documento che serve più a far continuare i lavori, sperando che il fato ce la mandi buona, che a certificare la compiutezza del progetto. In altre parole, un nulla osta che non lo è, come se la firma fosse arrivata per necessità politica prima che per convinzione tecnica. Nei cosiddetti “NOT” le prescrizioni sono normali, ma, come si vedrà, qui si va ben oltre.
La cornice è nota: dopo la pista da bob “miracolosa”, anche questa cabinovia è diventata parte della grande dimostrazione di potenza che accompagna Milano–Cortina 2026. Regione Veneto, Comune di Cortina, il Ministero di Salvini e il commissario di governo, tutti “uomini del fare” sembrano determinati a mostrare che le opere olimpiche, appunto, “si fanno” ad ogni costo, a prescindere dalle perplessità tecniche, dai tempi amministrativi ed anche, in questo caso, della logica. Il paradosso è che l’opera, come ricordano gli stessi atti del governo, non è indifferibile, non è necessaria ai Giochi in senso stretto. È diventata piuttosto un simbolo, un messaggio politico. E in questo scenario, in ANSFISA, notoriamente un feudo leghista, chi ha un profilo veramente tecnico si trova nel ruolo scomodo di chi deve far tornare i conti tra vincoli normativi e aspettative politiche.
In mezzo, infatti, ci sono i funzionari dell’Ufficio operativo territoriale (UOT) di Venezia, chiamati a una difficile forma di equilibrismo burocratico: accontentare la politica, firmando un documento che consente di proseguire il lavoro in un cantiere, riconoscendo, però, nello stesso testo, che mancano tessere essenziali del mosaico. Non è un caso se il provvedimento spiega subito, con trasparenza quasi disarmante, che il Nulla Osta viene rilasciato “al fine di consentire l’avvio dei lavori”. È un dettaglio che sembra ribaltare un po’ la logica del procedimento: non si apre un cantiere perché il progetto è completo, ma si completa il progetto mentre il cantiere è già partito.
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Il primo grande “ma” espresso nel "nulla osta" riguarda la frana. La zona della Mortisa, dove passa l’impianto, non è affatto tranquilla: gli studi geologici parlano di movimenti lenti, di spostamenti annuali misurabili, di terreni argilloso-limosi in prossimità del Rio Lacedel, di fondazioni che richiedono micropali, basi regolabili, opere di stabilizzazione. Il documento ANSFISA elenca queste criticità e poi sottolinea quella nota da tempo ma sempre sorprendente: il parere sulle frane e valanghe, quello previsto dal DM 392/2003, non è stato ancora rilasciato. È un parere fondamentale, perché potrebbe imporre prescrizioni severe o, in linea teorica, addirittura un diniego. Nonostante ciò, l’Agenzia firma il Nulla Osta rimandando tutto alla prima prescrizione: quando il parere arriverà, la società proponente e i progettisti dovranno adeguarsi a qualunque indicazione della Regione Veneto. In sostanza, si costruisce prima e si valuta la compatibilità geologica dopo. Niente male.
Qui entra in gioco un passaggio decisivo della normativa. Una lettera del Ministero delle Infrastrutture, indirizzata proprio alla Regione Veneto e ad ANSFISA nel novembre 2024, ha di fatto interpretato la norma che parla di “immunità” da frane. Non si deve intendere come assenza di rischio, ma come compatibilità delle condizioni geologiche con la sicurezza dell’impianto. La compatibilità, spiega il Ministero, può essere “raggiunta e garantita nel tempo” attraverso monitoraggi, consolidamenti, strumenti di controllo. Non un requisito rigido, quindi, ma un percorso adattivo: non è necessario che il terreno sia stabile, basta che si possa gestire la sua instabilità. Ed è esattamente ciò che accade nel progetto Apollonio–Socrepes, dove la frana in un sistema di monitoraggi micrometrici, regolazioni periodiche, interventi continui.
Il secondo grande nodo riguarda i sottosistemi e le certificazioni CE. Il documento di ANSFISA ricorda espressamente che, per completare l’iter approvativo, la società dovrà presentare gli attestati CE dei componenti di sicurezza, le dichiarazioni di conformità e la documentazione sui limiti di utilizzo. È un passaggio delicato perché il costruttore dell’impianto, Anadolu Teleferik, è una società turca. Questo significa che i suoi componenti devono essere certificati per il mercato europeo e non lo sono in modo automatico: serve una procedura specifica, spesso lunga, prevista dal Regolamento UE 2016/424 che è probabilmente in fase di valutazione presso il Transportowy Dozór Techniczny con sede a Varsavia, in Polonia, l’organismo incaricato dalla Commissione Europea per la certificazione dei sottosistemi e dei componenti di sicurezza degli impianti a fune che richiedono marcatura CE secondo il Regolamento UE 2016/42. Il fatto stesso che ANSFISA sottolinei l’assenza della documentazione al momento del Nulla Osta indica che la parte tecnica del progetto è ancora incompleta e quindi si ammette che "al fine del completamento dell’iter approvativo, SIMICO (Società Infrastrutture Milano Cortina) dovrà inviare gli elaborati dei sottosistemi di cui all’art. 3 del Decreto Ansfisa n. 82216 del 29.12.2023 riguardanti il progetto funiviario completo (attestati di esame CE dei componenti di sicurezza e dichiarazioni di conformità CE, documenti indicanti i limiti di utilizzo e la reciproca compatibilità)".
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A questo si aggiunge un lungo elenco di condizioni aggiuntive, dalla A alla N, che nella loro forma enumerativa dicono una cosa molto semplice: c’è ancora moltissimo da fare. Il Direttore dei lavori dovrà affiancarsi a un geologo per tutta la durata del cantiere; gli scavi dovranno procedere “a campioni” con preconsolidamenti nei punti critici; andrà documentato lo stato degli edifici vicini prima degli interventi; le acque dovranno essere convogliate lontano da zone instabili; verranno installati nuovi sistemi strumentali; saranno necessari piani di riallineamento dei sostegni, procedure antincendio rafforzate, termocamere, telecamere, conduttori interrati, certificati di prevenzione incendi, ed anche l’istituzione di sette squadre di soccorso per un impianto poco più lungo di un chilometro.
La condizione finale impone un monitoraggio micrometrico approvato da ANSFISA stessa, da realizzare a monte, a valle e su tutti i sostegni. I dati dovranno essere inviati all’Agenzia prima delle prove. È il sigillo di un approccio che accetta che il terreno si muova e che l’impianto debba conviverci giorno per giorno, centimetro dopo centimetro.
Alcuni esperti del settore consultati da SALTO fanno notare che un Nulla Osta, per sua natura, dovrebbe arrivare quando tutti questi tasselli sono già al loro posto. Ricordano che il Regolamento UE 2016/424, recepito in Italia dal Decreto Infrastrutture 172/2021, stabilisce un quadro molto chiaro: il progetto definitivo funiviario deve essere tecnicamente compiuto e comprendere tutte le verifiche, gli studi, le certificazioni, le compatibilità necessarie. E ricordano anche che lo stesso decreto, richiamando l’art. 23 del Codice dei Contratti, indica che il progetto deve descrivere in modo completo le caratteristiche qualitative e funzionali dell’opera. Poco di tutto questo sembra pienamente concluso nel caso di Cortina.
Ciò che emerge, alla fine, è la fotografia di un provvedimento in equilibrio instabile tra politica e tecnica. Politicamente, il Nulla Osta doveva arrivare: serviva per proseguire i lavori e mostrare che “si può fare”. Tecnicamente, però, il documento segnala in ogni riga che quel via libera è condizionato, incompleto, rimandato a verifiche future.
È così che nasce un “nulla osta che non lo è”: un atto che permette di partire senza poter davvero dire che tutto è a posto. Un documento che consente alla politica di mostrare efficienza, mentre alla tecnica resta il compito, tutt’altro che semplice, di rincorrere la realtà geologica, certificativa e ingegneristica di un’opera che doveva essere pronta ieri. Una dimostrazione di potenza (?) costruita su un terreno che, letteralmente, si muove.
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