“Così ci si nasconde dietro un dito”
“Le statistiche parlano di reati in continuo calo, ma il livello di sicurezza percepito dalla popolazione è decisamente inferiore a quello del passato: anche a Bolzano, ormai le donne hanno paura ad uscire da sole alla sera”. Fanno ancora discutere le parole del Presidente della Provincia, Arno Kompatscher, che ha rivolto lo scorso 6 settembre al commissario straordinario all'emergenza migranti, Valerio Valenti, in occasione della visita al Viminale per discutere dell’apertura del controverso Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) all’interno della provincia di Bolzano. Quelle del Presidente, sono solo le ultime esternazioni che vanno a ricalcare un modello già tracciato da molto tempo, un binomio che affianca – sempre più vicino – il fenomeno migrante a quello della sicurezza, con particolare riferimento alla violenza di genere. Ma cos’hanno da dire a riguardo le addette ai lavori? Secondo Sigrid Pisano, per la Rete dei Centri Antiviolenza dell’Alto Adige, questo approccio strumentale diventa pericoloso per le stesse donne che affermiamo di difendere.
salto.bz: Pisano, la politica sta spingendo per la costruzione di un Centro di Permanenza per i Rimpatri come risposta all’ultima ondata migratoria, con particolare veemenza in questa campagna elettorale provinciale. Ultimamente si sta facendo leva su alcuni casi di cronaca, alludendo che la costruzione di un Cpr viene portata avanti nello stesso interesse delle donne. Come valuta queste esternazioni?
Sigrid Pisano: Così ci si nasconde dietro un dito. Focalizzare l’attenzione sui migranti e non riconoscere che la violenza sulle donne è un fenomeno strutturale della nostra società rischia solo di innescare interventi che non portano un reale beneficio per le donne.
In questo caso si parla di un senso di sicurezza venuto a mancare a causa della malagestione del fenomeno migratorio.
Tutti, in questo particolare momento storico, sentono di gridare alla percezione di mancata sicurezza, ma le azioni violente contro le donne esistevano da molto tempo prima della crisi migratoria. Ritengo dunque strumentale utilizzare queste motivazioni per giustificare questo tipo di strutture sul nostro territorio. Nei nostri centri supportiamo donne autoctone, donne che vengono da regioni e altre che hanno alle spalle un percorso migratorio. La violenza tocca tutte le donne, in Alto Adige come nel resto d’Italia. Al tempo stesso, chi commette questa violenza sono spesso e volentieri uomini nati e cresciuti qua, che hanno un’idea del controllo e del possesso della donna e non ne accettano alcun tipo di autodeterminazione. Circoscrivere questo problema alle persone straniere non solo è scorretto ma diventa discriminatorio nei confronti di coloro che hanno un percorso migrante alle spalle e che in Alto Adige hanno cominciato a ricostruire la propria vita, nel rispetto di quella altrui
I media, così come la politica, stanno spostando l’attenzione sulle violenze commesse in strada da persone sconosciute, a seguito di alcuni casi di cronaca. Qual è la proporzione tra la violenza che accade all’interno delle mura domestiche e quella che avviene in strada?
La maggioranza delle donne che si rivolgono da noi subiscono violenza dal partner o dall’ex partner, o comunque da un uomo di fiducia, quasi sempre all’interno delle mura domestiche. La media dell’Alto Adige è di circa l’80%, in linea con il dato nazionale. Cavalcare l’idea della violenza perpetrata da persone estranee in strada è sempre più facile: si semplifica un tema e lo si affronta nei termini della sicurezza e dell’emergenza, nascondendo le difficoltà che esistono nelle relazioni e nelle famiglie dove la violenza è agita, tutt’oggi. Questo spostamento dell’attenzione è davvero molto rischioso per le donne.
Cavalcare l’idea della violenza perpetrata da persone estranee in strada è sempre più facile
Cosa è necessario fare, a suo parere, per far sentire veramente le donne sicure?
Affrontare le problematiche e le difficoltà senza utilizzare un linguaggio sessista per non far sentire la donna aggredita sin dal principio, è il primo passo. I social network sono un esempio sottovalutato, ma restano una piazza rappresentativa. Insulti, aggressioni, minacce riportate per iscritto contro le donne ne influenzano la vita reale e quindi la propria percezione di sicurezza. Di conseguenza anche la paura di girare sole in strada è legata a questo. Un altro aspetto non secondario è lavorare con le persone più giovani per sviluppare un altro modo di interagire gli uni e gli altri, imparando a parlare e sostenersi. Fondamentale è anche come i media affrontano tutto questo, veicolare un messaggio in un modo rispetto ad un altro influenza cosa la società definisce emergenziale o securitario. Al contempo è importante non diffondere messaggi colpevolizzanti verso le donne: indicare di doversi vestire in un certo modo per non attirare l'attenzione, avere un abbigliamento che permette di scappare quando è necessario, il farle sentire continuamente inadeguate non è un aiuto per le donne ma alimenta le loro paure. Infine dobbiamo lavorare con il genere maschile, non girarsi dall’altra parte quando vediamo qualcosa che non va bene. La solidarietà tra le persone sta venendo sempre meno.