Gesellschaft | kalašnikov&valeriana

Ancora di linguaggio...

...teniamo conto delle regole basiche o a portata di mano un dizionario (no, il T9 o swype non basta!)
schwa
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Ormai lo sappiamo: l’uso che facciamo del linguaggio riflette e influenza il nostro modo di pensare e di agire. E, inoltre, disegna un quadro del momento storico. Pensiamo al linguaggio utilizzato nella Germania Neonazista, oppure a quello degli USA negli anni ‘50. Di certo non mancano esempi concreti nemmeno nel Bel Paese oder im Heiligen Land Tirol… E nemmeno dei giorni nostri. Pare un dibattito infinito ed estenuante quello attuale fra chi ritiene il maschile sovraesteso adeguato e chi invece chiede un linguaggio più inclusivo.

Da un lato abbiamo quindi chi sostiene che l’assunzione del maschile come neutro rappresenta sufficientemente la realtà (perché personalmente ha il privilegio di sentirsi rappresentato grazie ad esso) e che il femminile sia solamente una variazione dettata da una scelta culturale. C’è la normalità dell’essere umano che è maschile e poi (dopo) c’è il secondo sesso come accessorio (cari saluti da Simone De Beauvoir!). Basti pensare a come, linguisticamente parlando, un solo uomo sia in grado di annullare la presenza di cento (o più donne). Anzi, a volte non serve nemmeno la sua presenza e anche un gruppo esclusivamente femminile si annulla. Prendiamo come esempio il titolo di un quotidiano locale in occasione di Capodanno: “Sono tutte femmine i primi nati del 2023”. Non so se mi ha colpito più il titolo o i commenti sottostanti. Gli sforzi di chi vuole mantenere lo status quo (il maschile sovraesteso) ed è quindi disposto/a a manomettere la grammatica, raggiungono dei livelli surreali quando si legge “il Presidente si è seduta”.

Dall’altro lato c’è chi invece chiede un linguaggio che tenga conto del genere. È un processo che parte dall’uso (perché già esistono e nulla dev’essere inventato) delle professioni al femminile, passa per un linguaggio di genere nell’amministrazione pubblica e che si traduce in una serie di esperimenti linguistici volti alla ricerca di un’espressione inclusiva (soprattutto se oltre al maschile e al femminile c’è il desiderio di includere anche altre soggettività).

Ora, siamo a un punto morto se ci inalberiamo in un dibattito con innumerevoli argomenti che vanno dal “non si può sentire” al riferimento a tradizioni e presunte regole che poi non reggono ad un esame più attento. Invece esistono regole eccome: grammaticali e linguistiche! Un ripasso veloce non fa mai male:
- esiste il genere grammaticale che non dipende dalle caratteristiche del sostantivo
(ad es. la casa, il giardino)
- esiste il genere semantico che si riferisce a esseri viventi e è coerente con il loro genere:
IL GENERE FISSO (ad es. fratello-sorella, toro-vacca)
IL GENERE COMUNE (ad es. il/la giornalista, il/la camionista, il/la presidente)
IL GENERE PROMISCUO (ad es. il cameriere, la cameriera)
IL GENERE MOBILE (ad es. maestro/maestra, ministro/ministra)

Insomma, mentre ci infervoriamo, almeno teniamo conto delle regole basiche… e, nel dubbio, teniamo a portata di mano un dizionario (no, il T9 o swype non basta!)