Sole o mal accompagnate …

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Il tema dell’abitare coinvolge molti aspetti legati al nostro modo di vivere un luogo. Si tratta prima di tutto di una questione sociale, economica, politica e, forse, solo in seconda battuta anche di una questione architettonica, urbanistica e paesaggistica. Non ci occuperemo in questo caso della casa intesa come bene comune e come elemento costitutivo di una comunità, tratteremo il «problema casa» in una specifica edizione dedicata al social housing. Proviamo invece qui a indagare «l’oggetto casa» nelle sue implicazioni formali e di rapporto con il contesto. I dieci progetti che abbiamo scelto presentano infatti diverse soluzioni, fisiche e materiche, che riflettono l’evoluzione dell’attuale ricerca delle esperienze dell’architettura contemporanea alpina. Tuttavia, se proviamo ad allargare lo sguardo, osservando il contesto in cui tali opere sono inserite, sembrano esprimere quasi una sorta di sintesi della «cultura sudtirolese», dove il paesaggio funge da sfondo, quasi finto e perfetto, utile come un set fotografico per documentare il nostro lavoro.
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Ed è proprio questo il punto di osservazione che ci interessa: non solo come gli architetti progettano, ma anche come documentano le opere realizzate. L’apporto del fotografo diventa in questo caso determinante. Proveremo quindi a partire da qui. Dopo aver selezionato i progetti da pubblicare, scelti in parte tra i materiali inviati per il premio Architettura Alto Adige, in parte tra quelli pubblicati sull’Arch Atlas, e infine alcuni più recenti individuati dalla redazione, ci siamo resi conto che vi era una certa omogeneità delle immagini. Infatti, ben sette progetti su dieci sono stati fotografati dallo stesso professionista: Gustav Willeit. Quindi subito è sorto un dubbio: quanto ha influito la qualità delle immagini nella nostra scelta? Quanto corrisponde quel tipo di linguaggio estetico e artistico al nostro gusto personale? Quanto le immagini raccontano veramente il progetto e i luoghi in cui le opere sono inserite? L’intervento del fotografo si pone spesso a cavallo di un labile confine tra intenzione artistica e attività tecnica di documentazione. L’interpretazione del tema del progetto può essere frutto di un autonomo punto di vista e non per forza corrispondere alle intenzioni del progettista. Spesso inoltre le inquadrature, per valorizzare le forme e i dettagli dell’edificio, tendono ad isolarlo dal contesto in cui si trova. Quindi anche case poste nelle immediate vicinanze di edifici ritenuti poco interessanti, se non addirittura «disturbanti», paiono essere in mezzo alla natura e non realmente «mal accompagnate» come in realtà sono.
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Tornando all’architettura, anche in questa indagine relativa alle case singole, appare evidente l’elevata qualità dei progetti e delle realizzazioni nel nostro contesto locale. Per quanto vi possa essere una sorta di uniformità di linguaggio architettonico che corrisponde ad una collettiva contaminazione del gusto, anche con il rischio di un possibile appiattimento e una tendenza all’omologazione, rimane evidente che vi sono molti esempi di architetture che si distinguono per qualità dalla massa. Per raggiungere questo obiettivo, al ruolo dell’architetto, che con il proprio operato stimola i diversi contesti con cui si confronta, si affianca il coinvolgimento attivo e appassionato degli altri due fondamentali soggetti che concorrono alla realizzazione dell’opera: i committenti e gli artigiani. Molti sono i committenti che con estrema fiducia si affidano agli architetti per realizzare la propria casa. Ingenti investimenti, anche per obiettivi di limitate aspettative e di relative dimensioni, caricano i professionisti di notevole responsabilità nell’individuare diverse possibili soluzioni progettuali per dare forma, possibilmente originale e personale, alle richieste espresse dai proprietari. Si tratta di una maturità espressa da molti committenti, nel seguire le nostre indicazioni, sicuri di essere nelle mani giuste. Lo testimoniano i progetti presentati, completi in tutte le loro parti, dagli aspetti formali dell’edificio, dai materiali impiegati, fino alle finiture degli arredi interni sempre definiti dagli stessi progettisti.
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Il secondo soggetto, anche questo fondamentale, è costituito dalle imprese e dai molti artigiani che attraverso la propria esperienza sul campo, effettuata e maturata anche grazie agli stimoli degli architetti che hanno avuto il coraggio di sperimentare nuove tecniche di lavorazione, offrono il proprio know-how anche ai professionisti più giovani o con meno esperienza. Il risultato è che vediamo pareti in cemento armato a vista perfettamente eseguite, interessanti finiture o decori di cemento o di legno, serramenti di notevoli dimensioni estremamente raffinati, il tutto a testimonianza di un saper fare che è diventato ormai un patrimonio che ha un potenziale economico esportabile, ed esportato, anche fuori provincia. Questo insieme di intenti e di professionalità dà vita a edifici che vanno oltre la mera funzionalità, diventando simboli di una cultura in continua evoluzione. La contemporaneità, quindi, non è un’eccezione, ma una prassi consolidata, capace di influenzare anche la costruzione di una casa, rendendola un segno distintivo dell’identità del luogo e della sua storia.
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TURRIS BABEL è la rivista di architettura della Fondazione Architettura Alto Adige, frutto della collaborazione appassionata e volontaria di giovani architetti. La Redazione si è posta come obiettivo, quello di risvegliare l’interesse per l’architettura non solo tra gli esperti in materia, ma anche tra la popolazione, di rilanciare su tutto il territorio ed a livello nazionale, il dibattito sull'architettura in Alto Adige, di promuovere la divulgazione di una buona progettazione, cosciente delle implicazioni socio-economiche ed ambientali che essa comporta.
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