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La macchina d'EU ha un buco nella gomma

Il comparto dell'industria automobilistica del Vecchio Continente soffre. Il "green" e la concorrenza cinese sono indicate come le cause principali, ma forse in Europa è mancata un po' di lungimiranza...
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Foto: AFI-IPL
  • La grigia situazione europea dell’automotive è ormai argomento di discussione quotidiana: la crisi di due dei principali produttori di automobili del Vecchio Continente, VW (che comprende Volkswagen e Audi) e Stellantis (sigla nata dalla fusione di FIAT-Chrysler e Peugeot) è infatti ormai costantemente sugli organi di informazione.

    Il marchio tedesco il mese scorso ha annunciato la chiusura di tre stabilimenti in Germania e un taglio delle retribuzioni dei propri dipendenti, mentre Stellantis (orfana del proprio CEO Carlos Tavares, dimessosi ai primi di dicembre) si sta ricorrendo a stop di produzione e cassa integrazione

    Ciò ha ovviamente portato a un massiccio intervento dei sindacati che, sia in Italia che oltre confine, si sono mossi per tutelare i lavoratori, con diverse mobilitazioni promosse anche in Alto Adige.

    Ma da cosa nasce questa crisi europea? Proviamo ad analizzare e riassumere la situazione da diverse angolazioni.

  • I NUMERI DELLA CRISI. 

    A novembre 2024 in Italia sono state immatricolate 124.251 autovetture, il 10,8% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il dato diventa ancora più negativo se si guarda alla sola Stellantis che, con 30.817 auto vendute, ha registrato un -24,6%.

    La crisi, come riporta il professore di Economia e Gestione delle Imprese Francesco Zirpoli (Ca’ Foscari di Venezia), non è certo una novità: dal 2000 infatti l'Europa ha visto praticamente dimezzare il proprio valore nella produzione mondiale di automobili, passando dal 31% a poco più del 15%

    Ad assorbire la quota produttiva “lasciata per strada” dall’UE (e dall’area NAFTA, che ha sostanzialmente registrato numeri molto simili all’Europa) è stata la Cina, passata dal 4% al 32% e diventata la prima produttrice mondiale. Il tema relativo al colosso cinese, comunque, verrà approfondito nei capitoli successivi.

    L’AUTOMOTIVE IN ALTO ADIGE.

    La situazione internazionale attuale, ovviamente, è motivo di preoccupazione anche per la provincia di Bolzano, per la quale l’automotive è un comparto strategico dal punto di vista economico. 

    In Alto Adige è infatti presente una decina di grandi aziende (alcuni sono marchi locali, come per esempio Alpitronic e Intercable, altri distaccamenti di multinazionali estere, come Röchling e GKN) che lavorano nel settore. Molte di queste sono tra l’altro nella "Top 20" del ranking delle imprese altoatesine, contando nel complesso circa cinquemila posti di lavoro

    Eccezion fatta per IVECO (specializzata in produzione di veicoli militari), la maggior parte di queste imprese fornisce componentistica e lavora, oltre che a livello nazionale, soprattutto con i Paesi di area tedesca. 

    Appare quindi quasi superfluo sottolineare quanto la crisi di due colossi come Stellantis e VW, senz’altro punti di riferimento del settore per rispettivamente Italia e Germania, possa mettere in crisi anche le aziende altoatesine…

    LA (PRESUNTA) CAUSA SCATENANTE…

    La transizione dell’automobile dal motore a combustione a quello “green” e in particolare a quello elettrico si sta rivelando piuttosto complicata, e molti sembrano indicarlo come la principale causa della crisi europea.

    Ciò può essere in un certo senso considerato vero, ma la colpa non sembra essere del nuovo modello in sé in sé, quando della politica adottata dai produttori europei, al momento in netto ritardo rispetto alla concorrenza a causa di una scarsa lungimiranza mostrata nell'ultimo decennio o giù di lì.

    Il blocco alla produzione di auto a combustione che diverrà effettivo a partire dal 2035 è infatti arrivato nel 2023, ma già da qualche anno era chiaro che la mobilità si sarebbe spostata verso un modello più ecosostenibile. Nonostante questi segnali, i produttori nostrani hanno deciso di “ignorare” questo mercato apparentemente di nicchia per continuare a spremere quello su cui avevano più margine (le auto a motore endotermico), trovandosi poi a doversi adattare una volta costretti dalle normative.

  • Foto: usertrmk - Freepik
  • … E I VERI MOTIVI DEL “SORPASSO” ASIATICO. 

    Sempre secondo il professor Zirpoli, è stato proprio questo l’errore dei car maker europei: mentre nel Vecchio Continente si continuava a “sfruttare” questo settore, i produttori esteri (e in particolare quelli cinesi) investivano in nuovi prodotti e processi per l’elettrificazione, imparando come ridurre i costi e migliorare l’integrazione di nuove componenti software, elettroniche e meccaniche

    Ciò ha portato l’Europa a essere indietro non tanto sull’aspetto tecnologico dei mezzi in sé (l’UE resta leader per brevetti), quanto sull’efficienza produttiva: in Cina, nonostante i costi già di per sé inferiori, si punta moltissimo sull’automazione. Ciò porta a costi impensabilmente bassi rispetto a quelli dei produttori europei che tra l’altro, continuando a produrre sulla stessa linea auto elettriche ed endotermiche, perdono tempo e denaro. 

    A contribuire alla competitività delle auto cinesi non vi è solo il loro basso costo, ma anche la capacità di inserirsi in una fetta di mercato lasciata “scoperta” in Europa, vale a dire la fascia relativa a quelle che una volta si chiamavano “utilitarie”. Parliamo di auto di dimensioni ridotte, meno energivore e più accessibili economicamente, in Europa sfavorite rispetto a quelle di grandi dimensioni: queste ultime si sono infatti ritagliate uno spazio molto importante nel Vecchio Continente, producendo un costante spostamento delle medie di prezzi, dimensioni, pesi e potenza dei veicoli verso l’alto

    Nel complesso, dal 2000 al 2021, per gli acquirenti europei il costo medio dei veicoli venduti è cresciuto del 66% (contro un aumento del tasso di inflazione del 38%), il che si riflette anche sull’elettrificazione per come è stata finora concepita in Europa: lo sviluppo di veicoli costosi e pesanti, infatti, ha di fatto lasciato i guidatori orfani di veicoli realmente ecologici e a prezzi contenuti

    A tutto questo si aggiungono poi ovviamente i costi europei, generalmente più alti, e la dipendenza dalle risorse (la Cina oggi è leader nel controllo del mercato relativo a litio, cobalto, terre rare, grafite e, di conseguenza, delle batterie), ma questi due aspetti hanno in fondo sempre caratterizzato la situazione del continente, risultando un ostacolo tutto sommato un problema sin qui “gestibile”.

    Il risultato finale? La Cina, oramai il principale mercato mondiale, non solo compra sempre meno automobili dall’Europa, ma ha iniziato a invertire la tendenza, sbarcando in UE con i propri modelli efficienti ed economici.

    E ORA…?

    In questo momento, dunque, l’Europa si trova nell’inedita situazione di rincorrere in un’industria in cui è sempre stata leader e in cui ha sempre indirizzato le scelte altrui.

    Recuperare non sarà facile: nonostante le risorse ci siano, il ritardo accumulato è notevole, inoltre le sanzioni imposte a chi non raggiungerà gli obiettivi di produzione potrebbero essere un ulteriore freno. Per semplificare al massimo, se le macchine sono troppo costose non le compra nessuno, se non le compra nessuno scattano le sanzioni e se scattano le sanzioni non ci sono soldi per innovare e per ridurre i costi; si tratta di un loop potenzialmente letale per l’Europea che, procedendo così, rischia di vedere seriamente compromesso uno dei propri asset economici più importanti.

    Un punto importante in tal senso viene sottolineato da Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova ed esperto di transizione della mobilità, il quale durante una recente intervista alla RAI ha affermato messo il focus su un’impasse piuttosto comune: “La tecnologia dell’elettrico – ha infatti affermato Sabella - sarà una delle tecnologie che innoveranno la mobilità, ma l’errore dei costruttori europei è stato quello di pensare che fosse l’unica e di puntare tutto su questa tecnologia. Nel frattempo, gli altri sono andati avanti e hanno innovato l’auto e cercato nuove forme di alimentazione, come per esempio Toyota e il motore ad acqua che estrae idrogeno”.

    Per riguadagnare il proprio ruolo di leadership mondiale, l’Europa dovrà dunque farsi portatrice di una nuova idea di mobilità, cambiando approcci e obiettivi e ripartendo dagli investimenti (sia pubblici che privati) nella ricerca che per decenni le hanno permesso di essere leader nel settore.

    Le risorse europee andranno orientate allo sviluppo di software, telecomunicazioni, infrastrutture, chimica (per le batterie), processi di produzione più efficienti, riciclo e riuso, ma anche sul piano dell’organizzazione dell’industria e in generale dello sviluppo di soluzioni innovative

    Per farlo servirà tuttavia una certa unione di intenti sia a livello di pubblico e privato che a livello di Paesi europei, i quali dovranno cercare di creare un protocollo comune e standardizzato. 

    Se così non fosse, l’intera economia europea sarebbe a rischio e alla fine a pagarne le spese sarebbero, come sempre, gli attori più deboli della catena del valore: i lavoratori.