Gesellschaft | Sanità

Ricoveri, in Regione 1 su 5 è evitabile

Sono oltre 28 mila l’anno a causa della scarsa comunicazione tra ospedali e servizi territoriali. Ebner (Cgil): “Problema sociale e non sanitario, riguarda gli anziani”.
Paziente
Foto: upi
  • In Trentino-Alto Adige si spendono 84 milioni di euro in ricoveri non necessari, che sono oltre 28 mila l’anno, la causa è la crisi di comunicazione tra strutture ospedaliere e servizi sanitari territoriali. Una ricerca della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi) ha infatti mostrato che ben 1 ricovero su 5 sarebbe evitabile se i pazienti venissero presi in carico dai servizi sanitari sul territorio anziché dagli ospedali, notoriamente sovraffollati. 

    “La mancata comunicazione tra le strutture sanitarie ospedaliere e i servizi sanitari territoriali, aggravata dalla scarsa integrazione con i servizi sociali e dai cronici problemi del sistema informatico, prolunga la permanenza dei pazienti in ospedale e fa lievitare i costi sanitari”, afferma il segretario del sindacato dei pensionati della Cgil/Agb Alfred Ebner.

    Secondo il sindacalista, infatti, il problema è più sociale che sanitario, si tratta spesso di pazienti anziani che vengono ricoverati impropriamente in ospedale perché non hanno chi possa prendersi cura di loro. “Già in passato il reparto di geriatria di Bolzano denunciava l'occupazione non appropriata di posti letto che sarebbero serviti urgentemente per le cure sanitarie di altri pazienti anziani”, precisa Ebner, che ritiene che delle strutture sanitarie più vicine al cittadino sarebbero in grado di gestire le problematicità sanitarie di molte persone anziane senza gravare sugli ospedali. 

    “Le nuove strutture – spiega il segretario – dovrebbero inoltre ospitare i servizi di assistenza sociale, integrando i servizi sanitari e quelli sociali. A completamento del progetto servono poi strutture intermedie chiamate ospedali di comunità e il coordinamento da parte delle Centrali operative territoriali. In quest’ottica andrebbe poi rivista la logica che muove il nostro sistema di assistenza sociale, attualmente basato più sull'erogazione di assegni che di servizi”, conclude.