Leader simbolici
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È noto come l’uomo sia un animale simbolico, capace di riconoscere in situazioni, oggetti e persone significati che vanno al di là della loro apparenza. Definisce il vocabolario il termine “simbolico” quale “cosa che non vale per sé, per la sua realtà o entità, ma per ciò che rappresenta”.
Di ciò – in un’accezione tutta loro – devono essere particolarmente convinti i (le) vari leader politici italiani che in queste ore stanno valutando se porre il proprio nome sulla lista di candidati per le elezioni europee di giugno.
Simbolicamente, appunto. Non essendo il ruolo di deputato europeo compatibile con l’appartenenza a un parlamento nazionale, infatti, è evidente che i nostri, appena eletti, rinunceranno al mandato europeo per rimanere attivi a Roma.
Il (la) leader pone il proprio nome in cima ai candidati per le europee non perché intenda farsi eleggere al parlamento di Strasburgo, dove dare luogo a un’attività politica per la quale chiede il mandato all’elettorato. Piuttosto, egli (ella) si propone di “tirare la volata” agli altri candidati in lista (non di rado ignorati dall’elettorato, che si concentra sul grande nome e finisce per eleggere all’insaputa altri soggetti), oppure per misurare il proprio consenso nel Paese, imporsi nei confronti di alleati interni o esterni al partito, o per altri motivi ancora, tutti caratterizzati dall’assenza di qualsivoglia connessione con le elezioni europee.
La candidatura del leader “non vale per sé, per la sua realtà o entità, ma per ciò che rappresenta”.
Una manovra, insomma, che si riduce a un abuso di una caratteristica essenziale del genere umano, dell’homo symbolicus. Il simbolo, da orizzonte di senso (sociale, religioso, etico) a cui ispirare le proprie attività, si trasforma, in definitiva, in uno specchietto per le allodole. Nel nostro caso, in uno specchietto per gli elettori.
“Si è sempre fatto così”, si obbietterà. È vero, da tanti anni leader politici di vario colore sono soliti candidarsi “in prima persona” alle elezioni europee. I risultati, purtroppo, si vedono. Non è l’unico motivo, ma di certo un approccio simbolico (nel senso deteriore del termine) alla politica europea, usata come strumento per manovre politiche nazionali, ha contribuito a una rappresentanza italiana in Europa troppo spesso poco attenta e incapace di influire efficacemente sulle – oggigiorno rilevantissime – politiche continentali.
E il fatto che “è sempre stato così”, lungi dal giustificare tale costume, porta piuttosto ad interrogarsi – come con il recente caso dei saluti romani ad Acca Larentia – come sia possibile che, oggigiorno, “si faccia ancora così”.