Gesellschaft | Gastbeitrag

Riflessione collettiva sulla mascolinità

Venerdì 17 al centro Wanderlust si proietta "ein mann zu sein" di Felix Rier. Chiara Beccanelli e Andrea Angeli condurranno poi un dibattito sul tema della responsabilità di genere.
mascolinità violenza di genere
Foto: screenshot
  • Condividere e dare voce alle emozioni e alla vulnerabilità maschile: questo l’obiettivo intorno a cui si svilupperà “Riflessione collettiva sulla mascolinità”, evento che avrà luogo venerdì 17 maggio allo . di Bolzano. La serata si aprirà alle 19:30 con la proiezione del cortometraggio “ein mann zu sein”, opera di Felix Rier, regista originario di Siusi allo Sciliar. Il film racconta la vicenda di un ragazzo che indaga le sue emozioni dopo aver appreso la notizia dello stupro subito da una sua cara amica. “Al centro della pellicola c’è il punto di vista del protagonista del film, che con delicatezza indaga il suo senso di colpa, facendo emergere la responsabilità collettiva di genere”, spiega Micol Piovesan, socia Gea e promotrice di contenuti e informazioni su violenza di genere e female empowerment, tra le organizzatrici dell’iniziativa. La visione del film sarà propedeutica alla riflessione tra i*le partecipanti, guidata da Chiara Baccanelli, psicologa, facilitatrice di processi partecipativi e consulente sessuale e dall’educatore Andrea Angeli. Per svolgere questo momento nel modo più orizzontale possibile, i due guideranno i partecipanti in un esercizio di movimento libero a cui seguirà un momento di dialogo in cui ciascuno potrà condividere un commento, un pensiero e le proprie emozioni suscitate dalla visione del film di Rier.

  • Mascolinità e consapevolezza

    “La mascolinità si riferisce sì a una qualità di caratteri convenzionalmente riferiti agli uomini cis, ma può riguardare ovviamente tutte le persone indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e dal genere in cui ci si identifica”, puntualizza Micol Piovesan, che per trattare questo tema sposa la posizione di bell hooks. “Nel libro “Mascolinità e amore” l’attivista e scrittrice statunitense afferma che “non è vero che gli uomini non vogliano cambiare, ma quello che è vero è che non si rendono conto di essere le prime vittime del patriarcato”.

    Il maschio alpha solitamente deve essere sicuro di sé, incarnare una forma di autorità, essere combattivo, non manifestare emozioni, essere razionale e deve avere “bisogno” del sesso.

     Spesso, infatti, c’è ancora troppa poca consapevolezza rispetto alla mascolinità tossica che permea il sistema patriarcale nel quale gli uomini crescono e diventano adulti. Come ha scritto il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini, il patriarcato va inteso come “un sistema di potere che manifesta e fissa un sistema maschile eterosessuale di oppressione verso altri generi che hanno difficile accesso a posizioni di potere, subiscono discriminazioni o sono soggetti a pregiudizi culturali”. All’interno di questo sistema alcuni comportamenti e codici interiorizzati vengono riproposti perché rispondono all’immagine del maschio “giusto”, a cui gli uomini devono tendere per affermarsi come individui. Alcune delle caratteristiche su cui si fonda la supposta “naturale” mascolinità Gasparrini le individua nel libro “Perché il femminismo serve anche agli uomini”. Il filosofo scrive che il maschio alpha solitamente deve “essere sicuro di sé, incarnare una forma di autorità, essere combattivo, non manifestare emozioni, essere razionale e deve avere “bisogno” del sesso”.

    Se nel 2024 alcuni stereotipi e comportamenti sono duri a morire, è altresì vero che negli ultimi anni il tema della mascolinità critica sta ottenendo maggiore visibilità. Sono nati progetti – per esempio la community “Mica macho” – in cui il “maschile” viene affrontato e discusso in un’ottica di cambiamento. Secondo Piovesan “questa attenzione è in parte dettata dallo spazio dato all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole.”. 

  • L’importanza dell’educazione sessuale e affettiva

    La locandina: Foto: gea

    Chiara Baccanelli è una delle professioniste che si occupa di educazione sessuale e affettiva nelle scuole del territorio.

    La psicologa rileva che, seppure molti istituti siano restii a proporre questa materia, ce ne sono alcuni che si sono muovendo in questa direzione. Altri istituti, invece, si dicono interessati alla componente affettiva ma non a quella sessuale della materia. A questo proposito Baccanelli sottolinea, però, che “ci sono linee guida internazionali su come proporre l’educazione sessuale ai giovani e l’aspetto emotivo va sempre di pari passo con quello sessuale”. Lo sviluppo di skills comunicative e relazionali, quindi, non può prescindere dalle informazioni legate al corpo e al sesso. 

    Quest’anno Baccanelli ha lavorato in due scuole del territorio, a Tione e a Bressanone. Nella città vescovile, l’Istituto “Falcone e Borsellino” ha attivato un progetto incentrato sulla salute sessuale e sui temi dell’identità di genere e del consenso nell’ambito della sessualità.

    “Rispetto a questi due temi ho trovato interesse, ma al contempo anche tanta resistenza”, racconta la psicologa, che spiega come “andando a fondo, nei ragazzi emergono insicurezze e paure”. I giovani, infatti, si sentono spesso messi all’angolo dal confronto con il gruppo dei pari, poiché ogni posizionamento è legato anche a dinamiche relazionali ed emotive. 

    Quando in classe dico che una pacca sul sedere non è una molestia ma può essere considerata una violenza sessuale, molti si stupiscono

    Durante le due settimane di lavoro con studenti e studentesse Baccanelli ha osservato che, confrontandosi con il tema del consenso, molte azioni e comportamenti che “normali” non sono vengono considerati ancora oggi tali. “Quando in classe dico che una pacca sul sedere non è una molestia ma può essere considerata una violenza sessuale, molti si stupiscono, perché avere contatti fisici non desiderati è vista come una cosa comune”. 

    Ripercorrendo l’esperienza di Bressanone, la psicologa ricorda in particolare un lavoro di gruppo nel quale i ragazzi erano chiamati a discutere tra loro di genere e consenso. “Ogni volta che mi avvicinavo al tavolo di lavoro di un gruppo di amici sentivo un livello di disagio altissimo”, racconta. Baccanelli sentiva che da parte dei giovani era vivo il desiderio di aprirsi, ma tra loro avevano difficoltà a farlo. “È bello che siano riusciti a condividere con me che non fossero abituati a parlare tra loro di sessualità in modo profondo ed emotivo”. Riconoscere e dichiarare i propri limiti, avere consapevolezza del proprio abituale stile di comunicazione e al tempo stesso avvertire il desiderio di aprirsi è un ottimo punto di partenza. Per questo Baccanelli ha stimolato il gruppo, invitandolo a fissare delle “regole” – evitare il giudizio, assicurare che quanto detto sarebbe rimasto all’interno della classe –, ma anche così i ragazzi hanno fatto molta fatica a comunicare. “Aprendo il gruppo e interagendo con le ragazze poi qualcosina gradualmente è emerso”, continua Baccanelli, che in questa situazione ha visto “molta solitudine, perché è specchio di come a volte gli amici che trascorrono la maggior parte del tempo tra loro non riescono a essere davvero se stessi e a esprimersi liberamente”. 

  • Un percorso ancora lungo

    Per raggiungere un buon livello di consapevolezza generale, quindi, c’è ancora molto da fare.  Micol Piovesan ritiene innanzitutto fondamentale “la creazione di spazi per gruppi di autoconsapevolezza e coscienza maschile a cui possano accedere persone che su base volontaria decidono di voler affrontare un percorso di confronto e crescita”: un’azione di “separatismo”, dunque, come momento necessario per poter elaborare pratiche e idee di liberazione. 

    Gli uomini, inoltre, possono imparare molto dall’esperienza dei movimenti femministi. Per affrancarsi dai condizionamenti della cultura patriarcale è importante stringere alleanze con le donne e i movimenti femministi, facendo naturalmente attenzione a “parlare con” e non a “parlare per”. “Io sono contenta se gli uomini decidono di affiancare le donne nella lotta alla parità di genere”, afferma Piovesan. “Vedo due correnti che si prendono per mano e camminano nella stessa direzione”.   

    Un altro passo necessario che gli uomini sono chiamati a fare è la messa in discussione della propria posizione di privilegio, che Gasparrini definisce come uno stato in cui “a parità di condizioni con altri e altre – gli uomini etero hanno più possibilità di superare quelle condizioni”. 

    Basti pensare ai servizi sui casi di femminicidio, per esempio, spesso “romanticizzati”, in cui l’omicida viene descritto come “geloso” o “preso da un raptus”.

    Per realizzare questo cambio di paradigma, non va sottovalutato il ruolo dei media, chiamati a utilizzare un linguaggio puntuale e corretto. Questo troppo spesso ancora oggi non avviene. Basti pensare ai servizi sui casi di femminicidio, per esempio, spesso “romanticizzati”, in cui l’omicida viene descritto come “geloso” o “preso da un raptus”. “Così facendo si favorisce l’oggettivazione della donna, preda e oggetto del desiderio del maschio, che dal canto suo è incapace di gestire un rifiuto”, sottolinea Piovesan. Quasi deresponsabilizzati, dunque, in un certo senso gli uomini vengono sollevati dalle proprie responsabilità. 

    Per ovviare a questa situazione, i professionisti dell’informazione dovrebbero semplicemente rispettare il “Testo Unico dei doveri del giornalista”. Nei casi di femminicidio, violenza, molestie, discriminazioni e fatti di cronaca che coinvolgono aspetti legati all’orientamento e all’identità sessuale, un giornalista deve “prestare attenzione a evitare stereotipi di genere, espressioni e immagini lesive della dignità della persona; attenersi a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole, all’essenzialità della notizia e alla continenza, a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza e a non usare espressioni, termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto commesso”.

  • Un punto di partenza

    Per le organizzatrici l’evento di venerdì 17, nato grazie alla disponibilità di Giulia Manzato, titolare del centro di yoga Wanderlust in via Bottai a Bolzano, rappresenta un ideale punto di partenza per favorire la spinta per un percorso di consapevolezza – degli uomini e non solo – sul territorio.  In vista di “Riflessione collettiva sulla mascolinità”Chiara Baccanelli spera di “sentire tante voci diverse e incontrare persone in un piano di dialogo fondato sulle emozioni di ciascuno”. Per questo la psicologa invita chi parteciperà ad avere il coraggio di mostrare anche la propria vulnerabilità. 

    In questo senso, “sedersi uno vicino all’altro, guardarsi negli occhi e aprirsi è il primo passo fondamentale per favorire questo processo”, evidenzia Piovesan, che invita “tutte le persone e le realtà del territorio interessate a prendere parte all’evento per provare a mettersi in discussione, così da riuscire a dare vita in futuro a dei veri e propri gruppi di autocoscienza maschile”.

    Gli uomini potrebbero così iniziare a liberarsi del fardello e dei limiti imposti dalla mascolinità tossica, contribuendo attivamente alla rimozione degli ostacoli che impediscono di giungere a una vera parità di genere in famiglia, nelle relazioni e nella vita sociale e alla realizzazione del mondo auspicato da Chimamanda Ngozi Adichie nel libro “Dovremmo essere tutti femministi”: “un mondo diverso, più giusto, un mondo di uomini e donne più felici e più fedeli a loro stessi”.