Prezzi svizzeri, stipendi italiani
Di record in record, Bolzano si conferma la città più cara d’Italia praticamente da sempre. Puntuali, una volta al mese, l’Astat e il Comune di Bolzano pubblicano un bollettino con l’indice dei prezzi al consumo che non dà scampo. Come quando si ascolta una litania ormai quasi non si fa più caso ai significati e viene solo da rispondere: "ora pro nobis". Perché il guaio è che l’incremento tendenziale è tale per cui il gap continua ad allargarsi. Non è che nel 1999 eravamo la città più cara d’Italia e lo siamo semplicemente rimasti con lo stesso distacco sulle altre. La forbice, infatti, ha continuato ad allargarsi. L’inflazione cammina con velocità diverse un po’ ovunque, ma qui corre e lo fa con un’andatura sempre più veloce. Se si usa lo strumento online messo a disposizione dall’Astat, si vede ad esempio che: se nel 1999 in Italia con 100 euro potevo acquistare tot cose, nel maggio 2021 le stesse identiche cose le pagavo 139,80 euro. A Bolzano, invece, quello che compravo con 100 euro nel 1999 ora mi costa 152,60. Ma nel capoluogo, essendo anche il livello assoluto dei prezzi più alto, nel 1999 con 100 euro compravo molte meno cose rispetto al resto d'Italia. Questo il bollettino di ieri (15 giugno): a maggio 2021 nel Comune di Bolzano l'indice generale dei prezzi al consumo per l'intera collettività - NIC con tabacchi - rispetto a maggio 2020 ha fatto segnare un +2,5%. Nelle ultime righe del comunicato l’Astat ci ha fatto come sempre sapere che questi dati, pesati in modo leggermente diverso (il cosiddetto indice FOI) vengono utilizzati per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio il canone di affitto o l’assegno dovuto al coniuge separato.
Se si riflette su quest’ultimo aspetto si apre un mondo. Chi ha spese fisse di questo tipo lo sa bene. Gli adeguamenti, infatti, arrivano ineluttabili. Ma per l’esercito degli oltre 200.000 lavoratori dipendenti dell’Alto Adige –un quarto dei quali sono pubblici – gli adeguamenti stipendiali sono, per usare un eufemismo, meno ineluttabili. Il luogo comune che vuole gli stipendi altoatesini largamente più buoni del resto d’Italia non è però confortato dai dati. Ne abbiamo parlato con Stefan Perini, direttore dell’Afi-Ipl, che da anni maneggia cifre e statistiche.
Il problema è che in Alto Adige abbiamo prezzi svizzeri e stipendi poco superiori alla media italiana
salto.bz: Dottor Perini, ci aiuta a capire perché in Alto Adige i prezzi crescono in questo modo?
Stefan Perini: Quando si parla di livello dei prezzi si parla di prezzi in termini assoluti. Quando si parla di dinamica dei prezzi si va ad analizzare la loro crescita in un dato periodo. Quando i media parlano di inflazione, parliamo, appunto della dinamica dei prezzi. Secondo un’indagine della Banca d’Italia, i prezzi a Bolzano sono del 20 per cento sopra la media nazionale. E direi che ormai siamo vicini al 25%. Quindi, non solo qui costa tutto di più ma i prezzi corrono anche di più e la forbice continua ad allargarsi. Il perché di questa tendenza ormai consolidata da decenni è dovuto a vari fattori. Spesso, è vero, c’è correlazione tra benessere e livello dei prezzi. Più è elevato il Pil pro capite e più è elevato il costo della vita. Paesi come Lussemburgo e Svizzera hanno prezzi elevati ma hanno stipendi molto più alti. Il problema è che in Alto Adige abbiamo prezzi svizzeri e stipendi poco superiori alla media italiana. Se in Italia un lavoratore guadagna 100 in Alto Adige guadagna 107. Ma qui il costo della vita è nettamente superiore. Poi ovviamente ad incidere sono anche i costi proibitivi del mercato immobiliare. Spesso le famiglie spendono più del 30 per cento del loro reddito per il mutuo o per l’affitto. Alcune arrivano anche a più della metà dello stipendio. Un ulteriore fattore è sicuramente quello del turismo, sotto vari aspetti, compresi gli effetti che ha sul mercato immobiliare, ma anche sui beni di consumo.
Nonostante tutto, il tenore della vita resta elevato. Perché?
Il motivo principale è dato dal fatto che abbiamo un tasso di occupazione molto alto, e che quindi nelle famiglie lavorano molto spesso entrambi i genitori. Grazie al basso tasso di disoccupazione ci sono famiglie di 4 persone che hanno anche 3 o 4 redditi. Ora con la crisi dovuta al Covid la situazione è un po’ peggiorata ma è pur sempre migliore rispetto ad altre realtà. Ma quello che spaventa noi osservatori non è tanto l’elevato livello dei prezzi e nemmeno il loro incremento, ma il fatto che le retribuzioni non si allineino di pari passo. In questa situazione sarebbe assolutamente indispensabile arrivare a una contrattazione di secondo livello in tutti i settori per riequilibrare il tutto. Sui contratti territoriali in Alto Adige sono stati fatti pochissimi passi concreti, almeno per quanto concerne l’elemento economico.
Neanche gli stipendi del settore pubblico sembrano viaggiare ad un ritmo sufficiente per stare dietro all’inflazione.
Come Afi-Ipl abbiamo fatto uno studio sulla dinamica salariale nel decennio 2010-2019 dal quale emerge che in quel periodo l’inflazione è cresciuta del 16% mentre gli aumenti salariali andavano a coprire, a seconda del livello di qualifica, tra il 2,9 e il 5,6%. Questo a riprova che i due scatti stipendiali di 80 euro mensili lordi non sono stati comunque sufficiente a compensare l’inflazione.
Per ogni zona dell’Alto Adige ci sono due o tre grandi costruttori e immobiliaristi che hanno una posizione dominante sui prezzi.
Argomento delicato: in Alto Adige ci sono parecchi nuclei familiari che possono contare su contributi pubblici di vario genere, da quelli per la casa al reddito minimo di inserimento, peraltro cumulabile con quello statale di cittadinanza, agli assegni familiari. Mettendo tutto assieme si arriva a dei “quasi stipendi”. Anche questo aspetto potrebbe incidere sulle dinamiche dei prezzi?
Per quanto riguarda il mercato immobiliare la mole di contributi sicuramente ha inciso e incide molto. Il fatto che se non ce la fai con i mezzi tuoi, la Provincia ti aiuta, ha portato semplicemente i proprietari a chiedere affitti più elevati. Per uscire da questa spirale la soluzione, invece, è creare più offerta. Noi vorremmo che ci fossero più case per coprire il fabbisogno primario. Ma attenzione: Non è che diciamo che si deve cementificare l’Alto Adige, va infatti posto un freno al mercato a scopo turistico e riservata una fetta più grande al mercato della prima casa, aumentando il numero di case popolari e la quota di abitazioni convenzionate. Per ogni zona dell’Alto Adige ci sono due o tre grandi costruttori e immobiliaristi che hanno una posizione dominante sui prezzi, a cui si aggiunge la speculazione. Basta guardare gli annunci immobiliari e si capisce subito chi sono. Con i contributi che dà, nel settore casa la Provincia non contrasta minimamente questa situazione. Per quanto riguarda il resto degli interventi non è facile fare una valutazione univoca. Da un lato dobbiamo sempre essere contenti di avere un bilancio le cospicuo che consente di avere un welfare provinciale che si affianca a quello statale. Abbiamo l’assegno di cura, il reddito minimo di inserimento, il contributo agli affitti e ai costi accessori e il cosiddetto assegno famigliare. DaIl’altro lato è lecito chiedersi se i soldi spesi in questo modo vadano a risolvere i problemi o se nel lungo termine vadano addirittura ad aggravarli. Meglio dare contributi a pioggia per la casa o intervenire con soldi pubblici per riqualificare case poi gestite dall’Ipes da assegnate al ceto medio? Ora che stiamo iniziando ad uscire dalla crisi Covid è giusto farsi queste domande.
Comunque sia l’impressione che l’unica categoria che non ha strumenti per difendersi dall’inflazione sia quella dei lavoratori dipendenti.
Purtroppo, con i tempi che corrono e con la debolezza politica dei sindacati al momento non si riesce ad assicurare una redistribuzione a vantaggio dei lavoratori dipendenti. E’ una questione di rapporti di forza, sappiamo chi comanda nell’Svp, c’è un’ala filo-datoriale molto forte ed una sociale molto debole, e quindi non arrivano ad emergere le politiche a vantaggio dei lavoratori dipendenti.
Se fosse Kompatscher, in sintesi, lei cosa farebbe?
Punterei a rafforzare la contrattazione decentrata, soprattutto per quanto riguarda l’elemento retributivo. Noi abbiamo proposto un patto per l’Alto Adige dove si concede la riduzione Irap solo alle ditte disposte a pagare retribuzioni “altoatesine”. Le imprese dovrebbero cioè firmare un accordo che preveda uno stipendio allineato in termini reali al costo della vita altoatesino, un sistema bonus malus che segnali: la Provincia concede la riduzione dell’Irap solo alle aziende virtuose, ossia quello che redistribuiscono parte del profitto ai lavoratori. La Provincia stessa potrebbe dare il buon esempio pagando dignitosamente i dipendenti pubblici. In primis è maggior datore di lavoro e poi è il maggior committente e quindi per tutti i bandi e gare di appalto andrebbe introdotto un criterio per cui può partecipare solo chi rispetta la contrattazione territoriale. Abbiamo fatto un convegno sugli appalti pubblici, affrontando il tema del dumping salariale. Non è giusto aggiudicare appalti a ditte che spremono i propri lavoratori. Il caso Tundo è solo un esempio.
Eine Input-Output-Analyse zum
Eine Input-Output-Analyse zum Landeshaushalt wäre mal wieder angesagt. Die letzte ist schätzungsweise vor 30 Jahren erstellt worden. Das sind veritable Jubiläumsanlässe...
Herr Perini trifft den Nagel
Herr Perini trifft den Nagel auf den Kopf.
Aber anstatt auf höhere Gehälter zu hoffen (bzw. sie zu erstreiten), wäre es vielleicht zielführender wenn der Durchschnittssüdtiroler preistreibende Dienstleister und Händler konsequent meidet und boykottiert.
Dem Südtiroler geht es (noch) zu gut, als dass ihm endlich bewusst wird, wieviel Kraft bei Kaufentscheidungen im eigenen Geldbörsel steckt.
In provincia di Bolzano si
In provincia di Bolzano si applicano nel settore privato, gli stessi contratti nazionali di lavoro del resto d'Italia. La paghe contrattuali vengono stabilite nella stessa uguale misura per tutti, da Siracusa a Bolzano, due province con differenze del costo della vita del 100%. In Alto Adige sono necessari contratti provinciali, integrativi e/o sostitutivi di quelli nazionali, con paghe più adeguate al livello locale dei prezzi.