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Vittime di mafia?

Nel volume Io posso Pif e Marco Lillo raccontano la travagliata vicende delle sorelle Pilliu, risarcite per una vicenda mafiosa ma non riconosciute come vittime di mafia
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Foto: Il Sole 24 ore

Scrivere di un fatto di mafia per cambiare il finale. Questo sembra essere l’obiettivo di Pif, nome d’arte di Pierfrancesco Diliberto, conduttore televisivo diventato celebre per la trasmissione Il Testimone, e del giornalista Marco Lillo, che nel libro Io posso, due donne sole contro la mafia raccontano la vicenda delle sorelle Pilliu. Siamo a Palermo e il costruttore Pietro Lo Sicco decide di edificare un palazzo di 9 piani davanti al Parco della Favorita, appropriandosi in modo poco trasparente del terreno e costringendo abitanti e cittadini ad assistere all’abuso edilizio. Maria Rosa e Savinia Pilliu possiedono due piccole case proprio sul terreno in cui dovrebbe sorgere il palazzo, un appezzamento di cui Pietro Lo Sicco afferma di essere proprietario, con tanto di concessione edilizia approvata dal comune.

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Maria Rosa e Savinia Pilliu protestano e si recano in tribunale per denunciare i fatti: è l’inizio di una storia durata trent’anni, durante i quali le sorelle presentano 44 denunce e subiscono intimidazioni, minacce, proposte malavitose di accordi in un susseguirsi di ricorsi e sentenze. (Foto: La Feltrinelli)

 

Maria Rosa e Savinia Pilliu protestano e si recano in tribunale per denunciare i fatti: è l’inizio di una storia durata trent’anni, durante i quali le sorelle presentano 44 denunce e subiscono intimidazioni, minacce, proposte malavitose di accordi in un susseguirsi di ricorsi e sentenze. La loro storia si intreccia con i nomi della mafia palermitana, che coinvolge banchieri, ricchi avvocati e personaggi in vista della città: una vicenda che permette a Pif di sottolineare quanto nei salotti di Palermo fosse facile incontrare i mafiosi e la loro corte e di ricostruire il clima di generale naturalezza nel quale si mescolavano affari e vita cittadina. Quando le sorelle Pilliu iniziano a denunciare, infatti, la mafia rappresenta ancora un'organizzazione tollerata nel territorio, con la quale si convive, si tratta di un periodo che precede le stragi di Capaci e di Via d’Amelio, nelle quali perderanno la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che contribuiranno a cambiare radicalmente la percezione della mafia in tutta Italia. Anche le sorelle Pilliu riescono ad incontrare Paolo Borsellino, che raccoglierà la loro testimonianza in più di un'occasione, nell’ennesimo tassello di cui si compone il complesso quadro di affari, politica e mafia. Ancora una volta Pif racconta Palermo negli anni della sua adolescenza, un motivo ricorrente in moltissimi dei suoi lavori, nei quali ben si intravede non solo la volontà di essere un testimone dei vari avvenimenti, ma anche la sofferenza di aver vissuto in una città che accettava con una certa tranquillità la presenza della mafia. 

 Un inno alla legalità che si ritrova nella frase di Pif e Marco Lillo “Lo stato siamo anche noi”: un invito ai cittadini a non essere meri spettatori passivi e a riappropriarsi delle vicende della cosa pubblica


Nei decenni successivi, il costruttore Lo Sicco viene condannato, ma la sentenza non basta alle sorelle Pilliu che continuano la loro battaglia nelle aule giudiziarie, resistendo non solo alle pressioni mafiose ma anche ai lunghissimi tempi processuali. Quando finalmente viene riconosciuto loro il giusto risarcimento per i molti torti subiti la società di costruzioni incriminata è stata posta sotto sequestro e non possiede più beni da liquidare per pagare il risarcimento. Le sorelle si rivolgono allora allo Stato per ottenere il riconoscimento di status di vittime di mafie e accedere ai fondi dedicati, ma per una contorta interpretazione della norma Maria Rosa e Savinia non sono vittime di mafia e alle sorelle non resta che la sentenza senza il risarcimento. Alla storia si aggiunge poi l’Agenzia delle entrate, che richiede il pagamento del 3% sulla somma risarcita, anche se mai riscossa. La surreale vicenda si chiude, quindi, dopo 30 anni con quella diventa, di fatto, una non vittoria, ma ad intervenire sono proprio Marco Lillo e Pif, che decidono di devolvere l’intero incasso dei diritti d’autore alle sorelle Pilliu, per permettere loro di pagare il dovuto all’Agenzia delle entrate. Il libro, pubblicato due anni fa, ha riscontrato un certo successo di pubblico, ma il progetto degli scrittori continua per cercare di ristrutturare le casette, che le sorelle Pilliu sono state costrette ad abbandonare, e donarle ad un’associazione antimafia. Un inno alla legalità che si ritrova nella frase di Pif e Marco Lillo “Lo stato siamo anche noi”: un invito ai cittadini a non essere meri spettatori passivi e a riappropriarsi delle vicende della cosa pubblica.