Io Capitano
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Scansiamo subito di mezzo i (presunti) dubbi: sì, questo è l’ennesimo, grande film di Matteo Garrone. Per alcuni è consigliata la visione in stile “cura Ludovico”.
Cos’è
Io Capitano, vincitore del Leone d’Argento per la miglior regia all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, racconta la storia di Seydou e Moussa (gli esordienti Seydou Sarr, che al Lido ha conquistato il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente, e Moustapha Fall, interpretazioni entrambe potentissime), due cugini senegalesi sedicenni che lasciano Dakar verso la promessa dell’Europa. Hanno lavorato segretamente per mesi nei cantieri edili con l’intento di mettere da parte i soldi per il viaggio che si rivelerà inevitabilmente tortuoso, attraverso il deserto, le torture delle prigioni libiche e la traversata in mare su un’arrugginita imbarcazione per raggiungere le coste italiane.
Il film, girato in wolof (la lingua madre del 40 per cento dei senegalesi) e in francese, è diviso in una serie di capitoli geografici che sono tappe del percorso dei due sedicenni, aspiranti star della musica che sognano di sfondare in un’Europa lontana dalla realtà e un giorno “firmare un autografo a un bianco”. Quando si trovano di fronte alla dura realtà del viaggio l’entusiasmo si trasforma irrimediabilmente in shock, bruciando l’innocenza infantile dei due ragazzi.
Io Capitano è ispirato a fatti realmente accaduti: la storia di un ragazzo di 15 anni che, pur non avendo alcuna esperienza nautica, è stato incaricato da un trafficante di essere umani di assumere il ruolo di capitano e di guidare un’imbarcazione con 250 persone a bordo attraverso il Mediterraneo.
Com’è
Il tocco “garroniano” è palpabile anche in una storia cruda come quella raccontata nel film - classico nella costruzione e nello stile - tra realismo magico, scenografie teatrali, piattaforme petrolifere che appaiono come mostri marini, paesaggi abbaglianti fotografati magistralmente da Paolo Carnera. Gli elementi fantastici contribuiscono a sottolineare la qualità fiabesca del film come viaggio epico, ma la macchina da presa non perde mai di vista gli esseri umani.
Matteo Garrone ribalta l’immaginario più canonico, quello della paura del diverso, per parlarci della storia di un emigrante partendo dal più classico dei racconti: l’Odissea. Il regista romano, rifuggendo scientemente da ogni artificio di retorica (o meglio piegandola al suo volere), fissa il suo film sulla prospettiva di Seydou, e con la forza narrativa ed espressiva che lo contraddistingue mette in scena un’avventura costellata da momenti di orrore puro ma anche di grazia e gentilezza che forniscono barlumi di speranza per l’umanità.
C’è un romanticismo di fondo nel film che contrasta la realtà più brutale ed è difficile non lasciarsi coinvolgere dalla grande portata emotiva del racconto che nel mondo reale verrebbe conteggiato come una statistica, una delle tante nella cosiddetta crisi internazionale dei migranti. Io Capitano è un film dalla grammatica profondamente empatica, un atto politico quasi involontario, una storia di sofferenza e perseveranza.
Andatevi a prendere questo pugno sotto la cintura, ché ce lo meritiamo.