Umwelt | PFAS

Inquinanti eterni

L’inquinamento da PFAS comporta notevoli problematiche per l’ambiente e la salute umana: un fenomeno che riguarda anche Bolzano
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Foto: (c) unsplash

Gli inquinanti eterni. Così vengono definite le sostanze per- e polifluoroalchiliche, meglio conosciute con la sigla PFAS. Utilizzate per produrre prodotti antiaderenti, impermeabili e antimacchia hanno visto nel tempo aumentare esponenzialmente il loro uso, tanto da ricomprendere, secondo una stima dell’OCSE, circa 4700 composti; mentre, secondo l’organizzazione dell’ONU SAICM, Strategic Approach to International Chemicals Management, che da anni si occupa dei PFAS e che recentemente ha pubblicato uno studio in collaborazione con il Natural Resources Defense Council statunitense, resta necessario ricordare quanto ancora non si disponga di informazioni complete su circa 5000 altri polimeri appartenenti alla stessa famiglia. Apprezzati per la loro versatilità, che li rende adatti a quasi tutti i tipi di produzione, dalle padelle ai tessuti, i PFAS sono molto resistenti e hanno la tendenza a non degradarsi facilmente, riuscendo a permanere nell’ambiente per decine di migliaia di anni senza decomporsi e rendendo, quindi, le eventuali bonifiche di suolo e acque particolarmente complicate e decisamente costose. Inoltre la loro idro- e oleo-repellenza li rende molto mobili, capaci di migrare nell’ambiente con grande facilità e in grado di accumularsi nei tessuti degli esseri viventi, che li assorbono con maggiore velocità rispetto a quanto riescano ad espellerli. 

 I PFAS sono molto resistenti e hanno la tendenza a non degradarsi facilmente, riuscendo a permanere nell’ambiente per decine di migliaia di anni senza decomporsi

Solamente da poco tempo, però, le conseguenze sulla salute umana e ambientale dei PFAS sono diventate oggetto di studio ed ad oggi sono ancora pochi i polimeri testati da ricerche, che, in tempi relativamente recenti, hanno già consentito di classificare come pericolosi due composti: il PFOS (perfluoroottano solfonato) e il PFOA (acido perfluoroottanoico). Entrambi, assieme agli altri PFAS, interagiscono con il sistema endocrino, provocando alterazioni che sono responsabili di cancro, infertilità e malattie della tiroide. 

Tale pericolosità è stata certificata da una lunga inchiesta firmata da Gianluca Liva e da altre 17 redazioni europee, confluita nel lavoro The Forever Pollution Project, mediante il quale i giornalisti hanno individuato più di 17000 siti inquinati in tutta Europa, accanto a circa 21000 presunte aree contaminate dall’attività industriale. Il progetto avviato dalle redazioni di Le Monde, NDR,WDR, Süddeutsche Zeitung, Radar Magazine e Le Scienze, The Investigative Desk e NRC si è presto esteso ad altre testate e ha permesso di costruire una mappa europea delle contaminazioni da PFAS che riguarda anche Bolzano, con due punti di prelievo raggruppati che hanno permesso di individuare una concentrazione massima di PFAS di 80,9 ng/L. Sebbene si tratti di una quantità inferiore rispetto ad altri territori italiani, giornalisti e ricercatori, quali Stefano Polesello e Sara Valsecchi, dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) del CNR, ribadiscono che tale inquinamento non si ferma alla sola Europa, ma interessa l’intero globo e le informazioni, per quanto utili, sono ancora incomplete, data la sottostima del fenomeno e il complicato confronto con altre indagini statistiche. 

 Riguarda anche Bolzano, con due punti di prelievo raggruppati che hanno permesso di individuare una concentrazione massima di PFAS di 80,9 ng/L

La mappa, che incrocia dati provenienti da varie fonti, pubbliche e private, le quali hanno raccolto campioni da acque, suolo ed organismi viventi, rappresenta solamente un punto di partenza per ulteriori, approfondite indagini, ma soprattutto per una presa di coscienza europea, già in parte concretizzatasi nella proposta di restrizioni per i PFAS avanzata ad inizio febbraio dall’ECHA, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche. Tale proposta ha permesso di accendere i riflettori sul problema, ma deve fare i conti con l’attività di lobbying di molte imprese, che tentano di ammorbidirne limiti e divieti, mentre sembra diventare sempre più chiaro che la pericolosità dei PFAS dovrebbe spingere verso un cambiamento non solo nella produzione, ma anche nello stile di vita dei consumatori, abituatisi rapidamente all’enorme quantità di prodotti contenenti tali composti. L’ECHA, intanto, continua a lavorare e il 23 marzo ha aperto una sessione di consultazioni che si chiuderà il 25 settembre 2023, per avviare poi una valutazione delle opinioni fino all’adozione di un parere conclusivo da inviare alla Commissione europea, alla quale spetterà la complessa opera di mediazione tra i diversi interessi, nell’ennesima sfida ambientale e sanitaria.