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La Transiberiana di Daniele Varè

Daniele Varè fu un ambasciatore italiano che nacque a Roma nel 1880 e ivi morì nel 1956. Diplomatico e scrittore, ministro d'Italia in Lussemburgo nel 1926-27, poi in Cina tra il 1927 e il 1931, firmò il trattato di amicizia e di commercio tra l'Italia e la repubblica cinese nel 1928 che sostituì quello del 1860; fu ministro in Danimarca nel 1931 e nel 1932. Scrisse numerosi libri: Storia d'Inghilterra (1923), Pietroburgo 1915 (1939), Il diplomatico sorridente (1941), Il creatore dei celesti pantaloni (1944), Il romanzo di un cane (1951). Assunse soprattutto una notevole notorietà nel mondo alglosassone dove i suoi libri ebbero un'accoglienza benevola per la levità del tratto e l'amabile ironia. In questa sede vogliamo riportare una parte dedicata alla Transiberiana, un tema affrontato recentemente anche da un autore trentino di successo, Mauro Buffa, che ha dedicato due testi pubblicati da Ediciclo sulla Transiberiana e sulla Transmongolica, mentre si appresta a concludere un importante volume dedicato a un viaggio tra New York e San Francisco effettuato in Greyhound.
Le pagine di Varè che sono tratte dal "Il diplomatico sorridente" possono essere confrontate con quelle odierne della nostra contemporaneità, in un gioco che riteniamo utile non solo al viaggiatore curioso ma anche a coloro che sono interessati ai diversi stili di scrittura in epoche distanti tra loro.
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Foto: (c) Salto.bz

La Transiberiana

Da noi, una ferrovia rappresenta un mezzo di trasporto. E basta. Quando si vive in Cina, la ferrovia Transiberiana rappresenta una speranza e un incubo, perchè non si sa mai di sicuro se non sarà interrotta proprio quando vorremmo viaggiare. E bisogna fissare i posti molto tempo prima. A Ciano successe di partire per andare in Europa e di trovare che, oltre Harbin, non era possibile proseguire. Dovette tornare indietro e ripartire via America. Perciò io guardo ora con soddisfazione gli orari delle Ferrovie dello Stato italiano, pensando che di queste mi posso fidare: non mi tradiranno al momento critico. Se l'orario indica l'ora della partenza di un treno, vuol dire che a quell'ora il treno partirà, e arriverà anche a destinazione.

Per tutte le strade si va a Roma, e per il diplomatico italiano è vero anche l'opposto, e per tutte le strade si va all'estero. L'inizio di un viaggio ci dà un senso d'importanza, quando il fattorino alla spedizione incolla una targhetta sui bauli, con il nome di una città straniera, e si diventa anche un po' stranieri (in tempi di pace s'intende!), pensando che domani a quell'ora il nostro treno si troverà fra le dune di Boulogne, o scenderà la valle del Rodano, o si fermerà alla stazione di Innsbruck, ove si offrono dei salsicciotti caldi in carta oleata.

A Roma io monto in treno con un senso di riposo, pensando che per tante ore nessuno mi potrà telefonare e che non avrò altro da fare che contemplare i noti paesaggi della Maremma o dell'Appennino. Meglio ancora quando parto di sera e viaggio nel dormiveglia, conscio anche nel sonno che il treno fugge attraverso l'oscurità. Talvolta, quando la vibrazione cessa, mi sveglio e alzo un angolo della tendina per strofinare il vetro appannato, e guardo le tettoie e gl'interbinari di una stazione misteriosa e vuota sotto i fari che s'inseguono. Poi di nuovo la corsa ritmica, con ogni tanto il fragore d'una galleria, o quello d'un altro treno che s'incrocia. E di nuovo il sonno scende, mentre nel silenzio della campagna il treno fila, come il perfetto amore.

Compii il viaggio via Siberia per l'ultima volta nel 1931, quando le cose andavano così così...C'era sì un vagone ristorante, ma non era prudente fidarsene. Portai con me una una grossa cesta che, a Harbin, il console Maffei aveva riempito di ogni ben di Dio. C'erano nel treno due francesi, reduci da Tokio, ove c'era stata una conferenza per il miglioramento delle comunicazioni con l'Estremo Oriente. Uno era un direttore della Compagnia dei Vagoni-letto e si chiamava Vidoff. Come esperti in materiale rotabile i due francesi erano nervosissimi e dicevano che il nostro vagone correva rischio d'incendiarsi, perchè non stava in bilico sui carrelli delle ruote. A ogni stazione, li vedevo chini a guardare sotto la vettura, borbottando: - Ces cochons! Bruciar vivi dei pacifici borghesi, per loro è una festa! - Non esageravano. All'arrivo a Mosca la vettura s'incendiò davvero, ma non ci furono vittime. Del resto, ben due volte vedemmo, negli Urali, un treno completo, rovesciato ai piedi del cavalcavia. Era avvenuto un deragliamento e nessuno aveva pensato a togliere i rottami.

Dopo Irkutzk salì nel mio compartimento un ingegnere tedesco, che però se ne stava tutto il giorno nel vagone ristorante, con un mazzo di carte, a fare un solitario. I suoi effetti erano sparsi nel mio compartimento, ciò che diede luogo a un episodio che divertì molto Monsieur Vidoff. Io ero riuscito a comperare due uova in una stazione, senonchè ne lasciai cadere uno, che andò a rompersi - a farlo apposta! - nella scarpa dell'ingegnere tedesco. Cercai di rimediare, scuotendo la scarpa fuori del finestrino, ma l'albume aveva reso il cuoio viscido e questa volta fu la scarpa che mi scivolò di mano e scomparve.

Per fortuna il treno rallentava per fermarsi in una stazione. Potei scendere e, correndo lungo il binario, ricuperare la scarpa del mio compagno. Nessuno s'era accorto dell'accaduto. Soltanto a Monsieur Vidoff, che mi vide entrare in stazione un po' sfiatato per la corsa fatta, spiegai la tragedia dell'uovo.

Quella sera riuscii a avere qualcosa da mangiare nel vagone-ristorante. Ottenni nientemeno che un uovo da bere, servito in un piatto senza pane, senza sale e senza posate. Il provodnik, o cameriere, si era assentato, e perciò andai a cercarmi un cucchiaino nell'armadio a vetri in fondo al vagone. Monsieur Vidoff mi vide passare, notò l'uovo ch'era rimasto sul piatto, e mi vide tornare senza che avessi trovato quello che cercavo. Con un sorrisetto canzonatorio domandò: - Cercavate una scarpa, senza dubbio, signor ministro?

Una così ridicola penuria fa tanto più impressione in un paese che è più grande degli Stati Uniti e al quale non manca alcuna delle materie prime indispensabili per assicurare l'autarchia d'una grande nazione. La ferrovia corre lungo la striscia agricola e pastorale della Siberia,e traversa i grandi fiumi, ove si fa la pesca dello storione. A parte l'abbondanza alimentare, c'è il rame che si lavora da epoche preistoriche. Di carbone sono disponibili 450 miliardi di tonnellate (e un altro miliardo nella Jakutia). L'oro è abbondante nel bacino della Lena, sia in sabbie aurifere che in quarziti. Se ne calcola la disponibilità a sei milioni di tonnellate. Ci sono depositi di grafite, di amianto, di mercurio, di bismuto e di nichelio. Al nord vi sono foreste di larici, di betulle bianche e di pini. E al sud gli abeti.

Mancano le strade e gli abitanti. Vi sono soltanto piste e carrarecce che diventano un pantano quando la neve si scioglie. E la popolazione è la metà di quella dell'Italia.

Un giorno (in occasione del viaggio compiuto nel 1927) il treno ebbe - come ha spesso - un guasto in mezzo alle steppe (senza alcuna abitazione in vista, nè altro altro segno di vita umana). Le mie figlie, ancora ragazzine, scesero a passeggiare, e portarono il grammofono fuori all'aperto. E allora, nell'immensa solitudine, apparvero alla spicciolata una ventina di cavalieri: Buriati della Transbaicalia. Uomini tozzi, con una forte salienza dei zigomi, fronte stretta e occhio mongolo. Hanno anche - forse come protezione contro i venti gelati - un accumulo di grasso nella faccia sopra il molare, che fa prominenza. Quei discendenti dell'Orda d'Oro fecero subito amicizia, sebbene a parole non fosse possibile spiegarsi. Margherita e Diana fecero loro visitare il treno e diedero loro, come ricordo, le punte usate del grammofono.

Nel 1929 Claudio Cortini, segretario di Legazione, partì via Siberia per raggiungere la sua destinazione a Pechino. Ma a Manciulì trovò la frontiera chiusa (come, dall'altra parte, la trovò Ciano), perchè erano scoppiate ostilità tra Cinesi e Russi. Tornò indietro fino a Chita, dove ebbe la fortuna di trovare un connazionale, che lo ospitò in casa sua. Questo Italiano fabbricava casse da morto, e una cassa, già pronta per il cliente, serviva come tavola da pranzo. Ci si mangiavano gli spaghetti. Più tardi Cortini riprese il viaggio per Vladivostòk, ove di nuovo trovò chi lo aiutasse. Questa volta non era un connazionale, ma una ragazza russa che aveva avuto come amante un marinaio italiano e ne conservava un buon ricordo. Essa lo fece imbarcare sopra un piroscafo carico di piselli, con un comandante svedese, al quale il nostro gioviale diplomatico insegnò a ballare la tarantella. Da Tang-ku, nel Golfo di Pecilì, proseguì in treno per Pechino. E giunto là, dopo una sì lunga odissea, credette che le peripezie del viaggio fossero finite. Ma io stavo sul punto di partire con Margherita per Shan-hai-kwàn, ove avevo una villa sul mare. Invitai Cortini a accompagnarci, e partimmo quella sera stessa con l'espresso di Mkden, ciascuno in un compartimento a sé. Cortini ch'era stanco andò a letto presto. Ma fu subito svegliato da Margherita, armata da un polverizzatore metallico. Essa si accingeva a spruzzare i nostri letti con il flit. La precauzione era più che necessaria, poichè quei vagoni erano stati recentemente adoperati da Cian-hsue-liang (figlio di Cian-tso-lin) per il trasporto delle sue truppe.

Cortini osservò: - Tutto potevo aspettarmi al mio arrivo in sede, ma non che la figlia del ministro mi disinfettasse il letto, come precauzione contro le cimici!

Ultimo ricordo della Transiberiana.

Un treno fermo, abbandonato sopra un binario morto, in un a piccola stazione, lontano dall'abitato (come lo sono quasi tutte le stazioni in Siberia). Quel treno è là da molti mesi. Sono quattro vagoni in pessimo stato, senza locomotiva. E son pieni di scheletri umani, alcuni dei quali guardan fuori con le occhiaie vuote, e sembra che sorridano.

Durante l'inverno, con tempo di bufera, un treno s'era fermato in mezzo alla steppa per mancanza di combustibile. I soccorsi non vennero a tempo. La neve era già alta quasi quanto i vagoni, e continuava a cadere implacabile, turbinando nelle raffiche di vento. I viaggiatori morirono assiderati. Una morte che colpisce spesso i cantonieri, anche più a sud della Siberia, in certe notti di gennaio quando la temperatura scende a livelli incredibili, e soffia il vento del Nord. I vagoni del treno sperduto furono spinti, più tardi, su quel binario, e nessuno ci pensò più.

A rendere la visione ancora più inverosimile, lo sfondo era una prateria, sul limitare di un bosco di betulle. E l'erba biancheggiava di mughetti in fiore. Il profumo era inebbriante. Di una scena simile, Albrecht Durer avrebbe fatto un'incisione in rame: gli scheletri che scendon dal vagone per ballare una danza macabra in mezzo ai fiori.

Da allora io non posso sentire il profumo dei mughetti, senza che mi tornino alla mente il treno fermo e i teschi che guardano dal finestrino.

Daniele Varè, IL DIPLOMATICO SORRIDENTE, Mondadori, Milano 1941, pp 395-399.