“Non hanno avuto il coraggio di sparare”
Il bilancio parla di oltre 290 persone, di cui 190 civili, decedute durante il tentato colpo di stato in Turchia di venerdì scorso, 15 luglio. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, dato per spacciato e poi “risorto”, chiede ora con insistenza a Washington l’estradizione di Fethullah Gülen (in esilio autoimposto in Pennsylvania), l’imam accusato di essere il regista del putsch militare, mentre il segretario di Stato John Kerry invita Ankara a fornire le prove del suo coinvolgimento. Emanuele Fiorilli, corrispondente della Rai dal 2006 - prima a Madrid e poi, dal 2011, a Istanbul - e marito dell’ex giornalista della Rai Oktavia Brugger, racconta il clima di queste ore.
salto.bz: Fiorilli, dove si trovava al momento del colpo di stato in Turchia?
Emanuele Fiorilli: Ero appena tornato in Italia per le ferie, mi ha telefonato un collaboratore intorno alle 21.30 di venerdì dicendomi che i ponti erano tutti bloccati e presidiati dai militari, e che si trattava probabilmente di un colpo di stato. A quel punto ho cominciato a fare dirette su Rainews24, sul Tg2 e alla radio. Ho finito alle 2.30 ora italiana e poi alle 7.10 avevo il volo per Istanbul, ma c’è stato un ritardo perché lo spazio aereo turco era chiuso e sono riuscito ad arrivare a destinazione solo dopo le 17 ora italiana.
Com’è la situazione al momento?
Sembra che fra gli arrestati ci sia anche l’aiutante militare di Erdogan, il colonnello Ali Yazici. I 6mila arresti, che hanno riguardato in particolare militari e magistrati, probabilmente saranno raddoppiati.
Cos’è successo realmente in Turchia? C’è chi afferma che il golpe possa essere fasullo e che sia stato favorito dallo stesso Erdogan per avere una scusa per aumentare il suo potere. Fatto sta che il “sultano” sembra essere paradossalmente diventato d’un tratto il paladino della democrazia minacciata dai soldati.
Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di un autogolpe, ma l’arresto di Yazici sembrerebbe dimostrare il contrario. Erdogan ha tolto il potere ai militari, va ricordato che con la costituzione del 1925 il Padre della Patria, Mustafa Kemal Atatürk, aveva affidato ai militari il compito di garantire la laicità dello Stato, laicità che negli ultimi quattro anni, con il partito islamico AKP, ha lasciato un po’ a desiderare sotto certi aspetti. Una volta, ad esempio, le ragazze musulmane entravano all’università con la parrucca proprio perché in nome della laicità dello Stato non era concesso loro di mettere piede nell’Ateneo con il capo coperto dal velo. Non vanno dimenticate nemmeno le inchieste del 2011 e 2012 che hanno portato in carcere le più alte gerarchie militari compreso il capo di stato maggiore della difesa, e questo certamente ha inciso nei rapporti fra il presidente della Repubblica, allora capo del governo, e i militari. Gli stessi militari che stanno combattendo da un anno nel Kurdistan turco e che continuano ad essere ammazzati. Nel 2015, nel periodo elettorale, durante i funerali di alcuni militari un colonnello, davanti alla bara del fratello, un capitano della gendarmeria, disse: “Sappiamo perché è in atto questa guerra, perché ci sono le elezioni e Erdogan sta cercando di accaparrarsi voti”. In un'altra occasione Erdogan ha chiamato a casa della sorella di un militare ucciso per farle le condoglianze e questa non ha voluto rispondere.
Era quindi prevedibile un’azione del genere da parte dei militari?
Non si sono avvertiti grandi sentori, no, certo è che si registrava un certo malumore fra le forze armate.
Anche il mondo della magistratura è stato duramente colpito.
Esatto, Erdogan ha fatto molte epurazioni in questi anni. Ha spostato molti poliziotti da Istanbul, ha spedito il capo dell’antidroga di Istanbul a fare il commissario in un remoto paesino della Turchia, ad esempio. Il Presidente toglie quelli che lui reputa nemici dai posti di potere e li accusa di essere tutti legati a Fethullah Gülen, che una volta era alleato dello stesso Erdogan e con il quale ha fondato all’epoca il partito islamico AKP. Poi c'è stata la rottura e Gülen si è rifugiato negli Stati Uniti ma Erdogan continua a “dargli la caccia” sul territorio turco facendo chiudere giornali che secondo lui fanno riferimento all’ex alleato e attuando altre operazioni simili.
Istanbul - Il presidente Recep Tayyip Erdogan si rivolge ai suoi sostenitori. Foto (c): blogs.ft.com
Erdogan è più forte, ora? È vero che spera di avere i voti per cambiare la Costituzione, e di trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale?
Non dobbiamo scordare che l’altra sera, durante il colpo di stato, tutti i partiti dell’opposizione hanno detto no ai militari, dai kemalisti laici del CHP, ai nazionalisti dell’NHP, ma anche i curdi dell’HDP, c’è stata una grande unità di tutti i partiti turchi contro questa operazione militare. Erdogan esce certamente rafforzato e stranamente vince questa situazione in un modo che vale la pena sottolineare.
Ovvero?
Utilizzando quei mezzi di comunicazione che tenta in tutti i modi di oscurare in Turchia, specie nei momenti di crisi. Parliamo di Skype, Twitter, Facebook. Questa volta, tramite FaceTime si collega all’emittente privata CNN Turk (che poi sarà occupata dai ribelli appena dopo il collegamento, ndr) invitando la gente a scendere in piazza, i cittadini invadono le strade e i militari non hanno il coraggio di sparare.
Che è il motivo per cui è fallito il colpo di stato?
Qualcuno dice che questi militari, molti dei quali di leva, mandati sui ponti di Istanbul, a circondare il parlamento ad Ankara o nella sede della TRT, la televisione pubblica turca, erano stati informati che si trattava di un’esercitazione contro il terrorismo, basta ricordare l’attentato all’aeroporto Atatürk di Istanbul lo scorso 28 giugno. Quando i militari hanno visto la gente infuriata scagliarsi contro di loro sono rimasti sorpresi.
Questo significa che la popolazione è dalla parte di Erdogan?
Erdogan è una figura divisiva ma è anche un leader molto carismatico e popolare, del resto attualmente può contare sul 47% dei consensi. È stato un grande sindaco di Istanbul, ha sviluppato i mezzi di trasporto, potenziato le industrie, a livello internazionale invece è più debole, manca di visione, litiga con tutti, con i siriani, i russi, con gli israeliani. Da quando è arrivato Binali Yildirim, che ricopre la carica di primo ministro, la situazione è cambiata, è stato studiato l'accordo di pace con Israele, si è ripreso il dialogo con Putin dopo l'abbattimento del bombardiere russo Sukhoi Su-24. Yildirim ha detto che bisogna ricucire i rapporti con la Siria sottolineando però che questo potrà avvenire solo quando Assad non ci sarà più.
Emanuele Fiorilli, corrispondente della Rai in Turchia
Jeremy Bowen, caporedattore per il Medio Oriente della BBC ha detto che “il colpo di stato è avvenuto perché il paese è profondamente diviso sul progetto del presidente Erdogan di cambiare il paese, e a causa dell’influenza della guerra civile siriana”, è così?
Il paese è diviso su molte cose, sulle riforme costituzionali, per esempio. Bisogna poi tener conto di un altro problema, quello del sud-est, del Kurdistan, che è una zona di guerra. C’è il coprifuoco in molte città, ci sono bombardamenti. Basti pensare a Cizre, città al confine con l’Iraq che una volta contava 120mila abitanti e dove ora ne sono rimasti 20mila perché gli altri sono scappati. Vedremo come si comporterà Erdogan.
Qualche idea?
Intanto sta arrestando più gente possibile. Faccio un’ipotesi azzardata: Yildirim potrebbe, prima o poi, acquistare molto potere, l’attuale primo ministro viene dal mondo della finanza ed è abituato a trattare, a raggiungere compromessi, a fare business. Fa riflettere questa sua affermazione sulla pena di morte nei confronti dei golpisti, ha detto che è il popolo a decidere e che se la richiesta è quella di introdurre la pena capitale il parlamento dovrà tenere conto. È una figura controversa, un tempo era molto amico di Assad, veniva accusato da Putin di comprare petrolio dal califfato. Nel 2012, durante le primavere arabe, ha visitato città come Il Cairo, Tunisi, Tripoli, con l’intento di guidare il mondo arabo, ma va sottolineato che l’unica cosa che lo accomuna agli arabi è il fatto di essere musulmano e questo non basta per proclamarsi leader di quel mondo.