La Nona
Il concerto più breve è anche il più lungo: dopo i programmi fiume dei primi quattro appuntamenti con le orchestre giovanili al Bolzano Festival Bozen, la Gustav Mahler Jugend Orchester chiude la sua residenza con l’equazione perfetta degli 80 minuti filati della Nona Sinfonia del proprio compositore di elezione, Gustav Mahler. Ottanta minuti di esecuzione e più di dieci di applausi, perché la risposta del pubblico del Teatro Comunale è stata delle più calorose ed entusiaste, a premiare i magnifici musicisti dell’orchestra diretti dall’instancabile Jakub Hrůša.
La Nona è un universo, un viaggio che parte dalla casetta di legno al limitare del bosco di Dobbiaco in cui Mahler scrisse quest’immensa partitura nell’estate del 1910, un anno prima di morire. E infatti la sinfonia inizia con mormorii soffusi come passi su sentieri di foglie, palpiti di tenerezza di fronte a un cielo sereno, brezze tenui tra le fronde degli alberi. Alban Berg, tra i primi a dirigere la Nona, così descriveva il primo movimento: “È la cosa più Splendida che Mahler abbia scritto. È l'espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte.” E il senso di morte e di tragedia è naturalmente lì a far presto capolino – ondate di un’energia drammatica scuotono la calma iniziale e un universo di contraddizioni si scatena nel piccolo perimetro della casetta sul limitare del bosco.
Musicalmente parlando, non è una semplice questione di contrasti, ma di coesistenza: la partitura mahleriana non è difficile perché succedono tante cose, ma perché succedono quasi contemporaneamente. Luce e oscurità, dolcezza e dolore, vita e morte, facce di quella stessa medaglia che è la nostra esistenza. Il viaggio dell’orchestra – e di chi la sta ascoltando – è questo entrare ed uscire da un caleidoscopio di emozioni apparentemente contrastanti: la scrittura musicale è un grande mosaico in cui i singoli elementi si combinano mirabilmente grazie alle ottime esecuzioni dei musicisti della Mahler, ma perché ciò accada ci vuole la mano (e la testa e il cuore) dell’intenso Jakub Hrůša che guida la massa di orchestrali (sono ben 111) nel lungo viaggio.
Concedendosi solo due lunghi momenti di silenzio raccolto e concentrato dopo il primo movimento e prima dell’ultimo (e trattenendo, con le mani tese in alto, la tensione rarefatta al termine dell’esecuzione), Hrůša non si risparmia, lavorando tanto sulla fisicità di una direzione plastica che nel secondo movimento diventa quasi una danza: prendendo alla lettera l’indicazione dell’autore (“Un po' goffo e molto rude”) carica i toni del grottesco, e ne esce un quadro teatrale in cui i caratteri sono la musica stessa di Mahler, i tanti idiomi di una Mitteleuropa non ancora martoriata dalle guerre che verranno.
La conclusione della Sinfonia arriva al termine del lungo e dilatato Adagio, in un pianissimo davvero sussurrato. Gli applausi scroscianti premiano orchestra, direttore e le prime parti delle diverse sezioni, a partire dalla spalla Kurt Mitterfellner con cui Hrůša si complimenta calorosamente, in un ideale abbraccio con l’intera orchestra.