Un sacerdote
Martedì 22 novembre la comunità della Parrocchia della Visitazione di Bolzano si raccoglierà (*) nel ricordo di un sacerdote scomparso vent’anni or sono ma il cui ricordo permane forte e immutato in molti di coloro che l’hanno conosciuto: Don Giuseppe Rauzi.
Della Visitazione don Giuseppe fu rettore e poi parroco sin dalla nascita di quella chiesa, persa tra i condomini sempre più alti che andavano formando un quartiere di nuova edificazione, carico delle speranze dei problemi di tutti coloro che vi si trasferivano, in quegli anni difficili, per dare concretezza, finalmente, al sogno di avere una casa. La figura di Don Rauzi, tuttavia, va ben al di là del suo ruolo, pur fondamentale, come punto di riferimento per i credenti come per i non credenti di quello spicchio di città in rapida crescita. Quella stessa figura di uomo gentile, dalla voce profonda e dal sorriso benevolo, è rimasta nella memoria di chi, sempre in quegli anni, ho avuto come insegnante di religione al Liceo Carducci. Erano gli anni in cui, anche a Bolzano, la scuola veniva attraversata da un vento di contestazione, di messa in discussione di antichi valori. Si sarebbe potuto pensare che la religione dei padri fosse uno dei principali capitoli di quell’atto di accusa collettivo, ma nelle classi del Carducci di quegli anni, grazie a questo sacerdote, avveniva esattamente il contrario. La religione diventava strumento di riflessione sui mali e le storture del mondo.
Don Giuseppe Rauzi fu sicuramente uno di quei religiosi che interpretarono nel modo più aperto e progressista il messaggio postconciliare. Una vocazione senza alcun dubbio nello stare a fianco degli ultimi, nell’aprire le porte anche a coloro che, per troppo tempo, avevano trovato l’uscio delle chiese sbarrato dai dogmi e dai precetti.
Le sue lezioni, a noi studenti, toccavano, oltre i temi squisitamente religiosi, tutta una serie di problemi che stavano faticosamente entrando a far parte del nostro vissuto quotidiano: il sesso, la droga, ma anche la cultura al di fuori delle materie iscritte nelle tavole della legge ministeriali. Si parlava, in quelle ore, di musica e soprattutto di cinema, arte della quale Don Rauzi era un raffinato cultore.
Parecchi di noi, all’epoca, avevano già smesso di andare in chiesa la domenica, ma sapevano nel contempo che se avessero avuto un problema, avrebbero potuto rivolgersi a lui, a quel sacerdote che ascoltava, non giudicava, non ammoniva ma cercava di riannodare in qualche modo quei fili interiori che si erano spezzati.
Penso di non far torto alla memoria di Don Giuseppe Rauzi se lo colloco tra le file di quella chiesa del dissenso che, in quegli anni, esercitò un ruolo assolutamente non marginale nel dibattito politico in Alto Adige. Anche questa è l’eredità di un uomo e di un sacerdote che deve essere ricordata, oggi, quando vent’anni sono passati dalla sua morte e quando ancora molti di noi non si sono del tutto rassegnati a non poterne più incrociare lo sguardo sorridente.