Il lavoro a chiamata è una soluzione?

L’avevano chiamata “job on call”, in italiano “lavoro a chiamata” (oggetto di continue modifiche di legge fin dalla sua introduzione), e nel luglio del 2012 ha raggiunto con 9.224 unità il suo picco massimo in assoluto. Le rimanenti 4.097 persone (44%) intrattenevano contemporaneamente anche un altro rapporto di lavoro, erano lavoratori autonomi o percepivano una pensione.
Il cosiddetto lavoro a chiamata ha avuto gli effetti maggiori con la Riforma Fornero, entrata in vigore il 18 luglio 2012. La quantità di contratti è diminuita in un anno di oltre 4.000 unità (-47%) e le nuove stipule sono diminuite ancora più sensibilmente (-68%).
“Con la Riforma Fornero si è avuta una trasformazione di un numero maggiore di contratti a chiamata in contratti di lavoro con condizioni migliori presso lo stesso datore di lavoro. Cosa questa senz'altro positiva in un periodo di crisi occupazionale”, dichiara l'assessora provinciale al lavoro, Martha Stocker. Gli fa eco il direttore della Ripartizione lavoro, Helmuth Sinn: “un anno dopo la Riforma Fornero - ovvero nel luglio del 2013 - il 30% (1.537) delle persone con contratto a chiamata senza ulteriore reddito da lavoro ha trovato un'altra occupazione più stabile; 668 e quindi circa il 44% presso lo stesso datore di lavoro, tre quarti di essi con un contratto a tempo determinato e per lo più part-time”.
Cosa è cambiato a tre anni dall’introduzione della Riforma Fornero? Secondo il nuovo numero del bollettino “Mercato del lavoro news”, pubblicato a cura dell’Osservatorio del mercato del lavoro, nel luglio 2015 complessivamente 1.944 (37,9%) delle 5.127 persone hanno una situazione occupazionale diversa dal lavoro a chiamata: 48% sono occupati a tempo indeterminato e 52% a tempo determinato.
I lavoratori di età compresa tra i 15 e i 24 anni a livello di passaggio a un'altra forma occupazionale presentano valori analoghi a quelli delle persone tra i 25 e i 55 anni di età. Più bassi, invece, i valori dei più anziani.
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