Film | salto weekend

I signori della droga (con ricetta)

Painkiller, la nuova miniserie ricostruisce la crisi degli oppioidi negli Stati Uniti e il ruolo determinante della famiglia Sackler. Ma scade nel grottesco.
Painkiller
Foto: Cover photo

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È fresca di Netflix Painkiller, la miniserie sulla famiglia Sackler, proprietaria della casa farmaceutica Purdue, che contribuì profondamente alla crisi degli oppioidi negli Stati Uniti con il farmaco OxyContin prefiggendosi di curare l’epidemia che lei stessa aveva innescato.

Cos’è

La serie, diretta da Peter Berg, inizia introducendo la famiglia Sackler a partire da Arthur (Clark Gregg), medico che ha trasformato l’industria farmaceutica grazie a efficaci campagne pubblicitarie, e da suo nipote Richard (Matthew Broderick), che ha ricalcato le orme dello zio nel diffondere l’ossicodone, antidolorifico oppioide commercializzato come OxyContin attraverso una campagna di marketing molto aggressiva per convincere i medici a prescriverlo. L’ossicodone però creava pesanti problemi di dipendenza. I medici abusarono delle prescrizioni e in moltissimi casi i pazienti cominciarono a prolungarne l’assunzione anche oltre i termini raccomandati.

C’è poi Shannon Schaeffer (West Duchovny), una neolaureata reclutata dalla Purdue per promuovere il loro nuovo farmaco miracoloso presso i medici. C’è Glen Kryger (Taylor Kitsch), un marito e padre amorevole a cui viene prescritto l'OxyContin dopo un infortunio sul lavoro. Infine c’è Edie Flowers (Uzo Aduba), investigatrice federale che è stata tra i primi a indagare sull’impatto dell’OxyContin e sul peccato originale dei Sackler.

Painkiller | Official Trailer

 

Com’è

Premessa: Painkiller indaga una vicenda che se non si conosce vale la pena approfondire. Presenta una serie di prospettive diverse (un po’ come fece la serie Dopesick sullo stesso tema) per fornire un quadro più completo sulla faccenda dell’OxyContin ed evidenzia il costo umano delle decisioni di Richard Sackler su tante persone comuni che lui non ha evidentemente mai considerato. Il problema tuttavia è come i creatori della serie hanno scelto di “servire” al pubblico questa storia. Painkiller è più prevedibile che sorprendente - ognuna delle trame va a parare precisamente dove ci si aspetta, e alla fine si accontenta di affrontare un tema importante in modo accessibile, lesinando sullo spessore narrativo.

Per qualche motivo la storia della famiglia Sackler è rappresentata come una specie di farsa con strane sequenze di fantasia (l’opinabile espediente dello zio morto che perseguita e consiglia Richard che ne esce come un cattivo da cartone animato), una scelta che stride se contrapposta al grave impatto della crisi degli oppioidi che si manifesta negli altri episodi. Il ritmo è incalzante, il montaggio rapido e macchinoso, le metafore schiaffate in pieno viso, e lo stile è così ostentato da distrarre dalla sostanza, anche se intende sottolineare quanto questa sia fondamentale, ma è più forte il desiderio di intrattenere e la risonanza emotiva ne risente.

Ognuno dei 6 episodi si apre con un non-attore che legge una dichiarazione di non responsabilità sul fatto che la serie sia basata su eventi reali con elementi drammatizzati. “Ma ciò che non è romanzato è la mia storia”, dicono, condividendo ricordi e foto dei propri cari morti per overdose da ossicodone. È un richiamo a quella verità che sta alla base di ciò che la serie cerca di svelare: come l’avidità abbia distrutto moltissime vite. Solo che il tono dello show non sembra essere all’altezza della gravità della storia che racconta. Occasione mancata.