“Cultura della salute, lavoriamoci”
salto.bz: Cristina Masera, segretaria generale della Cgil-Agb, l’Alto Adige è alle prese con la seconda ondata del coronavirus. Cosa la preoccupa di più di questo difficile momento?
Cristina Masera: ci sono almeno due o tre grandi temi sui quali, assieme a tutto il resto della nostra attività, stiamo concentrando le nostre energie come sindacato. La prima è l’emergenza sanitaria. Questa è la priorità da affrontare, al di là delle critiche che andranno mosse in un secondo momento sul perché, come territorio, ci siamo presentati così disorganizzati alla seconda ondata che era largamente annunciata. La situazione al momento è fuori controllo: occorre quindi agire tempestivamente per riprendere in mano la gestione della pandemia.
Il test di massa va nella direzione giusta secondo la Cgil-Agb?
Sì. Mi auguro che lo screening permetta di centrare lo scopo: vedere di nuovo una sanità pubblica per tutti e non solo per i pazienti Covid. Questa infatti è un’ulteriore crisi nella crisi. I cittadini non possono accedere ai pronto soccorso o agli ospedali per bisogni di salute che non siano quelli legati al coronavirus. La situazione nel nostro sistema sanitario e negli ospedali è peggiore rispetto a quella della prima ondata del virus. Tutte le visite specialistiche vengono spostate e la Asl ha detto pubblicamente che bisogna recarsi nei pronto soccorso solo se si è in pericolo di vita. Una cosa che dà l’idea di una sanità alla frutta. Purtroppo è un’immagine vera. Gli ospedali sono stracolmi, tantissimi reparti vengono trasformati in Covid. Siamo in una situazione molto drammatica. Spero vivamente che le azioni messe in atto consentano di tornare ad una sanità in grado di curare tutti.
Per le responsabilità, diceva, è ancora presto. Ma lei si è fatta un’idea di cosa non ha funzionato nella prevenzione?
Veniamo dopo a quanto compete alla politica e alle istituzioni, anche sanitarie. Quello che mi preoccupa di più è la quantità di persone che hanno sottovalutato il problema, parlo della possibilità di contagio. Questo secondo me dipende dal fatto che in Alto Adige manca una vera cultura sanitaria. La nostra provincia è un luogo di sport, anche questo è prevenzione. Ma la cultura sanitaria è ai minimi termini. Tanti cittadini su questioni di salute si informano non sui media anche online, ma su siti non specializzati, o peggio sui social. Uscendo da questo periodo avremo l’occasione di pensarci: partendo dalla scuola, dai bambini, potremo sviluppare una vera cultura della prevenzione, dell’igiene pubblica, che ci aiuti a comprendere i fenomeni che ci circondano e i loro effetti sulla salute.
In tanti, secondo lei, in Alto Adige hanno preso alla leggera il coronavirus dopo l’uscita dal primo lockdown?
Da cittadina, camminando verso il posto dove svolgo la mia attività sindacale, non ho potuto non notare le tante persone senza mascherina, o i gruppi di 20 ragazzi appiccicati fuori dalla scuola professionale che abbiamo vicino alla nostra sede. Sono solo esempi di quanto abbiamo visto dall’estate in poi. Il segno che c’è qualcosa che non va. Non abbiamo una consapevolezza di cosa sia il Covid. Per questo serve una cultura sanitaria, che ci porti ad un’assunzione collettiva di responsabilità.
Dove hanno sbagliato invece le istituzioni?
Io parto da un fatto: perché si è arrivati tardi nella formazione degli operatori sanitari per i tamponi rapidi? Lo si sta facendo ora, ma non si poteva fare un po’ prima? E lo stesso vale per l’adattamento degli spazi ospedalieri. Poi, la Provincia ha letteralmente “mollato” sul richiamo continuo alle regole che andava tenuto vivo anche durante l’estate, quando il rilassamento generale faceva pensare che tutto sarebbe andato al meglio anche in autunno. Faccio un esempio: non è mai diventato possibile, neanche a luglio-agosto, andare sulla stessa auto anche con non conviventi senza la mascherina. Ma in quanti lo hanno rispettato? Il fatto è che ci dovrebbe essere una consapevolezza comune, sulla necessità di rispettare le disposizioni anche se non ti costringono con multe e controlli di polizia. Per questo torno al tema della cultura della salute: ci sono questioni che si ignorano e invece è importante sapere, per la tutela di se stessi e degli altri.
L’aspetto economico-sociale della crisi è la priorità immediatamente dietro a quella sanitaria. Si fa abbastanza?
Anche su questo siamo molto preoccupati. C’è una criticità da tenere presente: il resoconto Inps sui primi nove mesi del 2020 ha certificato che su 536 milioni di ore erogate di cassa integrazione ordinaria e in deroga 150 milioni sono stati utilizzati dalle aziende che non hanno sofferto riduzioni del fatturato. Un terzo delle imprese beneficiarie non aveva davvero bisogno delle misure. E c’è di più: oltre 3.000 casi di aziende che hanno fatto assunzioni fittizie, con iscrizioni retrodatate, solo per la Cig. Comportamenti definiti dallo stesso istituto, che li ha bloccati con il suo ufficio antifrode, “palesemente fraudolenti”. Dunque, il rischio di distribuire aiuti a pioggia, anche a chi non lo merita, togliendone a chi ha realmente bisogno, è fortissimo. Il sindacato a livello nazionale vuole il confronto sulla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro. Dobbiamo fare sintesi per seguire la trasformazione profonda del mercato del lavoro che ci sarà in primavera, quando cesserà il blocco per legge dei licenziamenti. Ma il discorso vale anche per l’Alto Adige.
Lo tsunami del 2021 potrà colpire anche a livello territoriale. Il confronto con la Provincia sta dando buoni frutti?
Noi abbiamo proposto la modifica del Fondo territoriale sostenuto dalle risorse provinciali, lo strumento che serve a finanziare anche la cassa in deroga. L’obiettivo è andare verso un sistema nuovo di politiche attive che segua la transizione e sostenga giovani lavoratori e persone vicine alla pensione. Stiamo lavorando per convincere gli imprenditori, mentre la politica con l’assessore Achammer ci ha già dato il suo appoggio. Ora dobbiamo accelerare. Quando cadrà il blocco dei licenziamenti, a fine marzo, dovremo avremo strumenti solidi e operativi. Troviamoci non al tavolo ma in videoconferenza quanto prima per chiudere.
Nel 2021, se la sfida del vaccino sarà vinta, il sistema economico altoatesino saprà confrontarsi con la transizione del mondo post pandemia?
Il confronto con la Provincia va esteso proprio su questo orizzonte. Bisogna progettare il futuro dell’Alto Adige a livello di tessuto produttivo, di digitalizzazione, guardando con serenità sia alle luci ma anche alle ombre dello sviluppo sudtirolese. Noi naturalmente chiediamo di investire nella direzione della sostenibilità del sistema, ambientale, di equilibrio produttivo, sociale.