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Tutti in campagna!

I tormenti del centrodestra alla vigilia della campagna elettorale per le comunali di maggio. Non tutto, però, è già deciso come qualcuno vorrebbe far credere.

Ormai ci siamo. Tra pochissimi giorni inizia ufficialmente la fase preelettorale in vista delle comunali altoatesine. Con il 45º giorno antecedente la votazione, fissata com'è noto per il 10 maggio prossimo, scattano diversi adempimenti tra i quali, non certo di minore importanza, quello relativo alla cosiddetta "par condicio" per diversi mezzi di informazione. Siamo dunque in piena campagna elettorale anche se ovviamente il dibattito entrerà nel vivo solo nell'ultimo mese prima del voto, quando saranno ufficiali le liste dei candidati al consiglio e di quelli alla carica di sindaco.

Quello che precede il "via" è dunque il momento migliore per cercare di fissare i termini politici della battaglia che va a cominciare soprattutto nel capoluogo altoatesino. Ad un osservatore distratto o superficiale potrebbe balzare all'occhio una contesa elettorale già decisa, con il sindaco uscente la sua maggioranza destinati ad una vittoria rapida ed indolore per mancanza di avversari degni di tal nome.
Le cose non stanno proprio così. Spieghiamole meglio cominciando dal settore della politica cittadina che più di tutti ha fatto parlare di sé in queste ultime settimane: il centrodestra italiano.

Dieci anni or sono, ai tempi della vittoria storica del loro candidato sindaco Ivan Benussi (maggio 2005), i partiti del centro destra che lo sostenevano raccolsero una messe di voti: ben 23.000. Erano tanti ma non furono sufficienti, come si ricorderà, a dotare Benussi di una maggioranza sufficiente a restare in sella. Alle comunali di cinque anni dopo i voti dei partiti di centro-destra erano già scesi considerevolmente. Furono appena 12.700 gli elettori che diedero loro fiducia. Una cifra ridottasi ulteriormente in occasione dell'ultima consultazione provinciale, quando a Bolzano i voti del centro destra sono stati poco più di 11.000.

A contendersi la parte dell'eredità non ancora sperperato (con la segreta speranza di riuscire a rimpinguarla) saranno sette o otto liste e non meno di cinque candidati sindaco. Sul numero delle formazioni in lizza in realtà non c'è nulla da eccepire. Erano sei anche nel 2010 e, quando si vota con il proporzionale come nel caso di Bolzano, è buona regola quella secondo cui più si marcia divisi e più s'incrementano i consensi. Il problema è che per il sindaco si vota con il sistema maggioritario e quindi lo sparpagliamento dei candidati non lascia presagire clamorose vittorie come fu invece quella di Benussi.

Sui motivi di questa guerra di tutti contro tutti nel centro destra italiano si è detto e si è scritto molto negli ultimi giorni. Di là dalle facili battute sembra davvero troppo comodo e autoassolutorio liquidare l'intera questione addossandone la responsabilità alle alzate d'ingegno fuori tempo dell'onorevole Michaela Biancofiore. Così anche non sembra giusto liquidare l'intera questione come il risultato di una serie di antipatie personali. C'è evidentemente molto di più. C'è, in realtà, la mancanza totale da parte di un settore politico che, dagli anni '80 in poi ha catalizzato su di sé i voti e le attese di una buona metà dei bolzanini di lingua italiana, di superare lo scoglio del passaggio da una posizione di mera critica anche autonomista ad una di assunzione piena di responsabilità governative.

Il momento chiave di questa vicenda può essere individuato a partire dal 1994, quando la destra italiana partecipa pienamente alla conquista del potere da parte dello schieramento guidato da Silvio Berlusconi e diviene a tutti gli effetti forza di governo. E' quella destra che in Alto Adige, dal 1945 in poi, si è battuta strenuamente contro ogni forma di concessione autonomistica alle minoranze. Ha criticato aspramente il trattato De Gasperi Gruber e la prima autonomia, salvo poi aggrapparsi ad essa per far balenare davanti agli occhi degli italiani dell'Alto Adige lo spettro di concessioni ancor più ampie, di una nuova autonomia che li avrebbe ridotti al rango di stranieri in casa propria. È una posizione sostenuta senza cedimenti, rinnovata alla luce delle fiaccole che, ad ogni ricorrenza nazionale, illuminavano l'ascesa del popolo missino verso il monumento della vittoria di Bolzano. Una posizione che ha cominciato a dare i suoi frutti elettorali all'inizio degli anni '80, in coincidenza con l'entrata in vigore delle nuove norme autonomistiche e che ha condotto il centrodestra verso i suoi maggiori successi elettorali.

Fino al 1994 per l'appunto.
Qui, con l'entrata in quella che, decenni prima, Pietro Nenni aveva chiamato la stanza dei bottoni, si pone un problema serio. A Roma il governo di centro-destra non può o non vuole tener fede a quelle promesse di totale revisione dell'autonomia che per lunghi anni i suoi esponenti nazionali e locali hanno distribuito ai loro seguaci tra Salorno e il Brennero. In buona sostanza i governi berlusconiani finiscono per comportarsi non molto diversamente, per quel che riguarda la questione altoatesina, da quelli di centro-sinistra, per decenni tacciati di aver svenduto il tricolore alla Sudtiroler Volkspartei.

A questo punto, per il centrodestra altoatesino, non resterebbero che due strade aperte: o rinnegare anche i legami con i vertici nazionali e rinchiudersi, in una strenua e peraltro vana difesa delle antiche memorie politiche o approfittare delle posizioni di potere raggiunte a livello nazionale e affrontare un cambiamento epocale, mettendo in soffitta il vecchio armamentario antiautonomista e proponendosi come schieramento moderato, pronto ad esempio a raccogliere le avances nemmeno troppo celate che arrivano da ambienti economici e politici di lingua tedesca. Il problema è che il centrodestra italiano sembra non aver scelto, in questi ultimi dieci o quindici anni, ne l'una ne l'altra strada. Eternamente in bilico tra i richiami del passato e le tentazioni del futuro, sospeso sopra ad un confine immateriale ma difficilissimo da superare, lo schieramento politico che calamitava voti senza neppure doversi disturbare a far campagna elettorale, si è frazionato in una serie di partitini autoreferenziali e rissosi. Le famose rivalità personali sono il frutto di questo percorso storico politico e non la causa delle difficoltà di oggi.

Questa la situazione dalla quale si parte per una campagna elettorale che comunque, come si diceva in apertura, non è proprio del tutto segnata nel suo destino.

A prescindere da quello che le urne diranno per quanto riguarda i voti di lista, l'interrogativo maggiore, infatti, è legato alla possibilità che il sindaco uscente Luigi Spagnolli possa evitare, come nelle due edizioni precedenti, di dover andare al ballottaggio. Come già nel 2005 e nel 2010 Spagnolli può contare, a questo scopo, sulla desistenza della Suedtiroler Volkspartei, ma stavolta dovrà fare a meno di tutti i voti della sinistra con gli Ecosociali e l'ex Rifondazione Comunista che hanno deciso di andare al primo turno per conto proprio. A colmare il vuoto lasciato da questi consensi dovrebbe essere la lista che il sindaco uscente sta predisponendo e che porterà il suo nome, capace di pescare nell'elettorato moderato e di centro. Come la storia elettorale insegna, si tratta di operazioni dall'esito incerto e se il travaso di voti dalla sinistra al centro non dovesse essere sufficiente per garantire a Spagnolli la maggioranza assoluta dei consensi al primo turno (cinque anni fa ottenne il 52,44%) i giochi politici si riaprirebbero. Se al ballottaggio, infatti, andasse con Spagnolli uno dei molti candidati del centro-destra, sul suo nome potrebbe essere ricostruita in extremis quell'unità che è mancata nella prima fase delle elezioni.

Alla possibilità di portare Spagnolli al ballottaggio guardano apertamente anche le forze della sinistra, dato che in quel caso dovrebbero probabilmente essere riaperti i termini di quel confronto sui programmi che in questa fase politica non è in pratica neppure iniziato.
Il sindaco uscente, oltre che con la necessità di evitare il ricorso al ballottaggio, dovrà infine fare i conti anche con l'imperativo categorico di assicurarsi una solida maggioranza consiliare. La legge altoatesina non garantisce, infatti, come noto nessun tipo di premio di maggioranza al primo cittadino eletto. Spagnolli deve dunque sperare che le liste che lo sostengono riescano ad assicurargli un robusto sostegno per affrontare una navigazione politica che sin d'ora si annuncia quanto mai burrascosa.