Gesellschaft | kalašnikov&valeriana

Denuncia del 25 novembre

Lo Stato e la società sono davvero in grado di accogliere le denunce per violenza maschile contro le donne senza attuare vittimizzazione secondaria, senza produrre archiviazioni nel percorso giudiziario?
Violenza di genere, flash mob
Foto: Privat
  • Si avvicina il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro sulle donne. E come ogni anno si concentrano in una settimana numerose iniziative e gesti simbolici a riguardo. Il tutto condito abbondantemente da parole scippate a chi si impegna quotidianamente nella lotta contro la violenza maschile sulle donne oltra a consigli paternalistici alle donne stesse: donne, denunciate!!
    Lo conferma l'indagine ISTAT del 2019: il 64,5% della popolazione consiglierebbe a una donna che ha subito violenza da parte del proprio compagno/marito di denunciarlo. 

    Ora, chiariamo: la denuncia di per sé non è la soluzione alla violenza vissuta. Può essere un passaggio nel percorso di fuoriuscita, ma non è la bacchetta magica che ti fa uscire dalle dinamiche di una relazione violenta (per questo ci sono i percorsi con le operatrici dei Centro D'Ascolto Antiviolenza). Idealmente, la denuncia potrebbe essere un messaggio forte all'uomo violento: la violenza che agisci è inaccettabile e ingiustificabile. Potrebbe altrettanto essere un messaggio alla società tutta. 

    Uso il condizionale perché nella realtà dei fatti è bene sapere che la denuncia comporta una forte esposizione della donna. Dovrà affidarsi alla fortuna per poter interagire con operatori/operatrici (delle forze dell'ordine, del sistema giudiziario ed eventualmente dei media) formatə o almeno sensibili sul fenomeno della violenza. Mi chiedo: in qualsiasi altro ambito, mettiamo ad esempio quello sanitario, personalmente voi vi affidereste a unə chirurgə puntando su fortuna e sensibilità o pretendereste una formazione adeguata? 

    Di fatto, la violenza di genere resta l'unico reato, per il quale sotto la lente di ingrandimento finisce la persona lesa molto più del violento. Dove la ricerca di giustificazioni e di co-responsabilità è sistemica in tutti gli ambiti. Dove la vittimizzazione secondaria è all’ordine del giorno. Purtroppo, è ancora abbastanza alta la probabilità di incappare in persone che la pensano come il 40% della popolazione italiana che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Oppure in quel 7,4% delle persone che ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo”. O ancora in un 17,7% di persone che ritiene accettabile che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della compagna/moglie. Questi dati sono tratti dall’ultima indagine ISTAT su “gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” risalente al 2019, mica agli anni 50! 

    Teniamo presente questa dinamica quando nei prossimi giorni siamo tentatə di unirci al coro del "denunciadenuncia" e chiediamoci se lo Stato, se la società stessa è davvero in grado di accogliere le denunce senza attuare vittimizzazione secondaria, senza produrre archiviazioni nel percorso giudiziario, senza rendere ancora più faticoso il percorso di fuoriuscita e verso una vita autodeterminata e libera dalla violenza. E ricordiamoci dei Centri d’Ascolto Antiviolenza.