Wirtschaft | Il punto

Cosa non funziona nella sanità delle Autonomie

Quanti sono i debiti delle regioni e province autonome in materia di spese sanitarie? L’analisi di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera.

Le Regioni sono enti inutili?
‘Gusci vuoti’ riempiti di soldi che non hanno saputo gestire il territorio né far altro che esplodere il debito pubblico”, così definiva le regioni la Società geografica italiana (Sgi), qualche tempo fa. Critiche, queste, che si sono inasprite ancora di più a partire dall’autunno del 2012 quando una serie di scandali - tutti per lo più riguardanti l’utilizzo improprio dei fondi elettorali - ha investito moltissime regioni italiane. Motivo per cui, in base alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, alcune competenze riservate alle Regioni sono tornate allo Stato. “Ma c’è un buco invisibile in quella riforma” - spiega il giornalista Sergio Rizzo nell’edizione di ieri, 20 luglio, del Corriere della Sera - secondo quanto definito in un documento preparato per l’audizione sulle autonomie regionali dalla Corte dei Conti, infatti, il ridimensionamento dei poteri regionali a favore di quelli statali “potrebbe accentuare ancora di più il divario fra le Regioni a statuto speciale e le altre. Determinando sul piano dei diritti fondamentali dei cittadini, che secondo la Costituzione devono essere uguali per tutti, problemi ancora più grossi di quelli già causati dal sistema attuale delle autonomie regionali. E mai affrontati”. 

Il nodo della sanità
La spesa sanitaria di cinque regioni e province a statuto speciale (Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle D’Aosta, e province autonome di Trento e Bolzano), prosegue Rizzo, è sostenuta in toto dal bilancio regionale. Si tratta sempre di denaro pubblico, s’intende, ma lo Stato resta in ogni caso fuori dai giochi (eccezion fatta per la Sicilia, dove la sanità è co-finanziata dal bilancio statale). Cosa significa questo in soldoni? Che “le Regioni a statuto speciale possono chiudere ogni anno i conti della sanità con disavanzi monstre, perfettamente indisturbate. E questo significa poter garantire ai propri cittadini servizi migliori rispetto ai comuni mortali residenti nelle Regioni ordinarie”, scrive il co-autore de La Casta.

I dati
In materia di disavanzi sanitari nel 2013 il peggiore della classe è stato il Molise: 759 euro di debito a persona. Nello stesso anno in Valle d’Aosta l’ammanco è di 53,1 milioni: 415 euro pro capite; a Trento di 218,2 milioni: 411 euro ciascuno; a Bolzano, di 184,5 milioni: 362 euro per ogni bolzanino; in Sardegna di 379,6 milioni: 231 euro a testa; in Friuli-Venezia Giulia di 44 milioni: 36 euro a residente. Un buco, prosegue Rizzo, di quasi 900 milioni in totale, “superiore a quello di tutte le Regioni ordinarie messe insieme, se si eccettua il Lazio che aveva accumulato da solo un disavanzo di ben 669 milioni”. Il problema, inoltre, è il forte ritardo delle Regioni autonome nell'applicare il cosiddetto Patto della salute, il quale esige che la contabilità della sanità debba essere fatta dappertutto allo stesso modo; obbligo entrato in vigore già nel 2011. Eppure “la Sicilia ha introdotto il meccanismo solo nel 2014, il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna e il Trentino appena da quest’anno mentre per la Valle D’Aosta e l’Alto Adige si dovrà aspettare addirittura il 2017”. 

La sanità non è che uno degli aspetti
Quando nel 2011 l’obbligo di uniformare le contabilità diventa concreto le Regioni autonome “insorgono” facendo ricorso “contro la norma che stabiliva per loro l’applicazione automatica del principio se entro sei mesi non avessero dato seguito all’obbligo. E la Consulta aveva dato loro ragione. Da allora sono partiti rinvii e posticipi a raffica. Le Province di Trento e Bolzano hanno deciso di spostare di un anno l’applicazione dei principi contabili unitari. Subordinandone per giunta l’entrata in vigore, nel Trentino, a una legge nazionale sulla devoluzione dei tributi erariali”. 
È opportuno - lascia intendere Rizzo - che sopravvivano ancora certi statuti speciali “capaci di produrre soprattutto privilegi, sperequazioni inaccettabili e anche enormi sprechi”?. “Con il 15 per cento della popolazione - conclude il giornalista - le Regioni a statuto speciale assorbono il 23,8 per cento della spesa regionale: 44,2 miliardi su 185,7. E le maggiori competenze non sono sempre una ragione sufficiente per spiegare tanta differenza”.

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Profil für Benutzer Massimo Mollica
Massimo Mollica Mi., 22.07.2015 - 19:55

Il problema del bravo Sergio Rizzo è uno sbaglio di concetto. Che è poi il problema di tutti gli italiani che vivono fuori dal Trentino Alto Adige. Se noi immaginiamo l’Italia come un condominio formato da tante famiglie di fratelli e sorelle (le province), quello che sostiene Rizzo è che ogni famiglia dovrebbe dare il proprio stipendi all'amministratore di condominio (il governo centrale), che poi lo redistribuisce come meglio crede. Questo chiaramente non può funzionare per svariati motivi, due dei quali sono opposti e tendenti allo stesso risultato. Da una parte si disincentiva le famiglie più meritevoli e dal’ altra non si stimola quelle più pigre. Non si ha una concezione dei soldi disponibili e quindi si tende a spendere (male) più del dovuto. Viceversa, se ogni famiglia fosse autonoma e gestisse le proprie entrate, chiaramente pagando in proporzione per le spese comuni, e una parte per un fondo per le famiglie meno abbienti, eco che allora si riuscirebbe a eliminare gli effetti sopra citati. Vi sarebbe maggiore consapevolezza delle entrate e dei costi ma anche autonomia e quindi stimolo, a migliorare la propria condizione. A ben vedere si ricreerebbe quella situazione dell’Italia pre unificazione, fatta di città marinare e province. Il punto è che non si dovrebbe più valutare il costo assoluto nelle varie voci ma la percentuale delle stesse nel complesso, e naturalmente il servizio offerto. L’ obbiettivo è che avere il maggior stimolo e autonomia d’azione per creare ricchezza e quindi aumentare la qualità dei servizi. Ecco perché sono da sempre per le province autonome.

Mi., 22.07.2015 - 19:55 Permalink