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„Black Sounds Matter“

Stasera nel Parco delle Semirurali „Black Sounds Matter“, una riflessione performativa sulle voci e sul canto afroamericano. Salto ne ha parlato con Gianpaolo Chiriacò.
„Black Sounds Matter“
Foto: „Black Sounds Matter“
Stasera, alle ore 20.30, il parco delle Semirurali a Bolzano vedrà salire sul palco Alessandra Limetti, Stefano Luigi Mangia e Gianpaolo Chiriacò. Quest’ultimo nel 2018 ha pubblicato „Voci nere - Storia e antropologia del canto afroamericano“, edito da Mimesis Edizioni, frutto di una ricerca lunga tre anni al Center for Black Music Research di Chicago. Chiriacò, che ha fornito il punto di partenza per il progetto, sarà la voce narrante, mentre Mangia canterà e Limetti presterà la sua voce alle artiste incontrate da Chiriacò. È stata fatta la scelta di non proporre un concerto.
 
 
salto.bz: Signor Chiriacò, com’è nata l’idea di portare i suoi studi sul palco? Da dove arrivano gli aspetti performativi?
 
Gianpaolo Chiriacò: È un'idea che mi ha sempre accompagnato, in parte perché, occupandomi del canto e del suo ruolo sociale, è stato naturale cercare di dare uno spazio performativo al mio studio. A fianco a questo, esiste anche una sensazione molto forte che provavo a Chicago, dove ho svolto la ricerca dalla quale è nato il libro: ho sempre avuto il sentimento di dover superare i confini accademici e di ridare qualcosa di quello che mi era stato donato dalle persone con cui ho lavorato. Poi l’incontro con Alessandra Limetti e Greta Marcolongo, che purtroppo non ci sarà, ma che con noi ha curato questo lavoro, risale a due anni fa. Una volta che nel 2020 i temi dei miei lavori sono diventati parte di una discussione internazionale, è diventato più facile realizzare i nostri piani.
 
Sul palco saliranno tre persone bianche. Cosa direbbe alle persone che la accusano di appropriazione culturale?
 
In realtà io spero che le critiche vengano e che se ne parli. Ci sono molti modi per affrontare questo tema. Io penso che, da bianchi ricercatori europei e artisti, sottolineare e affermare nettamente la nostra vicinanza a un movimento antirazzista sia fondamentale. In questo, ben venga la critica. Spero che nasca una discussione, ma magari possiamo anticiparla. Usiamo un titolo che rimanda al „Black Lives Matter“ e sento parlare di appropriazione, perché? Sotto l’egida del movimento „Black Lives Matter“ c’erano gli afroamericani e gli afrodiscendenti in prima fila, ma insieme a loro anche molti altri. Se il problema uno lo vede soltanto nel titolo, beh, questa è già una risposta.
 
 
Più problematico del titolo è forse l'avvicinarsi a un canto legato a un'identità culturale che è molto diversa dalla propria. Come avvicinarsi nel modo il più possibile rispettoso?
 
Da questo punto di vista, quella che porteremo sul palco è una storia molto precisa. Innanzitutto, con la nostra presenza vogliamo dimostrare un grande amore verso la musica e le culture afroamericane. Allo stesso tempo ci sarà il tentativo - secondo me importante - di raccontare ciò che ha vissuto questo linguaggio musicale. Racconteremo anche com’è estremamente legato alla storia degli Stati Uniti d’America, al razzismo e alla sua brutalità. Va sottolineato come un popolo è stato in grado di creare una forma d’arte che poi ha raggiunto tutto il mondo. Useremo sul palco proprio le voci, citeremo persone che ho incontrato, che raccontano qual è il significato più profondo del canto afroamericano.
 
In questo ci sono dei rischi?
 
C’è il rischio di una sovrapposizione dello stereotipo razzista, che una ‘voce nera’ sia biologicamente diversa da altre voci. Questo non è vero. Esiste in verità una storia che ha determinato degli usi culturali del canto. Sono questi usi che poi rendono quella musica così interessante. Citare le persone che mi hanno raccontato questo vuole essere rispettoso. James Baldwin diceva provocatoriamente che non esiste il problema del nero americano, esiste un problema del bianco americano. Come definiamo la bianchezza attraverso la quale poi si sono imposti dei meccanismi di potere per secoli? Se noi, da bianchi, non ci domandiamo cosa significhi questo e quanto questa storia ci riguardi, una vera discussione sul razzismo e anche sull'antirazzismo sarà sempre difficile. Quindi se la preoccupazione dell’appropriazione culturale diventa un modo per evitare di affrontare questa conversazione difficile ma necessaria, meglio mettersi su un palco e provare ad affrontarla in maniera diretta. Il nostro desiderio poi è che questo lavoro crei una discussione. Se è vero che ci possono essere delle perplessità, esiste un problema più immediato: cosa possiamo fare noi per comprendere il nostro ruolo di bianchi artisti e ricercatori nel creare una discussione sul razzismo che possa portare a un sincero, profondo e diffuso antirazzismo?
Presenteremo dei brani tradizionali, che mi sono stati cantati durante la mia ricerca. Non utilizziamo un linguaggio musicale decontestualizzandolo, anzi, presenteremo i pezzi raccontando a fondo il contesto storico e sociale, con la speranza che chi apprezza questo tipo di musica possa anche comprendere meglio come sia parte fondamentale della storia americana. 
 
 

La musica nera poi non è monolitica: parliamo di blues, soul, hip hop e molti altri generi musicali. Ci sono degli aspetti che li lega assieme?

Forse la cosa più importante da sottolineare è quello che diceva il blues-man Willie Dixon negli anni ’40. È un tipo di musica che afferma - e continua ad affermare - una profonda umanità a dispetto di contesti disumani. Mi rendo conto che ciò ricalca un po’ l’aspetto della storia. Dal punto di vista delle varie diramazioni delle musiche afroamericane, gli elementi in comune sono spesso le persone. Per fare un esempio, Sam Cooke, la stella del gospel, poi diventato grande innovatore del soul, è nato nel cuore del delta blues. Spesso i generi che noi percepiamo come differenti in realtà nascono da persone molto legate fra loro. In questo, a sottolineare la presenza di questi legami, il canto religioso ha una presenza molto forte in tutte le espressioni delle musiche nere. Il call and response del canto Gospel rappresenta una certa maniera di affrontare i testi e di accompagnare una band e un pubblico verso un continuo climax dell’attenzione musicale e artistica. Questo è tipico, soprattutto delle celebrazioni nelle chiese nere americane. Questi elementi, in realtà, per quanto molto antichi, sono ancora molto vivi. Molti artisti d’oggi - mi vengono in mente Chance the Rapper, Common o Lizzo - usano questa struttura. 

L’aspetto d’innovazione, il formarsi di nuovi stili, persiste ancora ad oggi nella musica nera?

Ti posso rispondere su quello che io ho visto e percepito negli anni in cui sono stato lì, intorno al 2012, 2013. Degli ultimissimi anni sono sicuramente meno aggiornato. Però il continuo tentativo di innovare è assolutamente presente. Non solo è presente, ma è anche frutto di un tentativo di portare questo patrimonio artistico del canto anche all’interno delle comunità un po’ più povere e all'interno del movimento „Black Lives Matter“ in tutte le sue facce. Se posso citarne una, è Mankwe Ndosi di Minneapolis, la città in cui George Floyd è stato giustiziato. Lei è un’artista che può passare da una performance teatrale d’avanguardia a un Dancefloor Hip Hop, anche facendo un lavoro nei quartieri molto importante.