Kultur | Cronache della sopravvivenza

Tempi duri? C'è stato di peggio

In un breve racconto scritto dall'archeologo brissinese Gianni Rizzi: ecco come si svolgeva la vita nel V secolo nel rione Stufles della futura Bressanone. Una vita di stenti e di vera fame.

Aveva un nome impossibile, pieno di kappa, tanto che la chiamerò così semplicemente, Kappa.
Abitava ad uno sputo dal fiume Birrus*, proprio vicino al ponte vecchio romano**. La sua casa, se così si può chiamare era un misto di riuso di mura romane abbandonate e di aggiunte e integrazioni fatte da suo padre con pietre legate con fango argilloso, il tutto coperto da un tetto di paletti, frasche, paglia in parte spalmata d’argilla di scarsa qualità. Un tugurio, ma lei non aveva mai visto di meglio e si meravigliava dei racconti della nonna che ricordava la grande casa con diverse stanze pavimentate in caldo legno levigato, e una grande stalla dove sostavano carri e si riposavano cavalli e cavalieri su paglia pulita, un lusso. Erano i tempi, diceva nonna, quando c’era un via vai di militari incredibile, una frenesia ed un ansia indescrivibile, ma qualcosa si mangiava ogni giorno.

Governava Onorio*** un imperatore figlio di Teodosio, che Dio lo abbia in gloria. Dicono che si rifugiò a Ravenna, città circondata da paludi, era in salvo LUI. La nonna diceva che un anno vi fu l’abbandono della difesa dei valichi alpini e quasi tutta la popolazione si spostò verso sud, una fuga strategica, ma forse era terrore.

La nonna e il padre di Kappa salirono sul monte di Ovest, e si rifugiarono nei boschi, mentre vedevano dal lassù, prima manipoli, poi schiere e poi orde di barbari transitare per la valle fermandosi qua e là tra le case abbandonate, nei campi con le messi bruciate dai fuggitivi. Le ondate erano comandate in successione da Radagaiso e Alarico****. Non si fermarono che poco tempo per far pascolare le mandrie al seguito e rifocillare cavalli e guerrieri. Poi via verso il sud. Non li rividero più, ma videro altre orde. Spuntavano con la stagione buona come le rondini, ma erano terribili da evitarsi. 

Poi tutto si calmò per qualche anno e Kappa, che si era fatta un marito, tornò nella casa del padre ridotta ad un rudere. Suo marito si prodigò per ricostruire una vita dignitosa assieme a pochi superstiti, oggi si direbbero i Dableiber dell’epoca. Ma il risultato fu penoso. I campi erano rovinati e infestati di piantacce, gli argini dei torrenti crollati, i prati e i terrazzamenti un tempo coltivati erano devastati da frane e ridotti a stagni maleodoranti. Si mangiavano radici e poche altre povere cose, l’unico bene era la capra che dava latte fino a dar sangue.

Kappa era una figura strana, magrissima con il pancione perenne delle donne gravide, eppure era bella anche se a 25 anni si poteva dire avviata alla vecchiaia. Il marito che l’amava “troppo”, la metteva incinta senza tregua e lei subiva quei figli; ne aveva già partoriti sette e solo il primo era sopravvissuto, quasi per miracolo e si era succhiato tutto il latte della povera capra. Gli altri erano tutti morti lo stesso giorno del parto o qualche giorno dopo, non aveva nulla nelle sue mammelle da dare. Così al primo decesso rimase scossa per giorni, ma per gli altri era solo la triste. Erano l'inevitabile conclusione di un ciclo di gravidanze senza fine.

Non pianse più, anzi considerò le "piccole tragedie" come eventi liberatori, voluti dall'Alto. Non si sentiva però di gettare i piccoli cadaveri alle bestie, e li seppellì uno per uno nella casa, in punti che lei riteneva sacri in punti in cui i piccoli angeli potessero portare fortuna, sotto il pavimento, sotto la soglia, sotto il focolare, negli angoli della stanza. Li sentiva vicini e dialogava con loro, finché anche Lei, sfinita, dall’indigenza e dalla fatica, non divenne un angelo protettore della misera bicocca.

*Rienza
** leggermente più a monte dell’attuale ponte Guggenberg
*** a cavallo tra IV e V secolo.
**** seconda metà del primo decennio del V secolo.