Quartieri? Un possibile futuro.
La scorsa settimana si è tenuta l'ultima seduta del Consiglio di quartiere di cui faccio parte, quello di Oltrisarco, e forse ho trovato la risposta alla domanda: servono ancora i consigli di quartiere?
La mia personale esperienza all'interno di questa staffetta che è la gestione rappresentativa della “cosa pubblica” è stata positiva: ho assorbito informazioni, approfondito le opinioni altrui, ho avuto la possibilità grazie al ruolo di partecipare alla scuola ANCI per giovani amministratori e presenziare ad alcuni tavoli informali a Strasburgo e Bruxelles sulle dinamiche di vicinato e come migliorare la vivibilità degli spazi urbani.
Abbiamo avvicinato il Consiglio d'Europa alla nostra città e convinto il Sindaco a far approdare la nostra città nel gruppo delle città che implementano strategie concrete contro ogni discriminazione.
Ricordo ancora quando in quartiere proposi di riportare la pietra miliare su Via Claudia Augusta, di creare un archivio accessibile delle posizioni dei defunti online o sfruttare i QR code per creare uno storytelling attorno ai murales della zona industriale, così come quando parlammo di biblio-cabine, panchine rosse. Tutte proposte volte a riempire lo spazio fisico del quartiere in maniera naturale tramite la creazione di quei luoghi di possibile incontro di cui tanto si parla.
Il quartiere come naturale aggregatore e “riempitore” dello spazio pubblico è l'idea più affascinante per il futuro ed è ben diversa dal quartiere come “contenitore” su cui riversare attività attraverso le reti delle associazioni.
In questo percorso che non si costruisce più spontaneamente dal basso ma viene indotto quasi sistematicamente dall'alto si annida il problema attuale dei quartieri ed anche quello che li ha salvati nel recente passato: sono una mera emanazione ed un sottoinsieme dei partiti e delle forze politiche della città.
Se però a livello macro la politica può ancora operare al limite della finzione tra la concezione generale di quello che avviene in città e singoli interessi particolari; in quartiere le situazioni contingenti diventano la quotidianità e la richiesta sempre più pressante di produrre decisioni per far verificare degli eventi produce un meccanismo infernale di consigli che producono decisioni che non hanno efficacia su nessuno.
La politica in quartiere appare nuda, non più come l'espressione generale della vita sociale; diventa un sottosistema autonomizzato, differenziato e specificato funzionalmente, che ha il compito generale di produrre “potere”, cioè di trasmettere decisioni apparentemente vincolanti (le votazioni alle mozioni o alle varianti dei piani urbanistici) volte in linea teorica alla risoluzione dei problemi della quotidianità.
Il rapporto tra amministrazione (nella sua interezza di organo burocratico e rappresentanza politica) e cittadini è dunque un rapporto antagonistico, ove lo scopo del sistema amministrativo (la propria stabilizzazione nella centralità della sua essenzialità per il funzionamento complessivo dell’apparato) è costantemente minacciato dalle aspettative del pubblico, e più esattamente dalla eccessiva complessità ed eterogeneità della “domanda di decisioni”, sempre più complesse.
La società odierna ed i suoi sottosistemi variegati ed eterogenei presenti nei nostri quartieri sono sempre più espressione di quella «complessità» che nasce dalla discrepanza tra il mondo immaginato e compreso intellettualmente, la cui estensione è oggi enormemente dilatata dal flusso di informazioni consentito dai mezzi elettronici, e lo spazio molto limitato effettivamente coperto dall’azione dei soggetti: “tutto potrebbe essere diverso, ma quasi nulla io posso modificare”, potrebbe essere il motto di questo sentimento sempre più diffuso.
A questa situazione di incertezza nelle decisioni si aggiunge un problema intrinseco ai ritmi della società odierna che induce all’esplosione della dimensione temporale dei processi decisionali a cui si richiede di essere compressi oltre ogni ragionevole misura.
E mi spiego meglio: l’analisi qualitativa di quanto proposto ed approvato dal quartiere su spinta della cittadinanza e quanto realmente realizzato è a disfavore dei risultati ottenuti; ciò genera la frustrazione della dimensione temporale in quanto i risultati ottenuti non sono quantificabili nel lasso di tempo del mandato elettivo.
I quartieri con le competenze sul verde possono incidere fortemente sulla riduzione della dimensione temporale o sulla percezione che l'amministrazione possa trovare soluzioni hic et nunc: mettere un albero qui o lì, installare una panchina con un albero a farle da ombra, dovrebbe essere una decisione veloce. Oggi nei quartieri anche questo diventa lentissimo e senza risposta.
Ma per rispondere alla domanda: quale futuro ai Consigli di quartieri?
Poche e chiare funzioni per consentire che il tempo della decisione e quello della azione si avvicinino al limite delle possibilità burocratiche, ma non solo, è necessario investire in quella democrazia partecipativa che introduca quanta più parte possibile della cittadinanza all'interno del funzionamento della macchina burocratico/amministrativa e li renda partecipi del processo decisionale che non diventa più delegato e cogente (quanto meno nella sua necessità di realizzarsi in tempi rapidi che non sono quelli umanamente richiesti dal “tempo della decisione”) ma partecipato e ricoperto della necessaria temporalità intrinseca all'essere umano per produrre decisioni ed implementarle.