Ricucire la città multistrato
A saperli leggere, i numeri non dicono tutto ma servono a spiegare molto. Così, chi volesse farsi un’immagine perspicua non solo del voto di Bolzano, ma della composizione culturale, sociale e dunque in ultima istanza anche politica della città, non ha che da andarsi a leggere attentamente i risultati contrastanti di due sezioni campione (la numero 2 e la 75, rispettivamente collocate nella scuola Goethe del quartiere Centro-Piani-Rencio e nella bellissima e nuovissima Langer del rione Firmian, quartiere Don Bosco), verificando il comportamento degli elettori sia al primo turno che al ballottaggio.
Due quartieri agli estremi
Johann Wolfgang von Goethe e Alexander Langer, le scuole e i due quartieri evocati. Prima di dedicarci all'analisi dei numeri vale la pena sostare ancora un po' tra questi riferimenti, provando ad individuare il discrimine di una contrapposizione che - se sussiste - non lo fa in modo scontato. Il grande scrittore e poeta germanico e il politico ecologista sudtirolese non possono essere considerati i poli di un'opposizione grossolana e pronta all'uso, neppure in modo superficiale. Possiamo tuttavia immaginare il motivo che ha portato ad usarne i nomi. Allora è indispensabile allargare lo sguardo ai quartieri che le ospitano, alle diverse epoche della loro costruzione. Il primo, ricco di edifici storici, di abitazioni borghesi, anche lussuose, inclusa la villa che appartenne a Silvius Magnago, padre santissimo dell'autonomia.
L'altro molto recente, appoggiato ai margini della città, i casermoni (peraltro molto decorosi) a ridosso dei campi, e in lontananza il profilo del castello in cui lo stesso Magnago annunciò nel 1957 il suo Los von Trient. Certezze (talvolta tendenti a degenerare in modo tronfio) e speranze (sempre pronte a capovolgersi nel loro opposto). Il sentirsi parte di una tradizione da difendere, da celebrare, da un lato, e, dall'altro, il rischio di sapere che si naviga sempre a vista, che ogni opera di affratellamento è un ponte che può crollare in ogni istante. La stessa città, unita e segmentata in parti diverse, forse più sentite diverse che realmente diverse (esistono infatti numerosi punti di intersezione, senza contare che una periferia così sarebbe inutile cercarla in molti altri luoghi, non solo d'Italia), e che ovviamente, quando sono chiamate al voto, rispondono in modo diverso.
I numeri della divisione
Esaminiamoli, allora, i risultati. Ecco la sezione della scuola Langer, disponibile per 988 iscritti. Al primo turno si sono recate 498 persone, facendo cioè registrare un’affluenza del 53,15%. Il partito più votato è il M5S, con il 18,07% dei voti. Lo seguono lievemente staccati CasaPound (16,06%), il Centrodestra ideato da Alessandro Urzì e Elisabetta Gardini resistendo all'ingerenza di Michaela Biancofiore (13,25%) e la Lega Nord (12,45%). Il Pd si ferma all’11,24%, la Svp non riesce neppure a raggiungere il 5% e i Verdi (proprio nella sezione del loro principale riferimento storico) stentano con uno smilzo 3,61%. Quindici giorni dopo, al ballottaggio, l’affluenza ha subito un crollo drastico, attestandosi al 35,53%, (quasi il 20% in meno) ma la tendenza delineata in precedenza è stata confermata: il candidato sindaco del centrodestra, Mario Tagnin, batte nettamente quello del centrosinistra, Renzo Caramaschi, staccandolo di quasi 30 punti (63,35% contro 35,65%).
Situazione opposta nella sezione del centro, collocata nella scuola elementare Goethe. Qui gli aventi diritto sono 1254, e – come nel caso precedente – alle urne ne è stata registrata una cifra di poco superiore alla metà (54,70%). Completamente diversa, però, la scelta dei partiti al primo turno. La Svp spadroneggia con il 57,08%, poi i Verdi con il 14,93%, quindi a seguire gli altri. In particolare, il partito a larga denominazione “italiana” più votato (come nel caso della sezione della scuola Langer) è ancora il M5S (7,47%), il Pd non raggiunge il 6%, la Lega sta al 3,11% e solo 10 elettori (1,56% del totale) hanno osato apporre la loro croce sul simbolo neofascista di CasaPound. Al ballottaggio la fuga dal voto è stata più contenuta rispetto al quartiere periferico. Si è ripresentato infatti quasi il 40% degli aventi diritto, essenzialmente per consegnare la palma del trionfatore a Caramaschi (distacco abissale: l'80,77% contro il 19,23% raggiunto da Tagnin).
Preparare il terreno, ricucire gli strappi
La verità complessiva del voto scaturisce da una mediazione tra queste due estremità, ma tali estremità esprimono il ritratto più verosimile della città, ne espongono per così dire la ferita mai rimarginata, tale da suggerire una persistente “lettura etnica” al di sotto della rappresentazione conciliante propagata dagli attori politici (senza che gli stessi riescano tuttavia ad essere convincenti o credibili). Isolati da attitudini, abitudini, linguaggi e dunque schemi mentali ricorsivamente divergenti, i cittadini di Bolzano abitano una realtà multistrato, magari connessa da interessi comuni, i quali non incidono però mai troppo in profondità, e nei fatti rigenerano con ostinazione (se non proprio con rassegnazione) le vecchie contrapposizioni di sempre: i "tedeschi” o i progressisti benestanti, abitanti del centro, chiusi compattamente in un bozzolo di privilegi (o almeno, avvertiti come tali dagli “altri”) per l’appunto negati a chi abita nella periferia “italiana”, dove si trovano anche molti “stranieri” di condizione meno abbiente, e perciò naturalmente inclinata al riflusso identitario, alla protesta e al desiderio (sinora dimostratosi velleitario, anche perché distribuito in modo scarsamente unitario) di un “cambiamento”.
Ora, è possibile che la politica, magari attraverso la cooptazione “omoeopatica” di alcuni esponenti che sono l’espressione di quella Bolzano periferica e negletta, possa imboccare la strada per compensare il divario appena descritto? Senza operare nel tessuto sociale a un livello molto radicale, occupandosi cioè di costruire in primo luogo un terreno d’incontro tra le parti staccate, cominciando ad abitarlo in modo sistematico, il rischio è quello di restaurare la facciata di una casa che neppure esiste. Del resto, è vero anche che la riproposizione pedissequa delle vecchie alleanze potrebbe approfondire la separazione, attivando ancora una volta gli automatismi di un “disagio” (del quale ormai neppure più si parla citandolo per nome) da troppo tempo nutritosi di sterile risentimento e impotente rivalsa: infatti il “disagio” si è cristallizzato adesso nell'ideologia del “degrado”. Caramaschi ha promesso di voler “ricucire la città”. Speriamo abbia abbastanza filo da usare nei punti in cui ce n'è più bisogno, e che nessuno metta le mani alle forbici per tagliarlo.