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Politik | Avvenne domani

Il buio su Degasperi

A cavallo di due celebrazioni

Quando, verso le 19 di domenica scorsa, un lungo, interminabile applauso ha accolto la conclusione della lettura, da parte dell'attore Andrea Castelli, di una suggestiva selezione di lettere inedite scritte nel corso della sua vita da Alcide Degasperi, mi è frullato per la mente, improvviso, un pensiero. In prima fila, sotto il tendone allestito come ogni anno in quel di Pieve Tesino, terra natale dello Statista, sedeva, con ben poche eccezioni, tutto lo stato maggiore del nuovo estabilishment leghista, da qualche mese assurto al governo del Trentino. Più indietro i volti della vecchia classe dirigente cattolica, ormai consegnata alla storia. Assenti, come qualcuno ha fatto argutamente notare, tutti o quasi gli esponenti di quella sinistra attuale che, nella sua battaglia contro lo strapotere Salviniano non ritiene evidentemente di aver bisogno di andarsi ad abbeverare alla saggezza e al tormento di colui che a buon diritto possiamo ritenere il padre del Trentino moderno.

Un pensiero, dicevo, mi ha colto. Avrei dato qualcosa per poter spiare nella mente del Presidente Fugatti e degli altri suoi sodali che, pochi istanti prima di intonare l'applauso, avevano ascoltato, nell'ispirata interpretazione di Castelli, la lettura di una missiva inviata da Degasperi appena cinque giorni prima della sua morte al compagno di partito che lo aveva estromesso nel giro pochi mesi dal governo e dalla DC: Amintore Fanfani. Una lettera lunga, accorata, quasi disperata verrebbe da dire. Dal suo ritiro estivo di Sella, ormai piegato da una malattia che lo avrebbe stroncato di lì a poco, Degasperi riversava sull'interlocutore tutta la sua angoscia per l'andamento della crisi politica europea e per l'atteggiamento che l'Italia, in essa, stava tenendo. Si era, in quei giorni, al culmine di un dibattito sulla proposta di creazione della Comunità Europea di Difesa, la cosiddetta CED, che avrebbe dovuto assorbire in sé i rischi e i dubbi provocati dal riarmo della Germania di Adenauer e realizzare un ulteriore passo in avanti, dopo quello costituito dalla creazione, già avvenuta, della Comunità del carbone e dell'acciaio (CECA), verso un'effettiva unità politica del continente. Le cose, però, andavano male in quell'estate del 1954. La Francia metteva a rischio con le sue pretese, il progetto. De Gasperi era fortemente preoccupato, ma, ancor più dei dissidi a livello internazionale, lo irritava profondamente l'atteggiamento di disinteresse dell'Italia. A Fanfani rimproverava una sorta di furbo attendismo, ricordandogli Italia fuori dall'unità europea sarebbe stata ben poca cosa. Una visione profetica e quelle parole, lette con sapienza da Andrea Castelli rimbalzavano sotto le volte della tenda di Pieve Tesino,gremita di pubblico domenica scorsa, durante l'annuale celebrazione che la Fondazione Degasperi organizza nell'anniversario della morte dello Statista. Quella lettera si concludeva con alcune parole che fanno rabbrividire. Degasperi scriveva di avvertire il buio incombere su di sé. Era un presentimento della fine vicina, ma in molti, domenica sera, sotto quel tendone hanno avvertito un presentimento di buio incombente ancora oggi vivo, 65 anni dopo, sulle nostre menti, sul nostro futuro prossimo, sul futuro di un'Europa dalla quale c'è chi vorrebbe fuggire.

Azzeccata, veramente, l'idea di riempire il momento culminante dell'agosto degasperiano, con la lettura, affidata ad un uomo di teatro, di un'attenta selezione fatta tra quelle centinaia e centinaia di lettere che oggi riemergono dagli archivi vengono pubblicate, liberamente consultabili on-line. Un percorso iniziato con una missiva del 1905, che il giovane cattolico indirizzava al Presule Celestino Endrici, suo maestro e ispiratore per lunghi anni, lamentando la sorda opposizione di qualche parroco nei confronti del nascente movimento cattolico operaio. Poi gli anni delle battaglie politiche, soprattutto quella antifascista. Il rifiuto di piegarsi alla dittatura, di rinnegare il rapporto con uomini scomodi come Don Luigi Sturzo. Dopo l'arresto, gli interrogatori, Degasperi scrive orgogliosamente a Sturzo, esiliato in America su ordine del Vaticano: "Non ti ho rinnegato". Di grande valore umano e politico la missiva scritta durante la prigionia ad un giovane avvocato trentino, quel Tullio Odorizzi, che non teme allora di passare qualche guaio manifestando solidarietà ad un uomo così inviso al regime e che, anni dopo, sarà l'uomo chiamato da Degasperi a guidare la prima autonomia regionale. Privato della libertà, Degasperi interroga la propria coscienza chiedendosi se l'opposizione irremovibile a Mussolini non sia stata un errore se messa a confronto con la fruttuosa accondiscendenza di molti altri esponenti del mondo cattolico. E il dubbio si risolve, nella stessa lettera, con un'orgogliosa riaffermazione di indipendenza e di fedeltà ai valori. Non è l'esponente del Partito Popolare a non essersi piegato come tanti altri, è il cattolico che di certi valori non può fare mercimonio (ed anche qui il richiamo a fatti di questi nostri tempi viene spontaneo e inevitabile).

Sono state lette poi le lettere scritte e ricevute negli anni del potere, a volte quasi assoluto, come in quei 14 giorni, all'indomani del Referendum Monarchia-Repubblica, nei quali Degasperi fu al contempo Primo Ministro, ma anche Capo dello Stato, titolare di vari dicasteri, suprema autorità militare e giudiziaria. Un breve scambio di annotazioni con il grande nemico Palmiro Togliatti, con il quale concorda, tuttavia, un'energica azione per concessione del voto alle donne. Un accorato appello ricevuto da un altro dei fondatori della DC, Gonella perché al prepotente toscano Amintore Fanfani non fosse concesso il ruolo chiave di Ministro dell'Interno (e qui i riferimenti al presente diventano troppi).

Sino ad arrivare alla fine, a quel 29 agosto del 1954 quando l'Italia in vacanza viene colpita in modo straordinario dalla notizia della morte, prematura sicuramente, dell'uomo che l'aveva condotta, tra mille polemiche ed altrettante critiche, fuor dal baratro nella quale l'aveva gettata la sciagurata guerra voluta dal fascismo.

Ricordando quei giorni e quei fatti viene alla mente anche qualcosa che riguarda più da vicino le nostre cose altoatesine.

Un fugace accenno alla questione altoatesina è venuto, domenica, da una lettera scritta nell'immediato dopoguerra da Degasperi al Presule di Trieste Santin che gli aveva prospettato l'ipotesi di cedere sul ritorno all'Austria la provincia di Bolzano, chiedendo in cambio gli alleati conservare all'Italia Istria e Dalmazia. Uno scambio, gli risponde l'allora Ministro degli Esteri del tutto improponibile perché, dice, si rischierebbe di perdere Bolzano senza avere nulla in cambio. La Russia, afferma, non vuole che Vienna riceva qualcosa per lo stesso motivo per cui non vuole che l'Italia conservi i suoi confini orientali.

È solo un passaggio, il cui contenuto peraltro era già noto da tempo, ma richiama un clima, una serie passaggi politici, che hanno lasciato il segno nella storia altoatesina di questi ultimi decenni.

Tra qualche giorno altre celebrazioni si terranno. Agli inizi di settembre, come ogni anno, si farà festa per l'anniversario annuale di quell'Accordo che proprio Degasperi e l'austriaco Gruber siglarono a Parigi nel 1946. Patto fondante dell'autonomia, e come tale, giustamente, va celebrato e riletto per recuperarne ancor più che la lettera, lo spirito. Non va dimenticato però che quell'intesa fu il frutto di un compromesso accolto allora, sia nel mondo sudtirolese che in quello italiano, più con acre disillusione che con fondate speranze.

Per averne la prova, se mai ve ne fosse bisogno, basterebbe ritornar nel tempo, di nuovo, a quel 19 agosto del 1954, alla morte di Alcide Degasperi e rileggere quanto pubblicato, il giorno appresso e in quelli successivi, sul quotidiano Dolomiten di Bolzano. In prima pagina, il 20 agosto, un lunghissimo articolo non firmato e che quindi non può essere attribuito con certezza al Canonico Michael Gamper. Un articolo nel quale la figura di Alcide Alcide Degasperi viene tratteggiata in modo più che esaustivo, sia sotto il profilo storico, che sotto quello politico ed umano. C'è spazio in quelle righe per il Degasperi attivo nel mondo cattolico e deputato al parlamento di Vienna, per l'antifascista convinto, per il leader dell'Italia postbellica, per il grande europeista. Nelle ultime righe, però, c'è anche lo spazio per un forte rammarico riguardante la posizione di Degasperi rispetto alla richiesta dei sudtirolesi di esercitare, dopo il 1945, il diritto all'autodeterminazione, per aver utilizzato, lui antifascista, le opere del regime in Alto Adige, come la realizzazione della zona industriale di Bolzano, per far valere il buon diritto dell'Italia a conservare il confine del Brennero. Il giorno successivo il quotidiano sudtirolese pubblicherà un florilegio di tutte le prese di posizione di Degasperi sulla questione altoatesina, ivi compresa l'orgogliosa rivendicazione, più volte ribadita, di aver conservato l'Alto Adige all'Italia durante la conferenza di pace di Parigi. E ci sarà, in calce all'articolo, la riproduzione del manifesto che esalta questa rivendicazione e che fu utilizzato nella campagna elettorale del 1948, a Bolzano e altrove.

Sono i passaggi storici che hanno fatto dell'Alto Adige quello che è. Coglierne solo alcuni ed ignorare gli altri è un errore che impedisce di capire appieno anche le cose che avvengono oggi.

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Alberto Stenico So., 25.08.2019 - 19:22

Molto interessante il lavoro della Fondazione trentina nel rievocare, ma anche attualizzare il pensiero di Alcide Degasperi.
Di tutto ciò non si vede peró traccia in provincia di Bolzano. Così come, penso unica provincia in Italia, non si è trovato modo di intitolare a Degasperi una strada. Le mediazioni intelligenti, come quella del 1946 con Gruber, evidentemente non hanno tifosi. Ma producono i loro effetti positivi nel tempo. Ed è quello che conta.

So., 25.08.2019 - 19:22 Permalink