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La memoria di Hiroshima parla ai giovani

Masashi Ieshima, membro della Nihon Hidankyo, Premio Nobel per la Pace 2024, ha incontrato gli studenti di Bolzano per raccontare l’orrore dell’atomica e ricordare che la pace, oggi più che mai, dipende dalle scelte delle nuove generazioni.
hiroshima
Foto: Alessio Giordano
  • “L’attacco atomico degli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki fu un atto di crudeltà senza precedenti da cui sono derivate tantissime sofferenze”. Nell’aula magna dell’Istituto De’ Medici di Bolzano cala il silenzio non appena Masashi Ieshima prende la parola. Lo sguardo delle decine e decine di studenti è rivolto verso il palco. Tutti seguono con rispetto e attenzione le parole del rappresentante della Nihon Hidankyo, la Federazione giapponese delle organizzazioni dei sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2024. 

  • Il bombardamento su Hiroshima

    Il 6 agosto 1945, il giorno in cui gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica – soprannominata “Little Boy” – su Hiroshima, Ieshima aveva appena tre anni. I suoi ricordi di quella mattina sono vaghi e frammentati, ma nel tempo ha potuto ricostruire quei momenti attraverso i racconti dei familiari e delle altre persone presenti. “La nostra casa sorgeva a meno di due chilometri dall’epicentro. Stavo giocando in cortile, appena dopo colazione, quando l’onda d’urto mi scagliò in aria – ricorda l’hibakusa (sopravvissuto, ndr) oggi 83enne. Mia madre perse la vita, io rimasi illeso, così come mio padre e mia sorella, che riuscì a ripararsi sotto un futon. La casa non crollò, ma il tetto fu divelto. Di notte, dall’interno, potevamo vedere la luna”. 

     

    Ieshima aveva tre anni quando gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica su Hiroshima.

     

    “Atomic Bombing: Impact for 10 Seconds”, un programma trasmesso nel 1959 dalla tv di Stato giapponese NHK, illustrò gli effetti immediati dell’esplosione atomica – la radiazione istantanea, l’onda d’urto, il calore estremo e la luce accecante – insieme a quelli invisibili come la contaminazione, l’inalazione di radiazioni e la diffusione impercettibile di particelle. 

    Il documentario intendeva mostrare come l’orrore dell’arma nucleare non si limita ai danni visibili, ma si estende ovunque, con conseguenze letali anche a distanza di decenni. Secondo le stime più accreditate – su tutte l’Hiroshima Peace Memorial Museum e il Committee for the Compilation of Materials on Damage Caudes by the Atomic Bombs in Hiroshima – le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki causarono circa 220.000 vittime entro la fine del 1945 e oltre centomila morti negli anni successivi a causa degli effetti delle radiazioni. Ieshima ricorda bene gli anni del silenzio seguiti alle esplosioni atomiche. “All’inizio ci fu un tentativo di nascondere la verità, sia da parte degli Stati Uniti sia del Giappone, sull’impatto e gli effetti delle bombe atomiche”, racconta. Il governo giapponese, infatti, protetto dall’“ombrello nucleare” statunitense, decise di non riconoscere alcun risarcimento ai sopravvissuti, a eccezione di una forma limitata di assistenza sanitaria. Nei primi anni, inoltre, vennero celati gli effetti delle radiazioni, che continuarono a colpire e uccidere molti hibakusa. “L’unicità della bomba atomica è anche questa: non è solo un’esplosione, ma una morte che continua”.

  • Masashi Ieshima sul palco dell'aula magna dell'Istituto De' Medici. Accanto a lui, Marianna Montagnana del Centro Pace di Bolzano (ente organizzatore dell'evento) e Riccardo Masini, interprete. Foto: Alessio Giordano
  • Il tragico evento segnò per sempre la vita di Masashi Ieshima. Dopo l’esplosione, insieme alla sua famiglia fu costretto a lasciare Hiroshima e a trasferirsi nella prefettura di Tottori, sulla costa settentrionale del Giappone, in cerca di un luogo più sicuro. Ma la distanza non poté cancellare le conseguenze dell’atomica. Molti anni dopo, l’orrore descritto dal documentario della NHK si manifestò anche nella sua famiglia. Nel 1969 suo padre morì per un cancro alla mascella all’età di 59 anni e anche Ieshima sviluppò nel tempo diverse patologie croniche, oltre a un tumore alla tiroide diagnosticato settantadue anni dopo l’esplosione. “Sapere che la bomba atomica può portare tali effetti anche dopo così tanto tempo mi ha spinto a impegnarmi perché una simile tragedia non si ripeta mai più”, spiega l’83enne alla platea di studenti e studentesse.

  • L’impegno della Nihon Hidankyo per un mondo senza atomica

    Come Ieshima, migliaia di sopravvissuti decisero di rompere il silenzio. La loro voce portò così alla nascita della Nihon Hidankyo. Nei suoi primi anni di attività, in un Giappone ancora segnato dalla guerra e dal silenzio istituzionale sull’olocausto atomico, l’organizzazione divenne la voce collettiva degli hibakusha. 

    Ancora oggi, dopo quasi settant’anni, Nihon Hidankyo si batte per ottenere riconoscimento, cure, giustizia e per l’abolizione delle armi nucleari, promuovendo il principio “mai più hibakusha, mai più guerra nucleare”. Attualmente fanno parte dell’associazione centinaia di migliaia di persone, mentre i sopravvissuti ancora in vita sono 99.099. 

     

    La Nihon Hidankyo si batte per ottenere riconoscimento, cure, giustizia e per l’abolizione delle armi nucleari.

     

    “Oltre alla tutela sanitaria e alla richiesta di un risarcimento economico per le vittime di Hiroshima e Nagasaki – evidenzia Ieshima – svolgiamo un importante ruolo educativo e politico, sensibilizzando l’opinione pubblica globale sugli effetti delle armi atomiche e chiedendo la loro abolizione totale”. E questo impegno decennale, portato avanti con tenacia e determinazione, negli ultimi anni ha ottenuto il meritato riconoscimento: nel 2007 la Nihon Hidankyo ha ricevuto il Premio Sean MacBride per la Pace, mentre nel 2024 è stata insignita del Premio Nobel per la Pace, assegnatole proprio “per il suo impegno volto a realizzare un mondo libero da armi nucleari e per dimostrato, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, che tali armi non devono mai più essere utilizzate”. 

     

  • Una minaccia ancora attuale

    A ottant’anni da Hiroshima e Nagasaki, tuttavia, il messaggio della Nihon Hidankyo resta drammaticamente attuale. Già negli ultimi decenni non sono mancati momenti in cui il mondo è stato a un passo dal disastro nucleare. Dalla crisi dei missili di Cuba del 1962, quando Stati Uniti e Unione Sovietica sfiorarono lo scontro diretto, all’episodio del 1983, in cui l’ufficiale in capo sovietico evitò una risposta atomica a un falso allarme informatico, la storia recente è costellata di eventi in cui la catastrofe fu scongiurata grazie al caso o al sangue freddo di pochi individui. 

  • Il Monumento alla pace dei bambini di Hiroshima, realizzato per commemorare Sadako Sasaki e le migliaia di bambini e bambine vittime della bomba atomica. Foto: Alessio Giordano
  • Ed è bene evidenziare che anche oggi la minaccia nucleare è tutt’altro che scomparsa. Secondo il SIPRI Yearbook 2025, nel mondo sono nove le potenze dotate di armi nucleari – Stati Uniti, Russia, Israele, Francia, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord –, che possiedono complessivamente circa 12.000 testate, di cui quasi 4.000 pronte all’uso immediato. “Siamo molto preoccupati – afferma Ieshima –. Quando furono sganciate le bombe nel ’45, la quantità di uranio al loro interno era molto minore rispetto a quella presente negli armamenti attuali. Lo sgancio di ordigni simili oggi provocherebbe una devastazione su scala globale. Anche solo il fatto che alcuni leader mondiali evocano la possibilità del loro impiego mostra quanto poco abbiano compreso cosa significhi davvero l’uso dell’atomica”. 

     

    Il Giappone, unico Paese ad aver vissuto la devastazione atomica, è tra le nazioni a non aver aderito al Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari.

     

    A confermare quanto detto da Ieshima è anche a mancata adesione di tutte le potenze nucleari al Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), approvato nel 2017 ed entrato in vigore nel 2021. Il trattato, promosso da ICAN-Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, vieta la produzione, il possesso e l’uso degli ordini atomici. Tra i Paesi che non hanno aderito al TPNW figura anche il Giappone, l’unico ad aver vissuto la devastazione atomica. “Per noi è fonte di grande imbarazzo – confessa l’hibakusha –. Il governo giapponese continua a nascondersi dietro l’ombrello nucleare statunitense, ma così tradisce la memoria delle vittime e il principio del mai più che dovrebbe guidare la nostra nazione”. Da anni Nihon Hidankyo chiede con forza che il Giappone sottoscriva il trattato, perché “nessuna sicurezza può fondarsi sulla minaccia di annientamento reciproco”. 

  • Il testimone nelle mani delle nuove generazioni

    Oggi, per ovvie ragioni anagrafiche, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki sono sempre meno. La maggior parte di loro ha superato gli ottant’anni e, tra qualche anno, la loro voce si spegnerà per sempre. Per questo Nihon Hidankyo ritiene fondamentale coinvolgere le nuove generazioni, affinché la memoria non vada perduta e possa tradursi in un impegno attivo per la page. “Vedere giovani come voi così interessati è stupendo – afferma Masashi Ieshima, osservando gli studenti in platea –. Ciò che preme a noi hibakusha è far capire che non ci basta ricordare solo ciò che è accaduto in passato, ma del problema atomico attuale che si ripresenta sotto nuove forme”. 

     

  • La platea di studenti e studentesse ascolta con attenzione l'intervento di Masashi Ieshima. Foto: Alessio Giordano
  • L’83enne ribadisce pertanto come l’abolizione delle armi nucleari non sia un ideale remoto, ma un’urgenza del presente. In questo senso, secondo lui tramandare i ricordi e le storie dei sopravvissuti significa dare la possibilità di migliorare, imparando dagli errori del passato. “Noi tra una decina di anni non ci saremo più, quindi sarà compito vostro continuare il nostro lavoro, per arrivare finalmente al giorno in cui le armi nucleari saranno completamente abolite”, aggiunge con voce ferma. 

    Quando Ieshima termina il suo discorso, l’aula magna si scioglie in un lungo applauso. Nel breve attimo sospeso tra il silenzio e il fragore del battere di mani, sembra che il passaggio di testimone – al contempo simbolico e concreto – sia davvero avvenuto. Molti studenti si avvicinano al palco per ringraziare l’hibakusha della sua testimonianza, alcuni gli chiedono di poter scattare una foto insieme. Poi, lentamente, la sala si vuota e nei corridoi tornano le voci, le risate e la leggerezza della vita scolastica. Ma oggi, probabilmente, qualcosa è cambiato. Tra quei ragazzi che tornano in classe, c’è chi serberà la memoria di Hiroshima. E con essa la consapevolezza che il futuro, proprio come la pace, non è mai scontato.