Salvare gli elefanti... dallo spazio
Gli elefanti sono sempre più a rischio. In un solo secolo il numero di esemplari presenti sulla terra è passato da 12 milioni a poco più di 400.000, mentre dal 2007 al 2014 ne sono scomparsi ben 144.000, con un tasso di diminuzione dell’8% annuo che non è in grado di essere compensato da quello di natalità, considerando anche la lunga gestazione delle elefantesse, pari a 22 mesi.
Le cause principali vanno ricercate principalmente nella distruzione degli habitat naturali da parte dell’essere umano, ma anche dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dalle attività di bracconaggio, che causano ogni anno l'uccisione di migliaia di elefanti per una mera caccia al trofeo o per estrarne l’avorio delle zanne, utilizzato principalmente per la produzione di souvenir, cimeli d'arredamento e gioielli.
Da oggi le attività di monitoraggio, necessarie per l’implementazione di piani d’azione rivolti alla tutela e alla salvaguardia della specie, potranno avere una marcia in più.
Un team di ricerca formato da Olga Isupova dell’università di Bath, Isla Duporge, Steven Reece e David Macdonald dell’università di Oxford, e Tiejun Wang dell’università di Twente è riuscito per la prima volta ad utilizzare le immagini provenienti da telecamere satellitari, elaborate attraverso alcuni algoritmi informatici creati dall’università di Bath, per censire gli animali presenti “in territori geograficamente complessi”.
Lo studio, denominato “Using very‐high‐resolution satellite imagery and deep learning to detect and count African elephants in heterogeneous landscape” e pubblicato sul Journal of Zoology della Società zoologica di Londra, specifica come l’utilizzo delle immagini scattate dai satelliti Worldview 3 e 4, i più avanzati in materia di risoluzione, abbia permesso di rivelare la presenza degli animali con la stessa precisione ottenuta dagli esseri umani ma con l’eliminazione del rischio derivato dall’attività del censimento, scongiurando, con costi minori, la possibilità di disturbare i pachidermi in transito, l'eventuale ferimento degli addetti alla raccolta dati - che spesso devono addentrarsi in aree ostili e difficilmente accessibili - e il doppio conteggio degli esemplari. La tecnologia satellitare è già stata utilizzata per il rilevamento della fauna selvatica, ma solo all’interno di paesaggi aperti e omogenei, come quelli marini o le aree antartiche.
L’elevata tecnologia dei satelliti permette di coprire in brevi periodi di tempo considerevoli estensioni spaziali: solo Worldview-3 - in orbita a 617 km di quota - è in grado di rilevare fino a 680 mila chilometri quadrati in alta risoluzione in appena 24 ore.
Secondo i ricercatori questo nuovo studio dimostra il potenziale posseduto dalla tecnologia per il supporto degli ambientalisti impegnati a proteggere la biodiversità, favorendo il rallentamento del processo di estinzione di massa attualmente in corso, la sesta della storia ma la prima ad essere innescata dall’azione umana sulla biodiversità.
“È essenziale un monitoraggio accurato se vogliamo salvare la specie. Dobbiamo sapere dove sono gli animali e quanti ce ne sono. Gli elefanti africani sono stati scelti per questo studio per una buona ragione: sono il più grande animale terrestre e quindi il più facile da individuare” affermano gli studiosi. “Tuttavia, dobbiamo trovare nuovi sistemi all’avanguardia per aiutare i ricercatori a raccogliere i dati di cui hanno bisogno per salvare le specie minacciate. La risoluzione delle immagini satellitari è in continuo aumento e potremo essere in grado di vedere cose più piccole e in maggiore dettaglio”.