Kultur | Salto Afternoon

Inaugurato con maestria

La Mariinsky Orchestra St. Petersburg a Merano con il suo direttore Valery Gergiev, musicista quanto mai geniale, energico e vitale.
mariinsky
Foto: Südtirol Festival Merano

C’erano tutti, alla serata di apertura del 33° Südtirol Festival Merano Meran il 22 agosto al Kursaal, dal parlamentare europeo Herbert Dorfmann al Landeshauptmann Arno Kompatscher, dall’assessore alla cultura tedesca, Philipp Achammer al sindaco di Merano Paul Rösch per passare dal governo provinciale ai tanti rappresentanti dei vari sponsor. La lista era lunga, quella elencata all’inizio da Hermann Schnitzer, presidente dell’Associazione Meraner Musikwochen (organizzatrice del festival con a capo il magico direttore artistico Andreas Cappello), e la meravigliosa sala era strapiena di uomini (quasi) tutti in frac con le donne al seguito in stupendi abiti da sera, un vero spettacolo! Schnitzer ricorda anche che la stessa Associazione l’inverno scorso ha organizzato un corso per l’Academy for Festival Manager provenienti da quattordici paesi con tutor di livello internazionale e tutti i partecipanti dovevano rispondere alla domanda “Che cos’è un festival?”. Ebbene, sono tutte quelle risposte insieme a creare l’ampio spettro politico-culturale perseguito, più o meno in segreto, dal festival di cui stiamo parlando: un’azione, un’avventura, un campo di sperimentazione, un ecosistema, una thinking entity, un laboratorio, una gedankliche Einheit, una provocazione, una decisione politica, una festa. La prima serata era tutto questo… in piccolo sul piano di intensità vissuta.

Sul palco sono entrati uno a uno, i musicisti componenti la Mariinsky Orchestra di San Pietroburgo e si sono alzati in piedi quando è entrato lui, il Maestro, Valery Gergiev, colui che li ha fatti crescere e diventare ciò che sono oggi: un’orchestra di antica data di classe mondiale! Inizia subito, alzando la mano destra con una bacchetta minima, della fattezza di uno stuzzicadente, ma in quella mini-dimensione sta tutta l’entità di una bacchetta magica, perché magica era l’intera esecuzione dei tre brani musicali presentati. Di Claude Debussy abbiamo sentito il Prélude à l’après-midi d’un faune, e ci siamo sentiti davvero come in un pomeriggio d’estate in un campo fiorito con gli uccellini in volo e un fauno che si stava risvegliando… Gergiev ha solo alzato le mani, e da subito le sue dita hanno iniziato a vibrare al pari dei suoni prodotti dai diversi strumenti presenti che parevano alzarsi in volo, come appunto “il fauno”, data la sua sensibilità in filigrana nel far emergere le melodie all’unisono creati dai tanti musicisti dispiegati a mezzo cerchio davanti a lui e al pubblico. Il breve brano è la messa in musica della poesia omonima di Stéphane Mallarmé e riesce nel suo intento a suscitare immagini pittoresche riguardo un’ipotetica passeggiata pomeridiana di un fauno evocandone colori e tonalità grazie ai timbri musicali ampliati da orchestrazioni inedite e dissonanze assonanti. Tutte magistralmente accentuate dalla maestria del direttore d’orchestra che è sin dal 1988 alla guida del Mariinsky, essendone poi diventato direttore generale nel 1996. Fine primo atto con scrosciante applauso. Brevissima pausa, in cui i musicisti, proprio come nel film di Fellini Prova d’orchestra, accordano ognuno (in)disciplinatamente il proprio strumento per rimanere immediatamente in silenzio al momento del ritorno del Maestro.

Partenza alla grande della Sinfonia italiana no. 4 in la maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn Bartoldy, il quale aveva vissuto cinquant’anni prima di Debussy nella prima metà dell’Ottocento e aveva composto questa partitura a mo’ di diario musicale di un viaggio incredibile nella Italia dei suoi desideri. Appena ventunenne, il giovane compositore era partito dalla Germania per recarsi dapprima a Vienna e poi a Venezia, Firenze, Roma e Napoli. Non poteva certo immaginare che quella sinfonia sarebbe poi diventata la più amata del periodo romantico dopo esser stata eseguita per la prima volta a Londra, ancora nel 1833, riscuotendo da subito un enorme successo di pubblico e di critica. Mendelssohn non ha mai negato di essersi ampiamente ispirato alla “bellezza degli scorci” incontrati in quel viaggio e dalla “amenità della natura”, anzi sottolineava più volte che a chiunque lamentava di non trovare nulla cui ispirarsi lui avrebbe voluto “schiacciare loro il naso sul capitello di una colonna antica perché è lì che va cercata la musica”…! E sul libretto distribuito per l’occasione nella sala di Merano abbiamo letto anche che per iniziare a scrivere la sinfonia, Mendelssohn aveva atteso di vedere Napoli in quanto nella sua musica doveva “trapelare lo spirito di quella città”.

Un’eccezionale Erlebnis musicale.

E difatti c’è tutto, e Valery Gergiev - che fa parte di quella corrente di direttori d’orchestra che dirigono con tutto il corpo mimando loro stessi i ritmi scaturiti - ha compiuto lui stesso qualche saltarello sul podio per farci notare che proprio di quel tipo di movimento prescritto dall’autore si trattava, dopo che nell’ “andante con moto” era quasi entrato in trance. Osservando lui, e i suoi moti del corpo, si percepiscono i moti dell’intera orchestrazione, in piccolo, nei suoi movimenti che attraversano l’intero corpo scorgiamo più che mai che è lui il perno del flusso delle note. Tenendosi ben stretti i due primi violini alla sua sinistra, un uomo e una donna, rigorosamente bipartisan! Nel “moto moderato” sentiamo un sottile canto uscire dalla sua bocca per sollecitare maggiormente un tutt’uno armonico (e ci chiediamo se tutti i politici presenti in sala comprendono quella grande lezione di spirito democratico vero, in cui una grande capacità di ascolto reciproco permette la messa in azione degli uni nei confronti degli altri, in perfetta assonanza e con un comune obiettivo…?). Si nota persino il cambio pagina della partitura all’unisono in quella fetta di palco in cui siedono tutti i violinisti. Fine prima parte, con un lunghissimo e sonoro applauso e due chiamate del magnifico Maestro da parte del pubblico, sempre più entusiasta.

Dopo la pausa si riprende con la Sinfonia Manfred di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893) che inizia con un “lento lugubre”, per davvero, dove unicamente la leggerezza del tocco musicale salva dal baratro della tetraggine. Valery Gergiev è dotato della grande capacità di far entrare chi ascolta nella dinamiche della composizione, per cui tutto d’un tratto ci si avvale dell’accesso a una partitura che si dispiega innanzi in tutta la sua complessità. I violoncelli fanno eco ai canti delle trombe, per segnare uno spirito di natura selvaggia, ci immaginiamo, e piano piano si dipanano con suoni sempre più rarefatti. Qui l’Italia si fa punto di fuga, cui era affezionato il poeta Lord Byron, tra i primi protagonisti della letteratura del primo Ottocento e figura centrale nei salotti intellettuali. Fu nell’aprile 1816 che fuggì da Londra per andare a ripararsi in Italia, in Liguria, dove avrebbe scritto il poema drammatico Manfredi, uscito l’anno successivo. Perché lo raccontiamo? Čajkovskij evidentemente sentiva molto vicino quello spirito byroniano, non soltanto per aver dato lo stesso titolo alla sua sinfonia, ma in quanto lui si recò nelle Alpi per andare a trovare un amico-amante morente, cui dedicò (?) la composizione da lui stesso definita “complicata”. La prima ci fu a Mosca nel 1886 e il suo autore aveva annotato nel diario che fu “un successo a metà, ma accolto con un’ovazione”. L’interpretazione che ne ha dato la Mariinsky Orchestra mercoledì scorso a Merano ha suscitato un’altra ovazione e un successo pieno, dato che la tragicità delle vicende narrate avevano acquisito sotto le vibranti dita del suo direttore una inquietante bellezza. Riflessione e travaglio interiore si alternano all’accennar di delicati fili della memoria per segnare l’avvenuta morte, forse, del nostro eroe manfrediano, e ripassano infine ad allegre circolari segnandone l’ascensione in pace dell’anima, supponiamo. È magia pura, di come si possano trasformare pagine e pagine di semplici segni d’inchiostro in canti per e dell’anima! A volte sentiamo persino il dolce respiro di quella di Gergiev, nel perseguire la propria indole totalmente immersa nel mondo dei suoni, quando poi è l’ondeggiar delle corde di un’arpa a segnare – forse - l’armoniosa posata del corpo umano in mezzo alla natura. Le mani svolazzanti fanno cenno di chiusura e – miracolo! – Gergiev riesce a far suonare anche il subentrato silenzio degli strumenti: i violinisti hanno la bacchetta alzata, quando tutto tace - ormai.

Dieci minuti di applausi, con bis incluso. Raro, davvero. Un’eccezionale Erlebnis musicale.