Passione "umanistica"

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SALTO: Perché esattamente 25 anni fa è stato fondato un centro di assistenza per rom e sinti a Bolzano?
Silvia Golino: La Caritas era presente negli accampamenti di rom e sinti a Bolzano già prima del 2000, con volontari e volontarie che aiutavano le famiglie, soprattutto riguardo la vita scolastica dei figli e le problematiche sanitarie. 25 anni fa il progetto si è strutturato in un vero e proprio Servizio, riconosciuto e in parte finanziato dalla Provincia, perchè io – che ero già presente nei campi rom di Bolzano da alcuni anni – mi ero diplomata, dopo aver frequentato il primo corso FSE di Mediazione Interculturale, con specifiche competenze per lingua e cultura rom. E' nato così il Servizio Caritas di „Mediazione Interculturale con rom e sinti”, con la finalità di offrire aiuto non soltanto alle famiglie, ma anche alle istituzioni – scuole, enti pubblici e privati, datori di lavoro – che avevano grande bisogno di informazioni corrette e puntuali riguardo queste comunità minoritarie.
Da dove nasce il suo interesse per le paure, le gioie e le difficoltà di questa minoranza?
Potrei definirla una passione "umanistica", una voglia di scoprire l'umano al di là del pre-giudizio – del giudizio dato senza conoscenza diretta –, di comprenderne a fondo e tramite una relazione vera la lingua, le analogie e le differenze culturali. Tutto questo, con la convinzione che ogni cultura, ogni visione del mondo abbia le proprie caratteristiche interessanti, che si possono avvicinare senza timore e senza disprezzo, imparando molto e allo stesso tempo insegnando molto. In questo modo le paure, le difficoltà, le gioie loro, ma anche le nostre, si intrecciano, producendo una crescita in positivo per entrambe le comunità.
Il lavoro con persone relegate ai margini della società è un lavoro molto delicato, perché prende contatto con individualità e gruppi che innanzitutto provano sfiducia e risentimento.
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“Al limite”: Il convegno propone una riflessione sul rapporto fra marginalità sociale, trauma e condotte violente, a partire dall’esperienza di 25 anni di lavoro sul campo del servizio di Mediazione interculturale della Caritas, con le testimonianze di altri enti e associazioni che operano a fianco di rom e sinti o altri cittadini fragili del nostro territorio. Foto: Caritas
Tre decenni fa, la maggior parte dei rom e dei sinti viveva ancora in roulotte, alla periferia di Bolzano. Ora non è più così. Cosa è accaduto nel frattempo?
Per la comunità rom il vivere in roulotte era una soluzione transitoria, dopo l'emigrazione dai paesi della ex Jugoslavia. Appena hanno trovato una nuova stabilità lavorativa, hanno subito cercato un alloggio o si sono attivati per ottenere il punteggio necessario per una casa IPES, e si sono trasferiti volentieri in appartamento. Per le famiglie sinte la soluzione abitativa ideale sarebbero state piccole aree all'aria aperta – le cosiddette 'micro-aree' –, dove vivere assieme ai propri parenti e ad altri appartenenti alla famiglia allargata in casette prefabbricate o roulotte, ma spesso questa soluzione non è stata possibile. La vita in un grande campo come era quello della "Spaghettata" – sebbene regolarmente costruito dal Comune e gestito da operatori sociali – non era accettabile, perché riuniva sullo stesso terreno famiglie anche con forti inimicizie e non rispettava i legami della famiglia allargata. Per questo motivo anche i sinti sudtirolesi hanno preferito trovare alloggi sul mercato privato o inserirsi in graduatoria IPES.
Quanto sono integrati i rom e i sinti nelle società maggioritarie locali?
L'antropologo Leonardo Piasere scrive a proposito dell’integrazione in una società che essenzialmente rifiuta le comunità rom: "I migliori maestri per combattere questa cosmologia del rifiuto sono per forza di cose gli zingari stessi: loro, che da sempre hanno dovuto subirla e padroneggiarla per riuscire a restare loro stessi fra i gage. Migliori maestri in relazioni transculturali, i gage non potrebbero davvero trovare". Cioè sono proprio i rom e i sinti – sebbene spesso marginalizzati e disprezzati – che hanno avuto l'abilità di gestire se stessi e di sopravvivere all’interno delle società maggioritarie, senza estinguersi e senza perdere le proprie caratteristiche culturali. A modo loro, sono comunità integrate nelle nostre società, siamo noi che non li vediamo integrati, che notiamo e esaltiamo in modo negativo ogni differenza. Questo non accade soltanto con rom e sinti, ma anche con le altre culture "diverse" che da qualche decennio si sono affacciate sul nostro territorio. Nelle chiacchiere comuni i nostri nuovi concittadini vengono rappresentati come minaccia a una presunta stabilità, e non ci rendiamo conto dello sforzo di integrazione che fanno queste persone, sia come singoli, sia come familgie, sia come comunità.
25 anni Mediazione Interculturale con rom e sinti: "Il convegno non parlerà di rom e sinti. Vuole invece parlare di ciò che abbiamo imparato, come servizio Caritas, lavorando per 25 lunghi anni con loro." Foto: CaritasI sinti vivono qui già da secoli, i rom solo dagli anni '90. Quanto vanno d'accordo tra loro?
A partire dagli anni '90 sono arrivati diversi gruppi di immigrati, tra cui i rom della ex Jugoslavia. I sinti, di fronte all'arrivo dei rom, hanno reagito un po' come la comunità locale ha reagito all'arrivo di tutte queste persone da altri paesi: inizialmente si sono tenuti distanti, poi, con il passare degli anni, si sono conosciuti e sono entrati in contatto, stringendo anche amicizie forti, in quanto si sono riconosciuti nel loro tratto comune: l'essere definiti "zingari" dalla maggioranza della società, e forse hanno riconosciuto comune la loro strenua lotta per togliersi questa “etichetta“. Conosco diverse giovani coppie formate da partner rom e partner sinto/a molto affiatati, con l’evidente speranza di dare ai loro bellissimi figli un futuro meno difficile di quella che è stata la loro infanzia.
Cosa vuole rendere visibile la mediazione interculturale nel convegno di domani?
Il convegno non parlerà di rom e sinti. Vuole invece parlare di ciò che abbiamo imparato, come servizio Caritas, lavorando per 25 lunghi anni con loro. Il lavoro con persone relegate ai margini della società è un lavoro molto delicato, perché prende contatto con individualità e gruppi che innanzitutto provano sfiducia e risentimento. Perciò non si può immediatamente emettere giudizi, imporre regole, proferire diagnosi o usare un certo potere istituzionale. Bisogna com-prendere – nel doppio senso di 'capire' e 'prendere con sé' – la persona, affiancarla mettendosi in gioco alla pari, e accompagnarla in un percorso che costruisca fiducia e stabilità. Questa è però una crescita reciproca: non sono soltanto loro che devono integrarsi, ma siamo anche noi che dobbiamo rendere possibile una vera integrazione, fuori dalle etichette di senso comune che vengono immediatamente attribuite, soprattutto a queste comunità. La mediazione culturale vuole rendere visible proprio tale spirito di reciprocità, con grande fiducia e speranza nel concetto di 'umanità' – ritornando all'umanesimo descritto sopra - come base etica del servizio Caritas di Mediazione con rom e sinti.
Il convegno rientra nelle iniziative proposte dalla Caritas in adesione alla ‘Settimana dell’accoglienza 2025’. La partecipazione è gratuita e aperta a tutte le persone interessate.
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