Kultur | Salto Weekend

La casa nova

In scena oggi a Bolzano e domani a Vipiteno, la commedia di Goldoni nell’accattivante regia di Giuseppe Emiliani per il Teatro Stabile del Veneto.
48_lacasa.jpg
Foto: Serena Pea

Quando si apre il pesante sipario rosso, la vista cade sulla facciata di un interno di casa alto-borghese con qualche baule e sedia in primo piano, mentre sullo sfondo si intravede il muro di un corridoio. Sin dalle prime battute capiamo che siamo in mezzo a un trasloco. Carlo Goldoni ha scritto La casa nova elaborandovi alcuni fastidi sofferti personalmente durante un suo trasloco, avvenuto quindi poco prima dell’11 dicembre 1760, quando andò in scena per la prima volta la commedia al Teatro Vendramin di San Luca a Venezia (oggi Teatro Goldoni). Attualmente in tournée in Alto Adige l’abbiamo vista al Teatro Puccini di Merano, dove una sala bella piena non mancava di applaudire a scena aperta o di fare eco con giuste risate alle non poche battute sarcastiche dello scrittore veneziano nei confronti di una certa borghesia, i cosiddetti nuovi ricchi, che successivamente avrebbe portato al declino della Serenissima. Questi ultimi, infatti, senza averne la stoffa vorrebbero entrare nell’Olimpo dei benestanti, imitandone gesti e parole, senza tuttavia aver coltivato la base morale – qui incarnata dallo zio Cristofolo del giovane Anzoletto, il quale per amor cieco per la sua Cecilia ha rovinato l’intero patrimonio del padre. Il plot è presto raccontato di questa commedia brillante che all’epoca ebbe un enorme successo di critica e di pubblico, e fu persino molto amata da Goldoni stesso, il quale nelle sue memorie aveva annotato che “i caratteri sono tutti presi dalla natura” - come possiamo leggere nel programma di sala che titola la sinossi così: Di nipoti squattrinati e serve curiose.

La messinscena di Giuseppe Emiliani per il Teatro Stabile Veneto si avvale di una interpretazione a tratti assai stilizzata in un ambiente scenico semi-astratto. Emiliani sa bene cosa vuole quando prende in mano i testi di Goldoni, essendone ottimo conoscitore: è dal 1994 che ha curato diverse regie goldoniane per lo Stabile Veneto, tra cui il noto Arlecchino servitore di due padroni, e per il Tricentenario goldoniano celebrato alla Biennale Teatro 2007 aveva allestito Sior Todero Brontolon. In tutto il regista conta 15 regie, e qui fa un passo oltre, a nostro avviso, nel senso che unisce attori con pluriennale esperienza sul palcoscenico – Piergiorgio Fasolo nel ruolo di Cristofolo, il già citato zio, Valerio Mazzuccato nel doppio ruolo di Sgualdo, il tappezziere, e il servitore di Checca, Stefania Felicioli nei panni di Checca, la cittadina maritata, e Lucia Schierano in quelli di sua sorella nubile, Rosina – a sette giovani attori e attrici appartenenti a La Compagnia Giovani dello stesso Stabile, una delle azioni previste dal Modello Veneto TeSeO (acronimo di Teatro Scuola e Occupazione). Questo programma è rivolto a giovani che vogliono intraprendere il cammino per diventare attori professionisti, per cui TeSeO vuole avvicinare al teatro i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori offrendo loro una valida proposta formativa e facilitando l’avvio alla professione di allievi delle scuole di teatro. Tra i giovani presenti spiccano Andrea Bellacicco che dà vita al giovane Anzoletto, con alle spalle esperienze attoriali, tra altre, in uno spettacolo diretto da Bob Wilson, un Premio Ubu (nel 2015 per Bassa continua-Toni sul Po di Mario Perrotta), ed Eleonora Panizzo che anima la sorella di lui, Meneghina. Diplomati nello stesso anno, nel 2010, hanno entrambi co-fondato la compagnia Amor Vacui, con cui portano in scena testi contemporanei. Anche lei ha accumulato esperienza sul palco con grandi registi come ad esempio il lituano Eimuntas Nekrošius.

 

I costumi rigorosamente d’epoca sono in colori da bomboniera (firmati dalla Sartoria Nicolao Atelier di Venezia che dal 1980 è specializzata in costumi storici e collabora con grandi produzioni internazionali), per cui anche se qualche battuta salta a causa del testo recitato in rigoroso dialetto veneziano si recupera sul piano visivo. Anche grazie alla già nominata recitazione stilizzata cui fanno parte non pochi pensieri detti ad alta voce e rivolti verso il pubblico. Emiliani è riuscito a creare uno spaccato di vita di allora, grazie a un’accurata regia ai fini di una recitazione corale, dove il linguaggio ben tessuto da Goldoni fluisce in modo gradevole nell’universo scenico piuttosto asciutto.

Gli attori di fatto sanno rendere realistica la scena povera di elementi cui appoggiarsi – giusto qualche sedia, un tavolo, qualche baule, una gabbia da canarino – il resto lo fa la scenografia virtuale sullo sfondo. Ecco che quando la scena cambia e passiamo all’appartamento del piano di sopra, le ampie finestre fanno intravedere la silhouette delle case lungo un canale e dopo un po’ scorgiamo che nel cielo bianco-azzurro vola un uccello. Vola? Davvero vola sulla scena o ce lo siamo immaginati? Ecco che torna in un altro punto del cielo, e assume le sembianze di una tipica “veduta” di inizio Novecento, unica differenza è che quelle erano in bianco e nero: per il resto le vedute virtuali (a cura di Federico Cautero per 4DODO) e quelle cinematografiche si somigliano parecchio, in quanto agli inizi della settima arte nelle riprese a macchina fissa si scorgevano foglie di alberi che si muovevano…

Nel secondo tempo dello spettacolo si passa agli effetti visivi speciali nell’appartamento al secondo piano, dopo un breve interludio al piano terra: ci sono ampie tende che volano sonoramente battute dal vento, mentre nella scena più drammatica – il confronto tra lo zio e la nipote “da maritar” Meneghina – assistiamo a una pioggia battente con tanto di fulmini sull’orizzonte con nubi nere.

Il finale si contraddistingue per un’azione mimata di partenza, con l’accumularsi di valigie sul palco, sulle quali gli attori e le attrici si siedono per poi fermarsi in un fermo-immagine. Applauso scrosciante è la ricompensa del pubblico meranese per questo testo, che sebbene scritto 250 anni fa risulta essere di grande attualità, se pensiamo alla diffusa presunzione di nuovi e vecchi arricchiti.

Inoltre sono le donne a muovere la scena, gli intrighi, è la signora Checca a condurre il gioco nel districare i nodi tra i vari parenti accompagnandoli verso una soluzione. Ed è sempre lei da dirsi la “signora della scena”, nella cui prontezza a reagire e agire con grande naturalezza si nota l’accento posto dal lungo sodalizio artistico con il regista Massimo Castri durato dieci anni.

Ma – sarà in grado, lei, a convincere l’osso duro di Cristofolo a cambiare idea, lui, che accorre unicamente perché amico del marito? Non vogliamo svelare troppo delle potenti dinamiche di figure drammatiche ben costruite, e accenniamo brevemente alle musiche (scritte da Leonardo Tosini), musiche da intermezzo, che sottolineano il comparire di alcuni personaggi come nei migliori cartoni animati.